Padre Paolo Berti, “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?”
XIX Domenica del T. O.
Gv 6,41-51
“Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?”
Omelia
Elia non stava facendo un pellegrinaggio verso il Sinai. No, stava fuggendo dalle ire di Gezabele, figlia di Et-Baal, re di Sidone, e moglie di Acab, re di Samaria. Elia le aveva sgominato tutto l'apparato profetico che Gezabele aveva istituito attorno al culto idolatrico del dio Baal. I falsi profeti, Elia li aveva sgozzati di sua mano davanti al popolo dopo che avevano fallito le loro invocazioni a Baal per la discesa di un fuoco su di un olocausto, mentre invece Elia, con una breve preghiera a Dio, aveva ottenuto il prodigio. Mosè aveva detto che i falsi profeti dovevano essere messi a morte (Dt 13,6; 18,20), e così fece Elia nell'alveo del torrente Kison, che scorre nella valle di Esdrelon verso il mare, avendo a destra il monte Carmelo.
Elia, dopo aver fatto scendere la pioggia dal cielo, che da tre anni mancava quale castigo da lui invocato sul regno di Acab, credette realizzate le condizioni per convincere il re di Samaria e corse davanti a lui mentre questi si stava recando a Izreèl, città della dimora regale.
Acab riferì a Gezabele quanto aveva fatto Elia, e Gezabele giurò di farlo morire.
Elia si trovò solo; il popolo che aveva attratto a Dio sul Carmelo e che aveva approvato l'uccisione dei 400 profeti, sembrava essersi volatilizzato. Non aveva attorno nessuno coi quali iniziare un movimento di resistenza. Così impaurito, fuggì a Bersabea di Giuda, lontano dalla terra di Samaria; poi, lasciando in città il suo servo, si inoltrò nel deserto per una giornata di cammino. Elia vuole scomparire, vuole far perdere le sue tracce. Ha paura. Poi stanco si accascia sotto un ginepro, desideroso di morire: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Elia crede con quell'atto di apparente umiltà di avere trovato la formula giusta per disimpegnarsi da Dio; ma quell'umiltà è solo una mascheratura della caduta di stima di sé, e soprattutto della diminuita fiducia nella potenza del Signore. Per Elia la sua missione di profeta è finita, e sigilla tutto mettendosi a dormire.
E' a questo punto che Dio lo raccoglie: “Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Elia prende la direzione del Sinai e cammina di continuo, sorretto dalla forza del cibo che ha ricevuto, per quaranta giorni e quaranta notti: solo nel deserto, sotto le stelle, la luna, sotto il cocente sole, nel freddo della notte, nel vento; passo dopo passo, instancabile. Un pellegrinaggio inedito, non prescritto dalla Legge, ma che Elia ha bisogno di compiere. Viene una certa emozione a pensare ad Elia che cammina senza paura di niente: non paura di serpenti, non di sciacalli, non di briganti. Viene una nostalgia di cose diverse, nuove, a noi che prendiamo l'auto per ogni spostamento, a noi che programmiamo pranzo e cena e letto, a noi che i pellegrinaggi li abbiamo trasformati in turismo religioso. Il pellegrinaggio è invece un atto di libertà, una scelta di vita nuova, che passa attraverso il sacrificio: la meta va guadagnata.
Noi, resi spiritualmente inerti dal consumismo, dalle comodità; noi scoraggiati di fronte a tanto male nel mondo; noi, sconcertati di fronte ai tanti Acab e alle tante Gezabele, di fronte a tanti falsi profeti, abbiamo bisogno di un pane che ci dia la forza di rialzaci e di camminare. Noi, così presi da asprezze, sdegni, ira, e via dicendo, abbiamo bisogno di un pane di libertà, di un pane del cammino. Questo pane l'abbiamo. E' a nostra disposizione. E' Gesù. Ce lo dice lui stesso: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Un pane non fatto da mano d'uomo, ma disceso dal cielo. Un pane che si riceve all'altare: mensa e pietra del sacrificio. Chi mangia del Pane di vita, vive e cammina; rompe gli schemi consumistici, si avventura tra i monti, si disseta alle fontane, cerca le solitudini per saturare il suo cuore di amore a Dio e ai fratelli e alle sorelle. Egli rimane sempre nel raggio dell'Eucaristia. Dall'altare parte per ogni sua azione, dall'assemblea Eucaristica parte, per vivere il quotidiano nella verità e nella carità, avendo di fronte a sé ancora l'altare da raggiungere il giorno dopo. La sua vita è un partire dall'altare e un ritornare all'altare. La sua vita è rimanere nel raggio dell'altare; non ne esce, tranciando l'attrazione che su di lui, per il dono dello Spirito Santo, esercita l'altare. L'altare attira, Gesù ce lo ha detto: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”.
