Padre Paolo Berti, “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”
XXXIII Domenica del T. O.
Mc 13,24-32
“Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”
Omelia
Le letture che la liturgia eucaristica odierna ci presenta ci invitano a mantenerci attenti agli eventi ultimi. Essi sono essenziali per rimanere lontani da appiattimenti nel presente e rimanere quindi in cammino verso la meta eterna.
Rimanere serrati nel presente senza sguardo sul futuro, sul futuro che la rivelazione ci prospetta, significa sciupare il nostro tempo, non viverlo veramente. E noi assistiamo sempre più ad un mondo appiattito sul presente, che non pensa al futuro, e non dico quello eterno del cielo, ma neppure al domani; il domani sarà fatalisticamente "quel che sarà", come dice una canzone notissima. E' la rinuncia a pensare il presente come carico di futuro. Il futuro sarà quello che si costruisce con l'oggi; e quando giungerà il futuro diventerà il nostro oggi che ci siamo costruito su questa terra, e l'oggi eterno dell'aldilà. Daniele ci dice che tutti risorgeremo. Tutti, buoni e cattivi, ma con diverso esito: "Gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna".
"Molti", dice il testo, esprimendo lo stupore di fronte al numero immenso dei risorti. Numero ben più grande di quello che poteva immaginare Daniele, vincolato alla conoscenza di un mondo allora geograficamente ristretto, e alle date popolari che la tradizione presentava circa la creazione dell'uomo. Noi oggi possiamo avere il brivido dei "molti" se consideriamo non solo il mondo intero, ma le tante migliaia di millenni trascorsi dalla creazione dell'uomo.
Il futuro che la parola di Dio ci presenta non riguarda solo l'aldilà, ma anche l'aldiquà. La parola di Dio circa il futuro sulla terra ci toglie l'illusione di un mondo spensierato, dove "i nodi non vengono al pettine". Ma i nodi vengono al pettine, in maniera drammatica. Daniele, nel testo ascoltato, ci parla dei tempi ultimi dove ci sarà un "tempo di angoscia, come non c'era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo", e il Vangelo ci parla di una "tribolazione" alla quale seguirà uno sconvolgimento, che ci viene presentato con tipico linguaggio apocalittico: sole e luna che non daranno più luce, astri che cadranno sulla terra. Queste forti parole impediscono il pensiero di tempi futuri sempre rosei, e perciò ci fanno cauti per non cadere in un ottimismo stolto, con la conseguenza di finire poi nello sgomento di fronte a fatti sconvolgenti. Il peccato ha già sulla terra esiti tragici; non bisogna mai dimenticarlo.
Il futuro che ci presenta la parola di Dio ci interessa grandemente per orientare bene il nostro presente. Dunque, è impossibile non cercare di capire qualcosa di più sui due testi visti: Daniele e Vangelo.
Innanzitutto, quel tempo di angoscia di cui parla Daniele abbatterà i superbi, e gli umili non dovranno che rallegrarsi della loro fedeltà a Dio. Gli umili avranno vittoria. Dio in quel tempo salverà Israele, che entrerà a far parte della Chiesa. Attualmente il popolo di Dio, che è uno solo, è diviso in due tronconi: uno morto (Israele), l'altro vivo (la Chiesa). Allora, "in quel tempo", non ci saranno più due tronconi, ma un solo tronco, vivo, che segnerà il tempo della civiltà dell'amore. La salvezza operata da Cristo sarà accolta finalmente da Israele. Daniele precisa che si salveranno quelli che saranno scritti nel libro (Cf. Es 32,32-33; Ps 69,29; ecc.), cioè che saranno veri ricercatori della verità, e non deformatori delle Scritture.
Dunque, dopo il tempo di angoscia un tempo magnifico, ma questo viene presentato in termini tali da non produrre spensieratezza, perché esso è un evento che fa parte del tempo finale (nessuno qui voglia congetturare anni o decenni di anni), centrato sulla fine del mondo, a cui seguirà la risurrezione dei morti.
Gesù presenta il popolo ebraico profondamente condizionato "da questa generazione", che trasmetterà il suo rifiuto del Cristo ai futuri suoi componenti. Ma l'influsso di “questa generazione”, causa di tanti mali sulla terra poiché vorrà frenare l'estendersi del Vangelo (1Ts 2,15), passerà di fronte agli sconvolgimenti futuri; certo, espressi in termini apocalittici, ma non in disconnessione totale con la futura realtà. Dopo quegli sconvolgimenti "vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria".
