fr. Massimo Rossi “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.”

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Commento su Marco 8,27-35
fr. Massimo Rossi  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/09/2018)

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“Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.”: il Vangelo assegna significati particolari, non convenzionali, a talune parole; questo è un esempio particolarmente significativo: secondo Gesù, “perdere” non significa buttare via; la vita non è un vuoto a perdere. Per Lui perdere significa spendere, dedicare, investire; sacrificare, nel senso di sacrum facere, (nel senso di) consacrare. Anche questa parola, sacrificio, che, secondo la mentalità comune, allude a stati di indigenza e comporta rinunce anche disumane,... alla luce della fede riacquista un valore del tutto positivo. Il sacrificio di sé è sinonimo di santità e conduce alla salvezza!

Certo, il sacrificio di sé non è mai indolore, anzi... Consacrare sé stessi per il Regno dei Cieli è una scelta che può costare lacrime e sangue: il sacrificio contiene sempre una componente di messa a morte, affinché qualcosa di nuovo e di migliore possa nascere.

San Giovanni parla di glorificazione, ma sappiamo che questo termine è solo un modo diverso per chiamare la stessa realtà, la passione e morte del Signore Gesù Cristo.

In particolare Giovanni sottolinea il turbamento del Signore, la sua profonda commozione nell'annunciare ciò che lo attendeva (13,21); “Ora l'anima mia è turbata: e che dovrò dire: Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!”(12,27-28). Per dire che la consapevolezza di Gesù di dover morire, e di dover morire in quel modo, non lo colmava certo di gioia!... Anche a noi viene chiesto di perdere la vita per causa Sua e del Vangelo, ma non ci chiede di farlo col sorriso sulle labbra!...

La riflessione sul sacrificio accettato senza riserve né condizioni in nome di Cristo e della Chiesa - anche della Chiesa?... - si può prestare ad equivoci e fraintendimenti. Si tratta per lo più di interpretazioni integraliste, le quali, come sappiamo per fatti storici antichi e recenti, possono arrivare a canonizzare la violenza del terrorismo pseudoreligioso, indicandolo addirittura come l'esempio più perfetto di martirio.

Deve essere chiaro per tutti che il Signore non cercò mai la morte, non la invocò mai, né per sé, tantomeno per gli altri! Ciò che ha invocato per sé e per i suoi discepoli fu, è il coraggio della fedeltà alla volontà di Dio, fedeltà a qualunque costo... anche quando è in gioco la stessa vita.

La reazione di Pietro non si può facilmente giudicare come una confessione di debolezza: il principe degli apostoli amava profondamente il Signore; lo testimonia la dichiarazione che immediatamente precede: “Tu sei il Cristo!”. Dunque, il rimprovero rivolto al Maestro che aveva appena annunciato la sua imminente passione e morte (e risurrezione), era motivato dal desiderio di proteggere il Figlio di Dio da qualsiasi attacco verbale e non, che proveniva dagli ambienti conservatori del partito religioso al potere, o da qualche squilibrato. Quando si diventa famosi e si appare in pubblico, certi rischi si corrono e li si deve mettere in conto...

In ultima analisi, le letture di questa XXIV domenica, scoraggiano qualsiasi interpretazione irenica e buonista della fede.


Naturalmente, e qui entra in gioco l'insegnamento di san Giacomo, la fedeltà al volere di Dio non si può realizzare se non si approda alla carità! “Se alla fede non fanno seguito le opere, la fede è morta in se stessa.”. Si può parlare di opere (buone) in modi diversi e secondo mentalità differenti: il bene non scaturisce soltanto dalla fede cristiana...per fortuna!

Se il bene fosse tutto e solo frutto di fede vissuta, ce ne sarebbe davvero poco! Perché, di fede autenticamente vissuta e testimoniata ce n'è davvero poca!

Quella cristiana non è una proposta facile.

Non dobbiamo aver paura di proporre ai giovani un cristianesimo che chieda tutto.

E invece siamo tentati di “vendere” - o forse non dovrei dire “svendere”? - il cristianesimo come una spiritualità innocua, accessibile a tutti... Mi preme ribadire questo fatto, a poche settimane dall'indizione del Sinodo mondiale sul tema dei giovani.

Inutile far finta di niente: il mondo dei giovani non ha più la fiducia di una volta nella Chiesa e crede poco in Cristo, almeno (non crede) nel modo che ho tentato di spiegare sopra. Forse perché la stessa Chiesa ha rinunciato ad annunciare il Vangelo così come lo intendevano i primi apostoli, all'indomani della Pentecoste...

Addomesticare la fede, rendendola compatibile con il progressivo imborghesimento dei pastori e delle autorità religiose in genere, ha prodotto l'effetto che già si notava ai tempi di Gesù, e che scatenò la polemica tra Lui e gli anziani, i capi dei sacerdoti e gli scribi, con l'esito che sappiamo.

La morte di Dio non è solo il frutto della riflessione filosofica di Marx, Nietzsche e Freud...

Comunque, i maestri del sospetto e i teorici della morte di Dio non costituiscono, né hanno mai costituito un vero pericolo per la fede; alla fine lo abbiamo capito... Al contrario, con il loro pensiero hanno sfidato la Chiesa a reagire al torpore secolare, per dare nuovamente ragione della speranza che è in lei.

Dobbiamo temere piuttosto il danno che può arrecare alla fede e al messaggio cristiano l'inerzia dei fedeli, la controtestimonianza, financo lo scandalo dei rappresentanti religiosi, dei custodi della dottrina cattolica... Del resto, lo ripeto, era così anche ai tempi di Gesù. La sua eliminazione fu voluta e decisa nelle stanze del Tempio!

E così la ragion di stato e la morale ebbero la meglio sulla verità della fede.

Non siamo troppo severi con Pietro, con Giuda, con Caifa, con Pilato, con Erode,...

O se proprio vogliamo esserlo, usiamo lo stesso metro di giudizio per valutare i nostri atteggiamenti, le nostre scelte, il nostro modo di concepire la fede e di realizzarla nella storia presente...

Fonte:www.qumran2.net

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