Monsignor Francesco Follo, Lectio "Alla fine della vita saremo giudicati sull'amore"

Alla fine della vita saremo giudicati sull'amore

Riflessioni per tre feste:
1 novembre 2018, Solennità di tutti i Santi, Ap 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12  
2 novembre 2018, Commemorazione dei defunti,
4 novembre 2018, Domenica XXXI del Tempo Ordinario – Anno B –
Rito Romano
Dt 6,2-6 - Sal 17(18) - Eb 7,23-28 - Mc 12,28b-34 
Alla fine della vita saremo giudicati sull'amore (San Giovanni della Croce)
Rito Ambrosiano
II Domenica dopo la Dedicazione del Duomo
Is 56,3-7; Sal 23; Ef 2,11-22; Lc 14,1a.15-24
Il Signore si rivela a chi lo ama.

A - LA FESTA DI TUTTI I SANTI.
1) La Ognissanti, festa della felicità.
Le letture di questa festa ci aiutano a capire chi è veramente il cristiano. Cristiano è colui che come Cristo vive le beatitudini da Lui pronunciate nel gran discorso della montagna (Vangelo). Cristiano è chi porta il sigillo di Dio sulla fronte e indossa la bianca veste lavata nel sangue dell'Agnello (prima lettura). Cristiano è colui che è stato fatto figlio di Dio e vive con l'ardente speranza dell'incontro definitivo con il Padre (seconda lettura).

Penso sia giusto leggere o ascoltare le Beatitudini come autoritratto di Gesù e come indicazioni autorevoli per poter far parte di questo ritratto di una Persona felice che porta la felice notizia che Dio è presente tra noi e in noi.

 “Beati...” cioè “Felici”; è la nostra vocazione; una vocazione che, sicuramente abbiamo visto realizzata in tante persone, che hanno fatto parte della nostra vita, della nostra piccola storia personale, o che sono ancora presenti in essa: persone che ci mostrano concretamente la via da percorrere, persone che ci incoraggiano e ci aiutano, con la loro testimonianza, a camminare sulla via di una santità quotidiana, seria e generosa.

2) Perché una festa di Ognissanti?
Per celebrare Dio, facendo memoria di uomini veri, che hanno accolto Dio pienamente nella loro vita. La festa di Ognissanti è un grandioso invito all’autenticità, è una presa di coscienza del mistero infinito della nostra vita: Dio è Amore, ci ama e siamo santi quando siamo radicati e fondati in questo vero Amore per fare memoria che “tutto è Grazia” e per rendere vera in ogni fedele la frase con la quale Bernanos termina il suo libro “Diario di un Curato di campagna”: “Ho una nostalgia sola, quella di non essere santo”.
Purtroppo oggi la parola “santo” sembra fuori moda, inadeguata all’oggi. Suona come un’eco di un mondo passato, lontano. Spesso viene usata in modo ironico, per dire che uno è un ingenuo. Si preferisce l’espressione “buon uomo” per indicare che uno si dedica generosamente al bene comune, e “galantuomo” per dire che una persona è moralmente ineccepibile: un modello da imitare.
Per i cristiani il “modello” da imitare è il Santo, che non è solo un protettore a cui ricorrere in caso di bisogno. Un modello non solo di vita buona spesa per gli altri, ma di risposta all’amore di Dio. E’ un modello di uomo vero, autentico che aderisce a cristo e con Cristo diventa pietra angolare per il mondo intero.
I santi non sono una categoria particolare di uomini, separati dagli altri da una grata e guardati da noi spettatori, che li osserviamo dal basso e dal di fuori. Essi mostrano con la loro vita che il programma dell’amore, che Gesù sviluppa nel Discorso della Montagna in cui enuncia pure le Beatitudini, è di una semplicità e chiarezza travolgente.


3) Come diventare santi?
Rispondo dando quattro suggerimenti.
Prima di tutto, domandandolo umilmente e quotidianamente al Signore. In secondo luogo, chiedendo al buon Dio la grazie di credere alle Beatitudini e di praticarle. Terzo, facendo nostra la frase di Paul Claudel nell’ “Annuncio a Maria” : “Santità non è farsi lapidare in terra di Paganìa o baciare un lebbroso sulla bocca, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di restare al nostro posto, o di salire più alto”. Infine “contemplare il volto dei Santi e trovare conforto nei loro discorsi”, e capiremo che “tutto è grazia”. E’ una chiamata a riscoprire che noi siamo autentici, veri, che noi raggiungiamo il perfetto compimento della nostra vocazione di uomini quando entriamo in un dialogo d’amore in cui ci si “perde” in Dio, facendo la sua volontà cioè realizzando il suo amore.
Santa Teresa del Bambin Gesù (morta a 24 anni) ha mostrato che essere santi, non è il risultato di uno sforzo dell’uomo, ma un dono di Dio da condividere. Questa Santa Suora di Lisieux è universalmente conosciuta come la Santa che ha insegnato al mondo la "Piccola via dell’infanzia spirituale" e ha parlato spesso della necessità di "farsi piccoli davanti a Dio" e di aver trovato "una via tutta dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova" per andare in cielo.

