padre Ermes Ronchi, Attendere è l'infinito del verbo “amare”


Attendere è l'infinito del verbo “amare”
Ermes Ronchi
giovedì 20 dicembre 2018
IV Domenica di Avvento
Anno C
(Letture: Michea 5,1-4; Salmo 79; Ebrei 10, 5-10; Luca 1, 39-45)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha ceduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Attendere: infinito del verbo amare. Solo le madri sanno come si attende. E infatti il vangelo ci offre, mentre il Natale è qui, la guida di due donne in attesa. Maria si mise in viaggio in fretta. Ecco il genio femminile: l'alleanza con un'altra donna, Elisabetta. Da sola non sa se ce la farebbe a portare il peso del mistero, del miracolo. Invece insieme faranno rinascere la casa di Dio.
Maria va leggera, portata dal futuro che è in lei, e insieme pesante di vita nuova, di quel peso dolce che mette le ali e fa nascere il canto: una giovane donna che emana libertà e apertura. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. L'anziana, anche lei catturata dal miracolo, benedice la giovane: benedetta tu fra le donne, che sono tutte benedette.
Dove Dio giunge, scende una benedizione, che è una forza di vita che dilaga dall'alto, che produce crescita d'umano e di futuro, come nella prima di tutte le benedizioni: Dio li benedisse dicendo «crescete e moltiplicatevi» (Gen 1,28).
Due donne sono i primi profeti del nuovo testamento, e le immagino avvicinarsi «a braccia aperte,/ inizio di un cerchio /
che un amore più vasto / compirà» (Margherita Guidacci). Il canto del magnificat non nasce nella solitudine, ma nell'abbraccio di due donne, nello spazio degli affetti. Le relazioni umane sono il sacramento di Dio quaggiù.
Magnifica l'anima mia
il Signore. Maria canta il «più grande canto rivoluzionario d'avvento» (D. Bonhoeffer), coinvolge poveri e ricchi, potenti e umili, sazi e affamati di vita nel sogno di un mondo nuovo.
Mi riempie di gioia il fatto che in Maria, la prima dei credenti, la visita di Dio abbia l'effetto di una musica, di una lieta energia. Mentre noi sentiamo la prossimità di Dio come un dito puntato, come un esame da superare, Maria sente Dio venire come un tuffo al cuore, come un passo di danza a due, una stanchezza finita per sempre, un vento che fa fremere la vela del futuro.
È così bello che la presenza di Dio produca l'effetto di una forza di giustizia dirompente, che scardina la storia, che investe il mondo dei poveri e dei ricchi e lo capovolge: quelli che si fidano della forza sono senza troni, i piccoli hanno il nido nella mani di Dio.
Il Vangelo, raccontando la visita di Maria ad Elisabetta, racconta anche che ogni nostro cammino verso l'altro, tutte le nostre visite, fatte o accolte, hanno il passo di Dio e il sapore di una benedizione.
Il Natale è la celebrazione della santità che c'è in ogni carne, la certezza che ogni corpo è una finestra di cielo, che l'uomo ha Dio nel sangue; che dentro il battito umile e testardo del suo cuore batte - come nelle madri in attesa- un altro cuore, e non si spegnerà più.


Fonte:www.avvenire.it/

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