Non si tratta della venuta finale, ma dell'affermazione di Cristo su tutta la terra. Gesù davanti al sinedrio disse (Mt 26,64): "D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo"; dunque il Cristo risorto, vincente, che stabilisce la civiltà dell'amore sulla terra, per mezzo della Chiesa, poi verrà la fine (Mt 24,14; Ap 20,7) e la venuta trionfale del Signore che segnerà la vittoria completa sul male e sulla morte e quindi l'ultimo e conclusivo venire sulle nubi del Figlio dell'uomo.
Cristo risorto è l'Imprendibile, la sua vittoria non può essere insidiata e sempre si attua: verrà sulle nubi del cielo. “Verrà” trionfatore dopo che il mondo avrà sperimentato le conseguenze della proprie strategie senza senno: sarà il tempo della civiltà dell'amore. Verrà poi trionfatore a giudicare i vivi e i morti nella sua finale venuta. Il testo escatologico del Vangelo è come un cannocchiale, dove una parte si apre su di un'altra. Nel Vangelo ascoltato Gesù si riferisce alla caduta di Gerusalemme, come tipo per descrivere la caduta della superbia della città terrena, che l'Apocalisse definisce "Babilonia la grande" (18,2), e la sconfitta della superbia della città terrena diventa tipo della fine del mondo. Detto ciò, fermiamo le nostre curiosità più di tanto. Le curiosità sono mosse dalla voglia di giungere a saper tutto, ma sapere tutto non ci servirebbe, solo ci turberebbe, ci gonfierebbe, ci paralizzerebbe. Gesù per questo ci ha detto solo quanto necessario. Ci basti sapere che non dobbiamo mai cadere in un ottimismo stolto che ci serrerebbe nel presente. Quanto ci ha detto il Signore sul futuro non dobbiamo dimenticarlo.
La tribolazione che il Vangelo ci presenta - il tempo di angoscia che Daniele ci annuncia - è un evento voluto dal peccato, ma ma non si ferma l'attività dell'amore, la quale abbrevierà quei giorni di tribolazione (Cf. Mc 13,20), che altrimenti "nessuno si salverebbe". Fuori dubbio: se io oggi vivo dissipato, lancio attorno a me un anello di buio, che va più in là di quello che immagino; se al contrario vivo positivamente lancio un anello di luce che ristora, che determina un domani di pace. Il futuro comincia con il presente.
E dunque, non è grande stoltezza chiudersi nel presente, dimentichi della meta eterna che ci aspetta; magari dicendo fatalisticamente che "sarà quel che sarà"? Sicuramente sarebbe grande stoltezza dimenticare di agire nel presente perché incollati a guardare "quel che sarà", e saremmo incollati nel presente se Dio volesse esaurire le nostre curiosità sul futuro.
Questo è l'essenziale: la salvezza operata dall'unico Salvatore, Gesù Cristo, rimane offerta per sempre, tocca tutti i secoli. Ognuno vi può sempre attingere.
Non è un salvezza che ha bisogno di essere rifatta, perché egli "avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio": E' una salvezza siglata da un'eterna alleanza: "il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".
E' una salvezza alla cui fonte - il sacrificio della croce - si può attingere sempre, perché essa è presente nella celebrazione eucaristica: lo stesso sacrificio, anche se mancano flagelli, spine, chiodi e croce, è presente sull'altare. E' presente nei secoli quell'unico sacrificio; realmente presente, nella reale presenza di Cristo sotto le specie del pane e del vino. Presente perché a quel sacrificio siamo chiamati ad unirvi il nostro, unione permessa proprio da quel sacrificio. La partecipazione alla passione di Cristo è veramente una grazia congiunta al dono della fede (Cf. Fil 1,29). Così al Padre non sale dall'altare solo l'oblazione del Cristo, ma unitamente a questa, che è di valore infinito, anche quella della Chiesa.
Allora, una celebrazione Eucaristica vissuta malamente lancia attorno a sé un cerchio di luce sbiadita, triste, che va lontano, più di quello che possiamo immaginare. Al contrario una celebrazione Eucaristica, dove c'è l'impegno a realizzare quel che pur chiediamo - Preg. Eucaristica III: "Egli (ndr. Cristo, per mezzo dello Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito"; Preg. Eucaristica IV: "E a tutti coloro che mangeranno di quest'unico pane e berranno di quest'unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria" -, lancia attorno a sé un anello di luce viva, tonificante, elevante. Amen. Ave Maria.Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it
Mc 13,24-32
“Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”
Omelia
Le letture che la liturgia eucaristica odierna ci presenta ci invitano a mantenerci attenti agli eventi ultimi. Essi sono essenziali per rimanere lontani da appiattimenti nel presente e rimanere quindi in cammino verso la meta eterna.