B) LA COMMEMORAZIONE DI TUTTI I MORTI
1) Ricordare i nostri morti anche come maestri.
La santità non è una anormalità, essa è la norma La santità non è una connotazione morale, ma il frutto della grazia di Dio nella persona umana e nella Chiesa. Ma se i santi sono modelli e maestri di vita cristiani, non va dimenticato che anche i morti lo sono. Che senso avrebbe andare al cimitero per visitare le tombe dei nostri defunti, se non credessimo nella Risurrezione e se non coltivassimo la fede nella risurrezione nostra e dei nostri cari, che ci hanno preceduto nella vita e nella fede?
Don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, non grande paese della mia diocesi di Cremona, diceva che il cimitero può essere «la prima chiesa del villaggio, cioè una scuola, una casa di giustizia e una casa di riparazione. Se anche tacessero le campane sul campanile, se la chiesa domani non fosse più e il prete non potesse più parlare, finché rimarrà il cimitero in un paese, Dio avrà il suo profeta e la religione i suoi preti. Perché i morti sono i profeti e gli angeli di Dio, i quali gridano a noi: fratelli la vita non è qui, ma lassù».
Rechiamoci dunque al Cimitero non per commemorare i defunti come ombre, ma come persone che trovandosi al cospetto di Dio ci possono fare capire la sua parola d’amore, di Padre che tutti accoglie.
2) La preghiera santifica.
E preghiamo per i nostri morti. Anche S. Agostino sottolinea la grande importanza delle preghiere per i defunti dicendo: "Una lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo". E stiamo sereni perché “non si pèrdono mai coloro che amiamo, perché possiamo amarli in Colui che non si può perdere” (Sant'Agostino).
Ricordiamo i defunto soprattutto con la Santa Messa, perché i morti sono santificati come i vivi dai doni dell’altare. A questo riguardo Nicola Cabasilas scrisse “Questo divino e sacro rito della Messa risulta doppiamente santificante. In primo luogo per l’intercessione. Infatti i doni offerti, per il solo fatto di essere offerti, santificano coloro che li offrono e coloro per i quali sono offerti e rendono misericordioso Dio nei loro riguardi. In secondo luogo santificano per mezzo della Comunione, poiché sono un vero cibo ed una vera bevanda, secondo la parola del Signore.
        Di queste due maniere la prima è comune ai vivi ed ai morti, poiché il sacrificio si offre per entrambe le categorie. Il secondo modo vale per i soli vivi, poiché i morti non possono né mangiare né bere. Che dunque? Per questa ragione i defunti non beneficeranno di questa santificazione e sono meno avvantaggiati dei vivi? Per nulla. Poiché il Cristo si comunica a loro nel modo che egli sa” (Da “Spiegazione della Divina Liturgia”, cap. XLII).

C) XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno – 4 novembre 2012.

