Paolo Curtaz, "Sul superfluo"Commento al Vangelo del 11 Novembre 2018


Commento al Vangelo del 11 Novembre 2018 – Sul superfluo

Visualizza Mc 12,38-44
C’è un modo superfluo di vivere.

Di chi sta alla superficie delle cose, delle persone, di Dio, di sé.

Un modo in cui siamo stati abituati a distinguere fra ciò che siamo e ciò che possiamo fare apparire di noi, fra ciò che scopriamo di noi stessi e ciò che gli altri ci rimandano di noi, fra ciò che siamo veramente e ciò che gli altri si aspettano che siamo.

Guardate a quelli che abbiamo incontrato nelle ultime settimane del vangelo di Marco, ad esempio.

Il ricco che ha una bella concezione di sé, che vuole tenere la contabilità della sua bravura, che non ama lasciarsi andare, che non vuole separarsi dalla sua bella immagine di persona devota.

O quei fenomeni degli apostoli che, tutti incentrati su loro stessi, vedono solo la superficie di quanto sta accadendo mentre il loro Maestro sta salendo verso la sua morte.

O Bartimeo, il vero discepolo, che non ha nulla da mostrare, inchiodato al giudizio di punito da Dio e che sa far emergere la verità di sé.

O il simpatico scriba di domenica scorsa che sa ascoltare e scrutare e accoglie il cammino di sé.

In fondo tutta la nostra vita si riduce ad una scelta.

Dentro o fuori.

Galleggiando o approfondendo.

Apparenza o sostanza.

Finzione o verità.



Scribi

Gli scribi ci cui parla Gesù questa domenica sono ben diversi da quello della ricerca della verità che abbiamo incontrato. Sono uomini religiosi, autorevoli, che hanno fatto della loro fede, della loro scelta, del loro ruolo sociale un idolo.

Un tragico idolo religioso.

Gli scribi sono descritti da Gesù come persone vanitose e che fanno del loro servizio una smisurata ricerca di potere. Amano indossare una divisa per farsi riconoscere, amano il rispetto timoroso dei poveri cittadini, amano essere considerati come dell’autorità, sono sempre presenti agli eventi sociali, godono della loro posizione e non perdono l’occasione per mettersi in mostra.

La loro fede è diventata occasione di prestigio e di ostentazione. Vivono di rendita sul rispetto del popolo, godono di una fama assolutamente immeritata.

Gesù entra nel dettaglio, così, per fare il simpatico.

Gli scribi divorano i denari delle vedove, dice.

Se la vedovanza già rappresenta uno stato di grande dolore, di lacerazione interiore, di frantumazione di affetti, restare vedove. al tempo di Gesù, era una vera e propria tragedia.  Senza servizi sociali, senza appoggio dalla famiglia, spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciò, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perché mendicante o prostituta.

Ma ricercata dagli scribi che riuscivano a ricevere donazioni od elemosine da donne rimaste sole e plagiate in nome di Dio. La bramosia ha accecato il loro cuore, come rischia di accecare il nostro.

Succede, dobbiamo ammetterlo.

Succede anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre Diocesi, nella nostra Chiesa.

Tutti santi, in teoria, e mossi da grandi principi. E, almeno a parole, liberi dall’ostentazione, dall’apparenza dalla gloria. In teoria.

Poi si litiga, santamente, per avere un ruolo o quando questo ci viene tolto.

Ragioniamo secondo la logica degli uomini.

E si vede benissimo.



Una vedova

Come uscirne?

Getta nel cuore di Dio l’essenziale, non il superfluo.

Non dedicargli ritagli di tempo, o qualche ora di pia devozione domenicale, o un po’ di moralismo.

Dagli il cuore. Tutto ciò che sei. Anche quello che fingi di non essere.

Lui vuole te, non la tua santa immagine.



La vedova del Vangelo getta nel tesoro del Tempio qualche euro, mentre i notabili della città e i devoti si spintonano per far notare le somme considerevoli che versano nelle casse del Tempio appena ricostruito.

Gesù loda la generosità di questa donna che ha dato il suo necessario come offerta a Dio, e ignora le generose offerte pubblicate e titoli cubitali del miliardario di turno.

Ci sono momenti nella vita in cui perdiamo tutto: salute, lavoro, una persona cara (non necessariamente perché muore), voglia di vivere. Momenti faticosi, terribili, in cui abbiamo l’impressione di non sopravvivere.

Come la vedova di Elia, trasciniamo un passo dopo l’altro, tenuti in vita da qualche affetto (il figlio per la vedova) ma rassegnati a veder consumare ogni forza, ogni energia.

Quante persone in questo stato ho conosciuto nella mia vita!

La vedova del Vangelo – ingenua – mette quel poco che ha per il Tempio, per Dio. Non sa dove finiranno i soldi, forse saranno disprezzati dal sacrestano del Tempio, forse serviranno a comperare detersivo per i pavimenti… poco importa, il suo gesto è assoluto, profetico, colmo di una tenerezza infinita.

Dona quel poco che è per Dio.

L’elemosina che fa è del suo cuore, di ciò che è, perché non ha nulla.

Si mette in gioco, ci sta, non delega ad altri, nemmeno ai soldi che potrebbe forse avere.




Ecco il vero discepolo.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
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