Chi va a Gesù ritorna alla gente, ai fratelli e alle sorelle, in modo nuovo. Elia ritornò rinnovato in Samaria, con nuova luce, sapendo cosa fare: ungere Hazaèl quale re di Aram, e ungere Eliseo quale profeta al suo posto. Così noi ritorniamo dall'altare sapendo cosa fare. Senza ricevere Gesù nel cuore siamo privi di vita, non sappiamo dove dirigere i nostri passi, non andiamo tra la gente con amore, con gioia da comunicare. Paolo ci invita infatti ad essere “benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”, ma questo proviene da Cristo, “che ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”. Paolo ci invita così a Cristo, al Pane di vita, per essere nuovi.
Bello, fratelli e sorelle, rimanere nel raggio dell'Eucaristia, anche quando siamo tra i monti, anche quando siamo sulle rive del mare. Sì, anche quando i monti ci rapiscono con la loro solennità e quando il mare ci pacifica con la sua immensità, dobbiamo rimanere centrati nell'Eucaristia. E del resto come potremmo godere dei monti e del mare se non avessimo nuovo il cuore, se non fossimo in Cristo Gesù; lui ci apre al creato con sguardo limpido, e nello stesso ci spinge ben oltre, facendoci desiderare il cielo, senza mai far cadere la fedeltà alla terra, cioè la carità verso i fratelli e le sorelle.
Gesù ci attira verso sé, realmente presente nell'Eucaristia, ma di comunione in comunione di partecipazione in partecipazione ci attira sempre più verso lui, nel cielo, dandoci sempre la forza, la pace, la luce, per vivere i giorni sulla terra nella carità, senza vili fughe dal presente. Elia fuggì nel deserto. Noi, non incalzati da nessuna sentenza di morte, fuggiamo spesso tra le nuvole perdendo il contatto con la realtà quotidianità. Chi mangia il Pane di Vita non si consegna alle illusioni, mosso da un senso di impotenza di fronte agli eventi, ma resta, come Gesù restò e andò a Gerusalemme. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:www.qumran2.net/
Gv 6,41-51
“Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?”
Omelia
Elia non stava facendo un pellegrinaggio verso il Sinai. No, stava fuggendo dalle ire di Gezabele, figlia di Et-Baal, re di Sidone, e moglie di Acab, re di Samaria. Elia le aveva sgominato tutto l'apparato profetico che Gezabele aveva istituito attorno al culto idolatrico del dio Baal. I falsi profeti, Elia li aveva sgozzati di sua mano davanti al popolo dopo che avevano fallito le loro invocazioni a Baal per la discesa di un fuoco su di un olocausto, mentre invece Elia, con una breve preghiera a Dio, aveva ottenuto il prodigio. Mosè aveva detto che i falsi profeti dovevano essere messi a morte (Dt 13,6; 18,20), e così fece Elia nell'alveo del torrente Kison, che scorre nella valle di Esdrelon verso il mare, avendo a destra il monte Carmelo.
Elia, dopo aver fatto scendere la pioggia dal cielo, che da tre anni mancava quale castigo da lui invocato sul regno di Acab, credette realizzate le condizioni per convincere il re di Samaria e corse davanti a lui mentre questi si stava recando a Izreèl, città della dimora regale.
Acab riferì a Gezabele quanto aveva fatto Elia, e Gezabele giurò di farlo morire.
Elia si trovò solo; il popolo che aveva attratto a Dio sul Carmelo e che aveva approvato l'uccisione dei 400 profeti, sembrava essersi volatilizzato. Non aveva attorno nessuno coi quali iniziare un movimento di resistenza. Così impaurito, fuggì a Bersabea di Giuda, lontano dalla terra di Samaria; poi, lasciando in città il suo servo, si inoltrò nel deserto per una giornata di cammino. Elia vuole scomparire, vuole far perdere le sue tracce. Ha paura. Poi stanco si accascia sotto un ginepro, desideroso di morire: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Elia crede con quell'atto di apparente umiltà di avere trovato la formula giusta per disimpegnarsi da Dio; ma quell'umiltà è solo una mascheratura della caduta di stima di sé, e soprattutto della diminuita fiducia nella potenza del Signore. Per Elia la sua missione di profeta è finita, e sigilla tutto mettendosi a dormire.
