P. Marko Ivan Rupnik, Commento XXXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

XXXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
Mc 12,38-44
Congregatio pro Clericis

Il brano di oggi riporta le parole di Gesù che precedono il suo discorso apocalittico. Vi leggiamo una critica agli scribi che diventa un avvertimento ai discepoli affinché imparino a “guardarsi” da loro e dai loro atteggiamenti.

Già nella pericope precedente, il Maestro aveva incominciato a insinuare un dubbio sull’insegnamento degli scribi poiché essi tendevano a legare il Messia al Re Davide per una pura questione di potere. Oggi esorta a guardarsi da loro cioè a starne lontani (cf Mc 12,38).

Che cosa c’è di così pericoloso in questi scribi? Le loro lunghe vesti hanno molto stuzzicato la fantasia degli esegeti moderni per comprendere cosa avesse meritato l’attenzione di Cristo. Probabilmente essi si vestivano di tuniche particolari, somiglianti a quelle dei sacerdoti del tempo e le indossavano per distinguersi e colpire chi li vedeva. Si trattava, infatti, di una sorta di divisa portata semplicemente per sottolineare la separazione dalla gente comune. Essi, infatti, si ritenevano quelli che parlavano in nome di Dio e quelli che potevano giudicare perché conoscevano la dottrina. Di fatto questo tipo di abbigliamento mostrava che chi le indossava altro non era che una specie di manichino. Un tale vestiario appariscente poteva attirare l’attenzione come per una sfilata, ma, in verità, rivestiva il “niente” e manifestava un ego ingigantito, un io gonfio e ingrossato, una natura totalmente dominata da una volontà auto-affermativa. Questi presunti sapienti del tempo erano talmente pieni di sé da usare la fede, Dio e tutta la tradizione solo per se stessi, con tanto di pretesa dei saluti speciali sulle piazze, inchini, baciamani. L’apice di questo egocentrismo ed egoismo è segnalato da Gesù che svela come essi arrivassero fino a divorare le case delle vedove (Mc 12, 40), approfittandosi di donne indifese che alla morte del marito avevano bisogno del loro ufficio di legali per sistemare testamenti ed eredità.

La vedova di Zarepta è stata benedetta perché ha incontrato un vero profeta, Elia, che le ha chiesto, ma le ha anche ridato in abbondanza. Infatti, l’orcio dell’olio e la giara della farina - grazie all’uomo di Dio - non si sono mai più svuotati. Al contrario, incontrando gli scribi ci si trova di fronte a falsi profeti, ben lontani da quanto il Deuteronomio prescrive come attenzione per le vedove (cf Dt 10,18; 24,17).

Nel tempio, nel cortile delle donne, c’erano tredici sharafat, ovvero tredici buchi a forma a tromba dove si gettavano le offerte, fatti in bronzo affinché risuonassero.  Più monete si buttavano dentro più risuonavano, anche se non erano di nessun valore. Questo è il bene per cui si suonano le trombe (cf Mt 6,2). Uno di questi sharafat però, a differenza degli altri, era molto più semplice e senza alcuna scritta, senza nessuno che accogliesse questi doni e soprattutto controllasse le offerte. È davanti a questo che probabilmente si reca la vedova, senza testimoni, senza il bronzo che risuona: ella ha troppo poco ma lo mette tutto lì dentro.

Perciò è chiaro che l’unica vera condanna che Cristo pronuncia nel Vangelo sia contro questi scribi e quelli che li seguono, contro quelli che usavano tutte le astuzie per mettere pesanti fardelli addosso alla gente. Non condanna i ‘peccatori classici, convenzionali’, ma i falsi religiosi. Il Figlio di Dio è chiarissimo: questa vedova è così povera che non poteva gettare molto, perché non lo aveva, ma è quella che ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. In greco il versetto è molto bello perché quando dice ‘nella sua miseria’ usa il termine hysterēseōs che esprime l’essere nel bisogno, il sentire la mancanza. Lei, cui mancano le cose, lei che era nel bisogno, ha gettato ciò che aveva per vivere, o, meglio ancora, ha dato ciò che aveva per la propria vita (Mc 12, 44).

Ha buttato tutto, come il cieco di Gerico aveva buttato via il mantello. Perciò lei è immagine del vero discepolo, perché per lei la fede era la vita. Per gli scribi, invece, l’apparente religiosità era soltanto una messa in scena per ottenere potere, prestigio sociale, economico, culturale e politico, per apparire un’altra cosa rispetto a ciò che essi erano nella realtà. Infatti, sotto il manichino religioso, si dimostrano per quello che sono: un rapace che prende per sé.

La domanda è sempre la stessa: dove ci ha portato un cristianesimo assetato di potere, del lusso delle lunghe vesti, delle divise, di tutto ciò che è stato creato per distinguersi, per farsi notare, per guadagnare denaro e potere, pur sotto tante pretese buone? Anche oggi continua la resistenza contro chi vorrebbe smantellare questo edificio vuoto, fatto di pretese e di dominio, che non giova a nulla e a nessuno.

Non c’è nei Vangeli una parola su come era vestito Cristo, se non il ricordo del mantello indossato durante passione che diventerà il suo mantello di gloria e il ricordo della tunica senza cuciture che i soldati tirarono a sorte. Risuona chiaro l’invito dell’Apostolo: “Rivestitevi del Signore Gesù” (Rm 13,14) il quale “spogliò se stesso” (Fil 2,7).



P. Marko Ivan Rupnik

Fonte:http://www.clerus.va

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