Bruno FERRERO sdb, "NON LASCIARTI CADERE LE BRACCIA..."


3a Domenica di Avvento - Anno C Omelia
NON LASCIARTI CADERE LE BRACCIA...

Un uomo aveva sempre il cielo dell'anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all'amore di Dio.
Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi foschi dubbi, incontrò un pastore.
Il pastore era un brav'uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l'aria particolarmente disperata e gli chiese:
"Che cosa ti turba tanto, amico?".
"Mi sento immensamente solo".
"Anch'io sono solo, eppure non sono triste".
"Forse perché Dio ti fa compagnia...".
"Hai indovinato".
"Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me?".
"Vedi laggiù il nostro villaggio?", gli disse il pastore. "Vedi ogni casa? Vedi le finestre di ogni casa?".
"Sì, vedo tutto questo".
"Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, nell'arco della giornata viene baciata dal sole. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra".

Il profeta Sofonia ci invita ad aprire la finestra della nostra vita alla gioia dell'incontro che sta per verificarsi.

"Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente.
Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia".
Il profeta parla della gioia e dell'esultanza di Dio e con una certa audacia afferma che siamo noi la causa della felicità di Dio, al punto che il Padre "esulta" di gioia per noi.
Un bambino, al catechismo, chiese preoccupato: "Ma Dio è felice?"
"La felicità di Dio dipende da noi", dice il profeta.
La gioia è il virus con cui la Chiesa e i cristiani dovrebbero contagiare il mondo.
Christopher Hitchens, nemico giurato di ogni forma di religione, nell'astioso libro Dio non è grande: come la religione avvelena ogni cosa, muove ai credenti un'accusa inattesa e sorprendente:

"Poniamo che sappiate compiere un'impresa di cui personalmente mi sento incapace. Immaginate, in altre parole, un creatore infinitamente benigno e onnipotente, che vi ha concepiti, vi ha poi fatti e modellati, e introdotti in un mondo finalizzato a voi, e che ora vi sorveglia e si prende cura di voi anche quando dormite.
Immaginate, inoltre, che se obbedite alle regole e ai comandamenti da lui amorosamente prescritti acquisirete i titoli per una beatitudine e un riposo eterni.
Non posso sostenere di invidiare questa credenza (perché mi sembra come desiderare un'orribile sorta di inalterabile e paternalistica dittatura), ma, con tutta sincerità, non posso astenermi dal farvi una domanda.
Perché una simile credenza non rende felici i suoi seguaci? Costoro dovrebbero, in effetti, possedere un segreto meraviglioso, cui aggrapparsi anche nei momenti di più estrema avversità".
Anche Nietzsche scriveva che i cristiani "dovrebbero sembrare un po' più redenti".
Un pregiudizio diffuso ritiene che il cristianesimo non abbia niente a che fare con la gioia di vivere. Nell'immaginario corrente i cristiani sono asceti, secchioni, musoni e soprattutto contrari a ogni forma di piacere, di erotismo£ e di umorismo. I monaci felici stanno solo sulle etichette delle bottiglie di birra o nella pubblicità dei formaggi.
Gesù è stato il primo di questi guastafeste e oppositori del piacere? Eppure Gesù viene chiamato "mangione e beone" dai giudei e non pensa neppure a contestare questi epiteti.
Quando si invita qualcuno a raccontare la parabola del tesoro nel campo, manca regolarmente un tratto decisivo: l'uomo va "pieno di gioia". Sembra difficile immaginare uno che ha appena rischiato tutto quello che ha ed è pieno di gioia.

Quanti di noi prendono sul serio le parole del profeta Isaia che abbiamo appena ascoltato?

"Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza".
Venire in chiesa non è un'abitudine obbligata un po' noiosa, ma un gioioso incontro presso la fontana della salvezza.
Tutta questa storia è cominciata con le parole: "Rallegrati, Maria!"
Il giovane San Domenico Savio, con sorprendente maturità, diceva: "Noi qui all'Oratorio facciamo consistere la santità nello stare molto allegri".

I cristiani vivono la gioia degli umili, dei puri di cuore, dei costruttori di pace e di giustizia. Non siamo buontemponi che ridono ai funerali. La nostra gioia si conquista nella profondità e nella serietà della vita quotidiana.
Così, nella domenica della gioia, perché questo è il titolo della terza domenica d'avvento, il Vangelo ci insegna a percorrere la strada giusta verso le sorgenti della felicità.

Le folle interrogavano Giovanni dicendo: "Che cosa dobbiamo fare?"
La gioia cristiana sgorga da una roccia molto solida e concreta: da qualcosa che si deve fare. I nostri contemporanei non ne vogliono più neppure sentir parlare, ma la felicità di tutti si costruisce sulla base di alcuni semplici "doveri", non sulle chiacchiere.
Le risposte di Giovanni Battista sono molto pratiche. Noi nella maggior parte dei casi inganniamo noi stessi.

Il salumiere fa politica mentre affetta e spiega che il rimedio per tutti i mali italiani è molto semplice: basterebbe mozzare la mano destra ai ladri. Quindi, prima di tagliare il prosciutto butta sulla bilancia dieci grammi di carta, più da imballaggio che da affettato. Sorride sereno, lontano mille miglia dall'idea che anche a lui dovrebbero tagliare almeno un dito.
L'assessore al traffico spiega che 50 persone su un autobus occupano 15 metri quadrati di suolo pubblico, mentre le stesse persone al volante della propria auto ne occupano 350. Quindi lascia la tavola rotonda, sale sulla sua auto blu e indica all'autista dove deve scarrozzarlo.
Due amici mangiano al ristorante. Dopo aver recitato la consueta litania contro questa classe politica che intasca soldi per sé o per il partito, uno chiede il conto. "Lascia stare", dice l'altro, "faccio intestare la fattura alla ditta, come se si trattasse di una colazione di lavoro".
L'aspetto più sconcertante di questi e dei mille altri episodi che costellano le nostre giornate è il mostruoso candore dei protagonisti: nessuno si accorge di far parte della stessa realtà che condanna.

La gioia dei cristiani nasce dalla serietà e dalla responsabilità della vita. A Natale non arriva un bambinello di gesso, ma un Bambino di carne e sangue. Nella vita di tutti i giorni si misurano la lealtà e la verità delle nostre intenzioni.
Noi possiamo far felici tutti quelli che abitano con noi. Probabilmente con poco. Allora perché non lo facciamo?
Solo costruendo autentica gioia nella nostra famiglia, nella nostra comunità, nel nostro ambiente, in mezzo agli amici faremo capire a Gesù che la nostra finestra è aperta e lo stiamo davvero aspettando.
Bruno FERRERO sdb

Fonte:http://www.donbosco-torino.it/


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