E' a questo punto che Dio lo raccoglie: “Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Elia prende la direzione del Sinai e cammina di continuo, sorretto dalla forza del cibo che ha ricevuto, per quaranta giorni e quaranta notti: solo nel deserto, sotto le stelle, la luna, sotto il cocente sole, nel freddo della notte, nel vento; passo dopo passo, instancabile. Un pellegrinaggio inedito, non prescritto dalla Legge, ma che Elia ha bisogno di compiere. Viene una certa emozione a pensare ad Elia che cammina senza paura di niente: non paura di serpenti, non di sciacalli, non di briganti. Viene una nostalgia di cose diverse, nuove, a noi che prendiamo l'auto per ogni spostamento, a noi che programmiamo pranzo e cena e letto, a noi che i pellegrinaggi li abbiamo trasformati in turismo religioso. Il pellegrinaggio è invece un atto di libertà, una scelta di vita nuova, che passa attraverso il sacrificio: la meta va guadagnata.
Noi, resi spiritualmente inerti dal consumismo, dalle comodità; noi scoraggiati di fronte a tanto male nel mondo; noi, sconcertati di fronte ai tanti Acab e alle tante Gezabele, di fronte a tanti falsi profeti, abbiamo bisogno di un pane che ci dia la forza di rialzaci e di camminare. Noi, così presi da asprezze, sdegni, ira, e via dicendo, abbiamo bisogno di un pane di libertà, di un pane del cammino. Questo pane l'abbiamo. E' a nostra disposizione. E' Gesù. Ce lo dice lui stesso: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Un pane non fatto da mano d'uomo, ma disceso dal cielo. Un pane che si riceve all'altare: mensa e pietra del sacrificio. Chi mangia del Pane di vita, vive e cammina; rompe gli schemi consumistici, si avventura tra i monti, si disseta alle fontane, cerca le solitudini per saturare il suo cuore di amore a Dio e ai fratelli e alle sorelle. Egli rimane sempre nel raggio dell'Eucaristia. Dall'altare parte per ogni sua azione, dall'assemblea Eucaristica parte, per vivere il quotidiano nella verità e nella carità, avendo di fronte a sé ancora l'altare da raggiungere il giorno dopo. La sua vita è un partire dall'altare e un ritornare all'altare. La sua vita è rimanere nel raggio dell'altare; non ne esce, tranciando l'attrazione che su di lui, per il dono dello Spirito Santo, esercita l'altare. L'altare attira, Gesù ce lo ha detto: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”.
Chi va a Gesù ritorna alla gente, ai fratelli e alle sorelle, in modo nuovo. Elia ritornò rinnovato in Samaria, con nuova luce, sapendo cosa fare: ungere Hazaèl quale re di Aram, e ungere Eliseo quale profeta al suo posto. Così noi ritorniamo dall'altare sapendo cosa fare. Senza ricevere Gesù nel cuore siamo privi di vita, non sappiamo dove dirigere i nostri passi, non andiamo tra la gente con amore, con gioia da comunicare. Paolo ci invita infatti ad essere “benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”, ma questo proviene da Cristo, “che ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”. Paolo ci invita così a Cristo, al Pane di vita, per essere nuovi.
Bello, fratelli e sorelle, rimanere nel raggio dell'Eucaristia, anche quando siamo tra i monti, anche quando siamo sulle rive del mare. Sì, anche quando i monti ci rapiscono con la loro solennità e quando il mare ci pacifica con la sua immensità, dobbiamo rimanere centrati nell'Eucaristia. E del resto come potremmo godere dei monti e del mare se non avessimo nuovo il cuore, se non fossimo in Cristo Gesù; lui ci apre al creato con sguardo limpido, e nello stesso ci spinge ben oltre, facendoci desiderare il cielo, senza mai far cadere la fedeltà alla terra, cioè la carità verso i fratelli e le sorelle.
Gesù ci attira verso sé, realmente presente nell'Eucaristia, ma di comunione in comunione di partecipazione in partecipazione ci attira sempre più verso lui, nel cielo, dandoci sempre la forza, la pace, la luce, per vivere i giorni sulla terra nella carità, senza vili fughe dal presente. Elia fuggì nel deserto. Noi, non incalzati da nessuna sentenza di morte, fuggiamo spesso tra le nuvole perdendo il contatto con la realtà quotidianità. Chi mangia il Pane di Vita non si consegna alle illusioni, mosso da un senso di impotenza di fronte agli eventi, ma resta, come Gesù restò e andò a Gerusalemme. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:www.qumran2.net/