FIGLIE DELLA CHIESA,Lectio «Che cosa vuoi che io faccia per te?»

XXX Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 22 Ott 18  Lectio Divina - Anno B

Il Vangelo, fulcro di ogni liturgia, prosegue la sua narrazione dalle domeniche precedenti. Nel brano letto domenica scorsa Gesù si pone come esempio e modello del servizio. I versetti che seguono e che prendiamo oggi in considerazione sembrano proprio un “escalation” del servizio che si fa dono fino alla fine: Gesù è in cammino verso Gerusalemme dove ci sarà il compimento, dove donerà tutto se stesso per l’uomo. In queste ultime settimane dell’anno liturgico anche a noi è chiesto come al cieco mendicante di guarire dalla nostra malattia per proseguire con “ferma decisione” (Lc 11) verso Gerusalemme, dietro al Signore.

“…mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e molta folla...”: Gesù parte da Gerico, una città al di sotto del livello del mare, posta alle porte di Gerusalemme, è la porta della terra promessa tanto attesa e cercata… è la nuova porta per passare dalla staticità della propria condizione al cammino nella fede. Intraprendiamolo questo viaggio, cercando di seguire il Signore non come fanno i discepoli camminando fisicamente ma un po’ distratti nel cuore (cf Mc 10, 35-45) quanto piuttosto come Bartimeo, umile mendicante di Dio.

“…il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare…”: il protagonista di questo episodio è un povero, un cieco che mendica. Chi chiede l’elemosina accoglie qualsiasi cosa. Chi ha fame non bada alla qualità del cibo ricevuto ma si abbuffa con la prima cosa che trova, a volte raccogliendola perfino dai cestini. Così è per noi, per la nostra vita spirituale. In tutti noi c’è un mendicante che, affamato, si nutre della prima cosa a disposizione. Non sempre però è ciò che ci fa crescere, ciò che ci fa uscire dalla condizione in cui viviamo. La situazione di questo cieco è la staticità. Il testo infatti dice “sedeva…”. Una delle tentazioni più forti della nostra vita è quella di stare anche noi seduti, fermi, bloccati, quasi paralizzati nella condizione in cui siamo, senza proseguire verso la meta che ci attende, mettendo invece radici sempre più profonde. Papa Francesco più volte ci ha ripetuto che il peccato non è semplicemente cadere ma “rimanere caduti”.

“Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».”: Bartimeo, nonostante la cecità non è abbandonato a se stesso perché ha ancora la capacità di ascoltare. Mai saremo così poveri da non avere almeno un appiglio per riprendere il cammino! E con l’udito, forse più con l’orecchio del cuore che con quello fisico, sente che sta passando il Signore. Non grida con ogni passante ma solo quando sente che sta passando Gesù Nazareno. Magari nella nostra vita avessimo lo stesso orecchio vigile per sentire i Suoi passi che si fanno vicini a noi…

“Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».”: ciò che blocca il nostro grido, spesso e volentieri, non sono le folle, ma quello che abita il nostro stesso cuore. Quante sono le voci nel nostro cuore che ci vogliono tenere legati nella nostra cecità! È bello però riconoscere come il bene voglia vincere a tutti i costi e qui, il desiderio di guarire e di cambiare ha la meglio. Certo fondamentale è la tenacia, l’energia con la quale Bartimeo chiede, implora l’intervento del Signore. Non sappiamo se lo ha fatto per disperazione o se col cuore colmo di fede pura ma, a quanto pare, questo non è interessato al Signore. Egli infatti si aggrappa anche a un miserissimo briciolo di “virtù” pur di non lasciarci mendicanti a bordo strada.

“…Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!»:” il Signore ascolta il grido, non può rimanere sordo davanti a un cieco! Lo fa chiamare, lo fa avvicinare a Lui infondendo coraggio per ripartire. E Bartimeo trovando lo slancio di cui aveva bisogno, balza in piedi e lascia il mantello, getta via ciò che è di impedimento, lascia ogni “sicurezza”, o meglio, ogni ricordo del pesante passato. È interessante notare che qui non è ancora guarito, ma per il solo fatto di sentirsi chiamato dal Signore è stato in grado di fare un salto, un cambiamento, un primo passo di “risurrezione”.

“…Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!» …”: il Signore lo sta prendendo in giro? Chiede ad un cieco che mendica e sta a bordo strada a causa della malattia, rifiutato e abbandonato, chiede che cosa vuole. Non lo sa? Il Signore fa domande scontate? Perché? Una risposta molto semplice è questa: spesso i primi a dover riconoscere che siamo ciechi siamo noi! È facile vedere la cecità dell’altro, più difficile è riconoscere la propria. Ecco allora che il Signore aiuta Bartimeo a dare un nome alla malattia, alla fatica che vive non per condannarlo ma per riconoscersi nella verità e quindi poter ripartire. Bartimeo invece di tendere la mano per mendicare falsa salvezza, ora la tende all’Unico che può guarirlo fino in fondo: il suo Redentore. Bartimeo si abbandona così totalmente a Dio, consegna la sua miseria a Colui che gli permette di fare un cambio radicale. “Che io veda di nuovo!” letteralmente “che io veda in alto”: chiede che gli venga donato uno sguardo che si volga verso l’alto, non più semplicemente “raso terra”, ma che impari dallo sguardo di Dio. Il vero miracolo, anche per la nostra vita è di imparare ad affidare la miseria che ci blocca a Dio, senza dover più mendicare da chiunque per soddisfare i nostri bisogni e, con occhi misericordiosi, imparare a guardare prima di tutto la nostra vita e quindi quella degli altri con lo stesso sguardo di Dio. Il Signore si fa proprio maestro perché insegna a Bartimeo ad educare i propri desideri. E noi che cosa chiediamo a Dio?

“…E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.”: il nostro cammino di fede è lo stesso di Bartimeo: è un cammino di guarigione, di liberazione dalla cecità per avere uno sguardo nuovo. La vista riacquistata permette di “vedere” e, quindi, di seguire il Maestro. Il cambio è radicale: dalla staticità della malattia alla sequela dinamica verso Gerusalemme.

Chiediamo al Signore il dono della stessa fede “perentoria” di Bartimeo perché senza paura affidiamo al Medico ogni nostra infermità, certi che il nostro grido non rimane inascoltato e, come canta il preconio pasquale, potremmo dire “felix culpa”, “felix caecitas” e fare lo stesso salto di Bartimeo!

Fonte:www.figliedellachiesa.org

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