fr. Massimo Rossi, “Chi non è contro di noi è per noi.”.

Commento su Marco 9,38-43.45.47-48
fr. Massimo Rossi  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (30/09/2018)

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Due grandi massime il Signore pronuncia in questa breve pagina di Vangelo, che non passano mai di moda...
La prima: “Chi non è contro di noi è per noi.”.

La seconda: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli...”.

Dunque: “Chi non è contro di noi è con noi.”. In una società come la nostra, si parla tanto di globalizzazione, di integrazione; ma poi siamo sempre pronti a marcare i confini, a sottolineare le differenze, a rafforzare le identità individuali. Diffidenza, sospetto, paura,...

Del resto, anche ai tempi di Gesù, e proprio nella cerchia degli apostoli si nutrivano sentimenti non proprio cattolici - nel senso di universali -... “Noi!”, “prima noi!”,

“solo noi!”... E gli altri? se ne può parlare, a condizione che diventino dei nostri.

Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, quest'ultima espressione - essere dei nostri - è stata sostituita con quella meno compromettente: “...perché non ci seguivano”; peccato...

Invece la risposta del Signore non è stata attenuata dalla nuova traduzione, e ci ricorda con tutta la forza e l'autorevolezza del Maestro di Nazareth che il bene non ha colore politico, né religioso, non ha etichette, non appartiene a nessuno in particolare, ma può essere compiuto da tutti e da ciascuno. La verità del bene non dipende dal documento di identità di colui che lo ha compiuto.
Il bene è veramente cattolico!

Di certo ricorderete la reazione di colui che sarebbe diventato uno dei Dodici, Natanaele - probabilmente identificato con Bartolomeo -, quando Filippo gli confidò di avere incontrato il Messia annunciato dalle Scritture, Gesù di Nazareth: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”... Anche Lui, il Figlio di Dio, fece questa amara esperienza di essere trattato da straniero e da estraneo rispetto al popolo eletto, o dei salvati... Lui che era il Salvatore!

Più e più volte Gesù dovette fronteggiare l'accusa di non essere un israelita DOC, di non far parte dell'entourage dei maestri della Legge... Chissà, l'episodio raccontato da san Luca al cap. 2 del suo Vangelo, noto come la disputa di Gesù dodicenne con i dottori del Tempio, allude forse alle dispute ben più accese e feroci tra il figlio del falegname di Nazareth, ormai adulto, e le autorità religiose di Gerusalemme? “Se io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vostri discepoli, in nome di chi li scacciano?” (Lc 11,19).
La seconda sentenza è quella sullo scandalo.

Secondo il Vangelo, lo scandalo è il danno gravissimo recato a tutti coloro che sono stati traditi nella loro fiducia.

Poco più di un mese fa, in occasione del meeting internazionale sulla famiglia tenutosi in Irlanda, il Papa ha ancora e ripetutamente implorato il perdono nei confronti di quegli uomini e donne che durante l'infanzia, o in gioventù, furono sessualmente abusati da preti e religiosi. Le cifre ufficiali parlano di migliaia di ragazzini e ragazzine. Lo scandalo è oltremodo aggravato dall'atteggiamento

delle autorità ecclesiastiche che misero tutto a tacere, rendendosi complici del crimine.

Scandali, non solo di natura sessuale, di siffatta gravità ce ne sono stati tanti nella Chiesa, e ancora ce ne sono!

Chiedere perdono non basta: come giustamente obbiettò un ministro di culto irlandese intervistato dalla nostra televisione, nei giorni del meeting, non è sufficiente riconoscere il peccato in confessionale; è necessario valutarne la fattispecie di reato e perseguirla in sede penale.

In questo caso, più che altrove, il Vangelo si esprime in termini durissimi: il rischio dello scandalo va eliminato con soluzioni radicali. E la persona colpevole di aver recato grave scandalo merita la morte. Tolleranza zero! Non si fanno sconti a nessuno, tantomeno a coloro che sono i custodi ufficiali della morale, e la violano con la pretesa dell'impunità.

Al termine di questa riflessione mi sento di riassumere l'insegnamento del Signore in una sola parola: coerenza. Vivere ciò in cui si crede; mettere in pratica per primi e meglio, ciò che si annuncia dal pulpito, o da una tribuna elettorale. Questo vale per i ministri di culto, ma non solo. La corruzione morale non è un male che affligge la Chiesa soltanto.

Gli esponenti politici, i capi di industria, i magistrati e, perché no, anche gli artisti: tutti coloro che, oggi più che mai e a diverso titolo, nei settori più diversi della cultura e ai vertici della società, creano il cosiddetto costume, influenzano l'opinione pubblica, orientano i gusti della gente, devono tenere un comportamento irreprensibile nella vita, prima che sul palcoscenico.

Tornando al contesto religioso che oggi ci interessa in prima istanza, il primato della misericordia e del perdono rappresentano, certo, i beni supremi che Cristo ci ha rivelato salendo sulla croce; ma non possono essere confusi con l'indulgenza. È un equivoco frequente, purtroppo, negli ambienti cattolici: la misericordia, il perdono e l'indulgenza non sono sinonimi!

E la pietà non è il modo cristiano per eludere le responsabilità personali!

Il destino di salvezza che tutti ci attende alla fine dei tempi non annulla la drammatica possibilità della rovina eterna, quale retribuzione per coloro che sono morti senza essersi pentiti e aver fatto pubblica ammenda di colpe così riprovevoli quali lo scandalo, tutto ciò che offende gravemente il bene della giustizia e viola l'integrità della vita.

Chi pensasse al Vangelo come a una comoda coperta che nasconde i peccati, in nome della bontà assoluta - e scriteriata - di Dio, non ha ancora capito la lettera del Vangelo...


Fonte:www.qumran2.net/

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