P. Marko Ivan Rupnik, “Questo sarà il principio dei dolori”

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
Mc 13,24-32
Congregatio pro Clericis

Il capitolo 13 del vangelo di Marco contiene una dinamica complessa nella quale la storia - per il suo aspetto drammatico e fragile -  è presentata come un parto. “Questo sarà il principio dei dolori” (Mc 13,8). La parola greca odinon dice proprio le doglie del parto. È il parto di un mondo nuovo, il compimento della creazione del mondo e della storia attraverso l’apparizione di Cristo Risorto che risucchia la storia verso il compimento che è in Lui, anzi che è Lui. I segni della fragilità del creato e della storia permettono di intravedere l’eschaton, la piazza d’oro dalla quale la liturgia in qualche modo attira a sé i figli della storia frantumando quella corteccia che, come sfoggio, San Giovanni nell’Apocalisse impedisce di vedere oltre e diventa dura, pesante proprio a causa dei grandi e dei potenti, tali perché basati sulle cose che ingombrano e deviano nascondendo quello che sta dietro. L’Apocalisse, invece, rivela da dove è realmente guidata la storia e libera dall’inganno di pensare che la storia sia condotta esclusivamente da coloro che si appoggiano su fondamenta sbagliate. Diventa chiaro che le decisioni dei potenti di questo mondo e la loro mentalità oscurano e rendono impenetrabile la verità che sta dietro il dispiegarsi del tempo.

Quando queste cose terrene cominciano a crollare e la corteccia si fa più sottile noi possiamo intravedere il senso della storia, questa è l’apokalypsis. Già la parola fa vedere che si allontana il nascondimento, cioè ci si comincia ad avvicinare a ciò che è vero. Questo è il significato di apocalisse, non tanto una serie di eventi drammatici in sé, quanto piuttosto lo svelamento del significato degli avvenimenti e la percezione del loro senso.

Ci sarà un oscuramento del sole e della luna (cf Mc 13,24). Sole e luna sono le coordinate statiche. L’Apocalisse sarà la chiusura del fattore statico per spegnimento e infine un ultimo movimento della storia, ossia la caduta. Il Deuteronomio distingue molto bene tra Israele e i popoli che adorano le stelle, il sole, la luna, l’esercito celeste (cf Dt 4, 19-20). Israele è chiamato a una storia di relazione, di alleanza, mentre gli altri si appoggiano altrove. Isaia stesso descrive la fine di un impero: “Tutto l’esercito celeste si dissolve, i cieli si arrotolano come un libro, tutto il loro esercito cade come cade il pampino dalla vite, la fogli avvizzita del fico” (Is 34,4). Quando la storia si arrotola cadono proprio loro, cioè quelli che si ritengono figli di queste stelle, figli del sole. “Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’Aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore dei popoli? Eppure tu pensavi nel tuo cuore: Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono” (Is, 14, 12-13).

Teologicamente possiamo dire che quando dopo il peccato perde il soffio, la dimensione spirituale che Dio ha dato alla creazione, l’uomo si sottomette alla sua natura mortale e succhia dalla natura del creato la potenza di vivere, ciò che nel creato sembra potente. Tutti questi figli del sole, della luna, delle stelle, sono figli di qualcosa dal quale si può succhiare il proprio potere, la propria forza.

Berdjaev nelle sue riflessioni dice che Paolo fa vedere che il cristianesimo ha liberato l’uomo da queste potenze, perché siamo diventati figli di Dio e non più figli delle stelle e di queste potenze nell’aria, alle quali ci siamo sottomessi. La storia mostra che ad un certo punto è l’intelligenza a diventare il punto di forza dell’uomo ma questo non cambia la sostanza, l’uomo rimane sottomesso a quello da cui prende la forza, sia esso il cosmo o l’ideologia.

La forza della vita, invece, l’uomo la può prendere solo da Dio, non se la può dare da solo, deve essere rigenerato. Noi possiamo conoscere Dio solo come figli, perché Lui è Padre. La storia è una generazione, un parto dell’uomo nuovo, dell’uomo secondo Dio.

Dio ci sta dando la vita attraverso questa fragilità della storia, questo inizio dei dolori, questa corteccia che si rende più sottile affinché possiamo vedere che l’unica cosa che veramente resiste a tutto e che può essere fondamento di tutto è la comunione che è il nostro Dio. Nell’ora della crocifissione, quando tutto scricchiola e trema, l’unico punto fermo è la fedele relazione Padre - Figlio. Sono le relazioni di Dio che rimangono come l’unica cosa solida, tutto il resto crolla. Né il cosmo, né le idee, solo l’amore rimane.

Da questo amore emerge il Figlio dell’uomo, cioè l’uomo secondo Dio, l’uomo compiuto. Perché questa comunione con Dio include l’uomo e lo rende divino, altrimenti qualsiasi tentativo di diventare divini subisce una nuova ideologia e rende sempre più spessa la corteccia tra il già e il non ancora impedendoci di vedere il senso della storia, degli eventi, degli incontri, della vita, là dove la fedeltà di Dio emerge come fondamento di tutto.



P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va

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