Umberto DE VANNA sdb, "La gioia di chi brucia di amore"

3a Domenica di Avvento - Anno C | Omelia
Per cominciare

Come la terza domenica di Quaresima, anche la terza domenica di Avvento è segnata dalla gioia (domenica "gaudete"). "Il Signore è vicino, non angustiatevi, siate sempre lieti", dicono il profeta Sofonia e Paolo. Giovanni Battista invece esorta ad attendere il messia con uno stile di vita che ci prepari alla sua venuta.

La parola di Dio
Sofonia 3,14-17. Il profeta Sofonia è vissuto in un tempo in cui il popolo d'Israele, stato vassallo dell'Assiria, era colpito dall'infedeltà a tutti i livelli, sociale, politico e religioso. Eppure Sofonia annuncia parole di speranza e assicura una trasformazione radicale della situazione. Per questo invita la popolazione a non avere paura, perché il Signore si rende presente e vivo in mezzo a loro.
Filippesi 4,4-7. Anche Paolo parla di vicinanza del Signore e soprattutto di gioia, di letizia e invita gli abitanti di Filippi a vivere nella amabilità e nella preghiera. Sono le parole di Paolo e di Sofonia a dare una tonalità di gioia e di letizia a questa terza domenica di Avvento.
Luca 3,10-18. Giovanni Battista è ancora protagonista di questa domenica. Egli invita il popolo, perfino i pubblicani e i soldati, a cambiare vita e a vivere nella solidarietà e nella giustizia. In questo modo esorta chi lo ascolta ad attendere l'arrivo imminente del messia

Riflettere

Dio s'interessa degli uomini? È lui che guida la storia? Perché allora il popolo di Israele è caduto così in basso? Questo è l'interrogativo che gli scettici pongono a Sofonia in un tempo particolarmente difficile, intessuto di drammi eccezionali.
Il profeta accusa la corruzione delle autorità politiche e religiose, se la prende con quelli che si sottomettono allo straniero seguendone le mode nel vestire e le pratiche religiose.
Il giorno del Signore è imminente, dice Sofonia, giunge il momento in cui Dio vendica il suo popolo. L'ira di Dio si manifesterà in un vero cataclisma cosmico senza precedenti (il Dies irae sembra essersi ispirato alle terribili parole del profeta).
Il giorno del Signore non appare tuttavia per Sofonia come la fine del mondo e della storia, ma come una metamorfosi e una rigenerazione del popolo di Dio, la fine di un'età di peccato. E tutto sfocia nei canti di gioia del "resto" di Israele.
Dio salverà un "resto", come al tempo dell'esodo. Gli umili possono sperare. Le parole del profeta cambiano improvvisamente tono e hanno accenti di tenerezza proprio per i piccoli che mettono in pratica la volontà del Signore. "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!". Sono questi "umili" che possono sperare di sfuggire al cataclisma dell'ira divina. Saranno il nuovo popolo di Dio.
Dio radunerà questo nuovo Israele, questo "resto", e lo onorerà davanti ai popoli, in una Gerusalemme festante, libera e santa dove lui stesso risiederà come sovrano: "Il Signore tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia".
Anche la lettera di Paolo ai cristiani di Filippi contiene un invito alla gioia. Anzi, sono proprio le parole di Paolo a dare a questa domenica di Avvento un tono di gioia con l'antifona di inizio. Quando Paolo scrive a questa comunità si trova a Efeso ed è in carcere a causa del vangelo. Per questo avrebbe tutte le carte in regola per sentirsi infelice e sconfitto. Invece nelle sue parole ritorna, come un ritornello, l'invito alla gioia. Paolo è consapevole del periodo difficile che sta vivendo, sa che forse dovrà aggiungere il sacrificio della sua vita a quello della loro fedeltà, ma invita i filippesi a rallegrarsi con lui (Fil 2,17-18).
Scrive Paolo: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti". Perché i filippesi (e anche noi) dovremmo vivere nella gioia? Non tanto perché le cose della nostra vita ci vanno straordinariamente bene, ma perché "Il Signore è vicino!", e con lui ogni certezza diventa possibile. Di qui l'invito a "non angustiarsi" a vivere nella "amabilità" propria di chi si sente nelle braccia dei Dio e lo rende visibile con il proprio comportamento.
Il brano del vangelo ci propone il seguito del capitolo 3° di Luca che ci è stato proposto domenica scorsa. Luca dice che la gente, ascoltandolo il Battista parlare e vedendo il suo stile di vita, si domanda se non sia lui il messia atteso. Ma Giovanni annuncia invece uno più grande di lui, "più forte" di lui, al quale non è degno di slegare i lacci dei sandali. Uno che battezzerà non solo con acqua, come fa lui, ma "in Spirito Santo e fuoco". Parole che creano un'attesa anche più viva nella popolazione.
Ma, proprio per sentirsi a posto nel momento della sua venuta, la gente gli chiede: "Che cosa dobbiamo fare?". Una domanda che gli pongono addirittura anche i pubblicani e i soldati. E il Battista dà la sua ricetta semplice, ma nello stesso tempo che profuma già di vangelo, perché è segnata dalla solidarietà e dall'amore verso i fratelli.