1) Il comando dell’Amore illumina il cuore e la mente.
La liturgia del 1° e del 2 novembre ci insegnano che se crediamo all’Amore eterno di Dio, possiamo comprendere che Cielo e Terra sono aperti uno sull’altro. Il Vangelo di oggi ci insegna che Cristo ci comanda un amore aperto verso il cielo e verso la terra, un amore che si fa luce ai nostri passi.
All'interrogativo dello scriba «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». (Mc 12,28), Gesù risponde citando due testi che ricorrono nella meditazione di Israele: un passo del Deuteronomio («Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua forza»), e un passo del Levitico («Amerai il tuo prossimo come te stesso»). I doveri dell'uomo sono certamente molti, ma Gesù invita l'uomo a non smarrirsi nel labirinto dei precetti: l'essenza della volontà di Dio è semplice e chiara: amare Dio e gli uomini.
È giusto che la legge si occupi dei molti e svariati casi della vita, a patto però che non perda di vista quel centro, che dà vita e slancio a tutta l'impalcatura. Questo centro è l'amore. 
Gesù risponde allo scriba che il primo dei comandamenti non è uno solo, ma due, però strettamente congiunti, come due facce della stessa realtà. È nella capacità di mantenere uniti i due amori - l'amore a Dio e l'amore al prossimo - la misura della vera fede e della genialità cristiana.
C'è chi per amare Dio si estranea dagli uomini, e c'è chi per lottare a fianco degli uomini dimentica Dio.
A quale Dio ci riferiamo, se diciamo di amarLo e trascuriamo il prossimo, non avendo cura dei nostri fratelli e sorelle in umanità? Non certo al Dio di Gesù Cristo. E se diciamo di amare il prossimo e di essere al suo servizio, ma poi rifiutiamo di amare l'unico Signore, allora – ci insegna la Bibbia - cadiamo facilmente in potere degli idoli.
Senza dire - e questo è, in un certo senso, ancora più grave - che proprio mentre vogliamo aiutare l'uomo ad essere più uomo, rischiamo di allontanarlo dal suo bisogno più profondo, dalla sua ricerca più essenziale che è - appunto - la ricerca di Dio. 
L'evangelista Marco riporta alcune parole che invece Matteo e Luca tralasciano: «Ascolta, Israele, il Signore Dio nostro è l'unico Signore». Dio è l'unico Signore, Lui solo è da adorare. Il prossimo è da amare, ma non da adorare. La dedizione al prossimo non esaurisce la sete di amore dell'uomo. È l'apertura a Dio che conduce a compimento l'apertura al prossimo. È Dio infatti il punto a cui il nostro essere tende, del quale abbiamo un'insopprimibile nostalgia, come il seme tende con tutto se stesso a uscire dalla terra. E’ questo l’insegnamento che ci viene anche dal Vangelo proposto oggi dalla liturgia ambrosiana, il cui tema principale è che “Dio si rivela a chi lo ama”.
In conclusione.
A questo punto sorge spontanea la domanda come acquisire per noi e accrescere in noi la carità di Dio?
Per rispondere mi servo di San Tommaso d’Aquino, il quale insegna che
a) per acquisire la carità, dono di Dio occorre:
l’ascolto diligente della Parola di Dio,
il costante pensiero di cose buone,
b) per accrescere in noi la carità è necessario:
il distacco dalle cose terrene (che implica almeno la separazione del cuore dei beni materiali),
ferma pazienza nelle avversità.

Queste 3 feste celebrano la Carità, che santifica, che vivifica, che illumina il cammino nostro da qui all’eternità.



Queste tre feste ci richiamano la dimensione escatologica della Chiesa, dimensione che è particolarmente vissuta nell’Ordo Virginum, di cui il Beato Giovanni Paolo II ha detto: “È motivo di gioia e di speranza vedere che torna oggi a fiorire l'antico Ordine delle vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal Vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano, pur restando nel mondo. Da sole o associate, esse costituiscono una speciale immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l'amore per Cristo Sposo.” (Esortazione Ap. Post-Sinodale, Vita consacrata, n. 7, 25 marzo 1996).
Le Vergine consacrate hanno una spiritualità escatologica, perché la loro vita tende alla visione di Dio e loro sono chiamate a vivere e testimoniare in modo particolare un’esistenza che deve sempre essere ordinata alla realtà ultima e definitiva, cioè escatologica.

Sintetico commento etimologico
Come lo evidenzia G. Kittel nel Grande Lessico del Nuovo Testamento, III, 995-1000, la parola eschatos (ultimo), nelle sue differenti forme (aggettivo, sostantivo, avverbio) è varie volte usata nel Nuovo Testamento per indicare la definitività della salvezza in Cristo, nella tensione “presente-futuro”.
Il termine “escatologia” ha differenti sfumature, che lasciano intravedere l’insieme dei significati che la parola ha: dal significato classico di escatologia come discorso sulle realtà ultime a quello di discorso sul futuro della storia aperta all’uomo da Dio., a quella dell’escatologia come definitività alla riflessione teologica sulla Speranza.
Nella “ultime cose” – Novissima, i Novissimi: morte, giudizio, inferno, paradiso – si ha la conclusione della vita dell’uomo nuovo, salvato da Cristo, e la sua ragione d’essere.

Meditiamo su questo brano della preghiera della Consacrazione delle Vergini:

« Tu vuoi non solo renderle alla loro innocenza originaria ma anche condurle fino all’esperienza dei beni del mondo a venire. E già da ora tu le chiami a permanere alla tua presenza come gli angeli davanti al tuo volto»


Fonte:http://francescofolloit.blogspot.com/

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