Rimanere serrati nel presente senza sguardo sul futuro, sul futuro che la rivelazione ci prospetta, significa sciupare il nostro tempo, non viverlo veramente. E noi assistiamo sempre più ad un mondo appiattito sul presente, che non pensa al futuro, e non dico quello eterno del cielo, ma neppure al domani; il domani sarà fatalisticamente "quel che sarà", come dice una canzone notissima. E' la rinuncia a pensare il presente come carico di futuro. Il futuro sarà quello che si costruisce con l'oggi; e quando giungerà il futuro diventerà il nostro oggi che ci siamo costruito su questa terra, e l'oggi eterno dell'aldilà. Daniele ci dice che tutti risorgeremo. Tutti, buoni e cattivi, ma con diverso esito: "Gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna".
"Molti", dice il testo, esprimendo lo stupore di fronte al numero immenso dei risorti. Numero ben più grande di quello che poteva immaginare Daniele, vincolato alla conoscenza di un mondo allora geograficamente ristretto, e alle date popolari che la tradizione presentava circa la creazione dell'uomo. Noi oggi possiamo avere il brivido dei "molti" se consideriamo non solo il mondo intero, ma le tante migliaia di millenni trascorsi dalla creazione dell'uomo.
Il futuro che la parola di Dio ci presenta non riguarda solo l'aldilà, ma anche l'aldiquà. La parola di Dio circa il futuro sulla terra ci toglie l'illusione di un mondo spensierato, dove "i nodi non vengono al pettine". Ma i nodi vengono al pettine, in maniera drammatica. Daniele, nel testo ascoltato, ci parla dei tempi ultimi dove ci sarà un "tempo di angoscia, come non c'era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo", e il Vangelo ci parla di una "tribolazione" alla quale seguirà uno sconvolgimento, che ci viene presentato con tipico linguaggio apocalittico: sole e luna che non daranno più luce, astri che cadranno sulla terra. Queste forti parole impediscono il pensiero di tempi futuri sempre rosei, e perciò ci fanno cauti per non cadere in un ottimismo stolto, con la conseguenza di finire poi nello sgomento di fronte a fatti sconvolgenti. Il peccato ha già sulla terra esiti tragici; non bisogna mai dimenticarlo.
Il futuro che ci presenta la parola di Dio ci interessa grandemente per orientare bene il nostro presente. Dunque, è impossibile non cercare di capire qualcosa di più sui due testi visti: Daniele e Vangelo.
Innanzitutto, quel tempo di angoscia di cui parla Daniele abbatterà i superbi, e gli umili non dovranno che rallegrarsi della loro fedeltà a Dio. Gli umili avranno vittoria. Dio in quel tempo salverà Israele, che entrerà a far parte della Chiesa. Attualmente il popolo di Dio, che è uno solo, è diviso in due tronconi: uno morto (Israele), l'altro vivo (la Chiesa). Allora, "in quel tempo", non ci saranno più due tronconi, ma un solo tronco, vivo, che segnerà il tempo della civiltà dell'amore. La salvezza operata da Cristo sarà accolta finalmente da Israele. Daniele precisa che si salveranno quelli che saranno scritti nel libro (Cf. Es 32,32-33; Ps 69,29; ecc.), cioè che saranno veri ricercatori della verità, e non deformatori delle Scritture.
Dunque, dopo il tempo di angoscia un tempo magnifico, ma questo viene presentato in termini tali da non produrre spensieratezza, perché esso è un evento che fa parte del tempo finale (nessuno qui voglia congetturare anni o decenni di anni), centrato sulla fine del mondo, a cui seguirà la risurrezione dei morti.
Gesù presenta il popolo ebraico profondamente condizionato "da questa generazione", che trasmetterà il suo rifiuto del Cristo ai futuri suoi componenti. Ma l'influsso di “questa generazione”, causa di tanti mali sulla terra poiché vorrà frenare l'estendersi del Vangelo (1Ts 2,15), passerà di fronte agli sconvolgimenti futuri; certo, espressi in termini apocalittici, ma non in disconnessione totale con la futura realtà. Dopo quegli sconvolgimenti "vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria".
Non si tratta della venuta finale, ma dell'affermazione di Cristo su tutta la terra. Gesù davanti al sinedrio disse (Mt 26,64): "D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo"; dunque il Cristo risorto, vincente, che stabilisce la civiltà dell'amore sulla terra, per mezzo della Chiesa, poi verrà la fine (Mt 24,14; Ap 20,7) e la venuta trionfale del Signore che segnerà la vittoria completa sul male e sulla morte e quindi l'ultimo e conclusivo venire sulle nubi del Figlio dell'uomo.
Cristo risorto è l'Imprendibile, la sua vittoria non può essere insidiata e sempre si attua: verrà sulle nubi del cielo. “Verrà” trionfatore dopo che il mondo avrà sperimentato le conseguenze della proprie strategie senza senno: sarà il tempo della civiltà dell'amore. Verrà poi trionfatore a giudicare i vivi e i morti nella sua finale venuta. Il testo escatologico del Vangelo è come un cannocchiale, dove una parte si apre su di un'altra. Nel Vangelo ascoltato Gesù si riferisce alla caduta di Gerusalemme, come tipo per descrivere la caduta della superbia della città terrena, che l'Apocalisse definisce "Babilonia la grande" (18,2), e la sconfitta della superbia della città terrena diventa tipo della fine del mondo. Detto ciò, fermiamo le nostre curiosità più di tanto. Le curiosità sono mosse dalla voglia di giungere a saper tutto, ma sapere tutto non ci servirebbe, solo ci turberebbe, ci gonfierebbe, ci paralizzerebbe. Gesù per questo ci ha detto solo quanto necessario. Ci basti sapere che non dobbiamo mai cadere in un ottimismo stolto che ci serrerebbe nel presente. Quanto ci ha detto il Signore sul futuro non dobbiamo dimenticarlo.
La tribolazione che il Vangelo ci presenta - il tempo di angoscia che Daniele ci annuncia - è un evento voluto dal peccato, ma ma non si ferma l'attività dell'amore, la quale abbrevierà quei giorni di tribolazione (Cf. Mc 13,20), che altrimenti "nessuno si salverebbe". Fuori dubbio: se io oggi vivo dissipato, lancio attorno a me un anello di buio, che va più in là di quello che immagino; se al contrario vivo positivamente lancio un anello di luce che ristora, che determina un domani di pace. Il futuro comincia con il presente.
E dunque, non è grande stoltezza chiudersi nel presente, dimentichi della meta eterna che ci aspetta; magari dicendo fatalisticamente che "sarà quel che sarà"? Sicuramente sarebbe grande stoltezza dimenticare di agire nel presente perché incollati a guardare "quel che sarà", e saremmo incollati nel presente se Dio volesse esaurire le nostre curiosità sul futuro.
Questo è l'essenziale: la salvezza operata dall'unico Salvatore, Gesù Cristo, rimane offerta per sempre, tocca tutti i secoli. Ognuno vi può sempre attingere.
Non è un salvezza che ha bisogno di essere rifatta, perché egli "avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio": E' una salvezza siglata da un'eterna alleanza: "il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".
E' una salvezza alla cui fonte - il sacrificio della croce - si può attingere sempre, perché essa è presente nella celebrazione eucaristica: lo stesso sacrificio, anche se mancano flagelli, spine, chiodi e croce, è presente sull'altare. E' presente nei secoli quell'unico sacrificio; realmente presente, nella reale presenza di Cristo sotto le specie del pane e del vino. Presente perché a quel sacrificio siamo chiamati ad unirvi il nostro, unione permessa proprio da quel sacrificio. La partecipazione alla passione di Cristo è veramente una grazia congiunta al dono della fede (Cf. Fil 1,29). Così al Padre non sale dall'altare solo l'oblazione del Cristo, ma unitamente a questa, che è di valore infinito, anche quella della Chiesa.
Allora, una celebrazione Eucaristica vissuta malamente lancia attorno a sé un cerchio di luce sbiadita, triste, che va lontano, più di quello che possiamo immaginare. Al contrario una celebrazione Eucaristica, dove c'è l'impegno a realizzare quel che pur chiediamo - Preg. Eucaristica III: "Egli (ndr. Cristo, per mezzo dello Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito"; Preg. Eucaristica IV: "E a tutti coloro che mangeranno di quest'unico pane e berranno di quest'unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria" -, lancia attorno a sé un anello di luce viva, tonificante, elevante. Amen. Ave Maria.Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it
Commenti
Posta un commento