Attualizzare

Si direbbe che la nostra società sia sistematicamente attraversata da periodi di crisi. Di che ci sarebbe da rallegrarsi? I giornali sono pieni di notizie negative, e le nostre vicende personali ci dicono che non è il caso di stare troppo allegri.
Eppure i motivi per gioire sono tanti, molti di più di quanto siamo soliti pensare. Anzitutto perché siamo vivi e possiamo parlare della nostra situazione così come la viviamo. Sarà magari difficile, ma la possiamo raccontare.
Al riguardo, voglio rifarmi a un PowerPoint davvero simpatico, che circola nelle reti di internet e che dice: "Io mi considero tutto sommato un privilegiato, perché se devo pagare le tasse, significa che ho un lavoro o un'attività; se devo fare le pulizie dopo una festa, vuol dire che ho delle persone amiche che stanno volentieri con me; se i vestiti mi vanno stretti e sto ingrassando, significa che ho da mangiare; se i muri della mia casa hanno bisogno di essere ripuliti, vuol dire che ho una casa; se non trovo un posto per parcheggiare, vuol dire che ho un mezzo di trasporto e che sono anche in grado di camminare; se mi sento disturbato da una persona stonata, vuol dire che ho le orecchie per udirla; se alla sera sono stanco morto, vuol dire che ho la salute per lavorare; se al mattino salto nel letto, perché la sveglia suona di brutto, vuol dire che sono vivo!". E concludeva: "Sorridi, tutto ti sembrerà più facile!".
Un altro motivo di gioia è che guardandoci attorno, guardando al nostro passato, a tutto ciò che abbiamo vissuto, possiamo riconoscere di essere come delle persone scampate a un grande naufragio: quante ne abbiamo viste! Eppure siamo tuttora qui, tutto sommato decentemente vivi.
Ma questi sono ragionamenti puramente umani e direi anche quasi superficiali. Perché il fondo della nostra gioia viene dalla nostra fede. La parola di Dio di quest'oggi ci dice che "il Signore è vicino", e se è così, perché dovremmo lasciarci prendere dal pessimismo e dalla tristezza? La parola di Dio è zeppa di espressioni piene di consolazione e di certezza che ci assicurano che il Signore si prende cura di noi. Un solo esempio, tratto dal vangelo di Matteo: "Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E per il vestito, perché vi preoccupate? Se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?" (6,26-30).
Infine, un motivo di grande gioia viene dallo stesso Natale, a cui ci stiamo preparando. Il Natale ci ricorda che Dio ci cerca e si fa vicino, si fa bambino per non farci paura e parlarci dei progetti di amore di Dio nei nostri confronti. Dio ci ama come nessun altro e vuole essere amato da noi. Si direbbe che Dio non sarà contento fino a quando noi non risponderemo a questo amore.
Di qui un atteggiamento di stupore che dovrebbe prenderci in questi giorni. Secondo il vescovo Tonino Bello, la mancanza di stupore è il grande peccato del nostro tempo. Eppure non riusciamo più a vedere nello scorrere del tempo e delle stagioni, nella nascita di una nuova vita, nemmeno nell'incarnazione del Figlio di Dio qualcosa che ci sorprenda e ci faccia esplodere di meraviglia.
È questo probabilmente che intende dire Giovanni quando parla del messia che verrà "In Spirito Santo e fuoco". Dovremmo lasciarci sorprendere in questo tempo dalla sua venuta, lasciarci avvolgere dal fuoco della meraviglia e dello stupore.
Se sarà così, sarà inevitabile per ogni cristiano, come dice Paolo ai filippesi, rendere visibile questa gioia nel modo di rapportarsi quotidiano, diventando amabili, aperti, cordiali verso le persone che vivono con noi o che incontriamo.
Il diventare amabili è certamente una delle cose che ci viene chiesto di fare in questo periodo di attesa dell'Avvento del Signore. "Un cuore contento è il risultato normale di un cuore che brucia d'amore", diceva madre Teresa di Calcutta. Ma il Battista, a chi gli domanda che cosa deve fare per essere pronto alla venuta del messia, risponde con suggerimenti ugualmente concreti.
Alle folle Giovanni dice: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto". La straordinarietà sta tutto nella normalità di ciò che Giovanni propone. E un poco si rimane stupiti, perché a differenza di altri interventi del Battista, pieni di rigore e di severità, qui ci troviamo di fronte a qualcosa di genuinamente evangelico.
Così pure ai pubblicani, Giovanni dice: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". Un invito che può sembrare normale, ma che è invece qualcosa di non comune, perché era una tentazione quasi scontata per gli esattori delle tasse approfittare del loro ufficio per arricchirsi alle spalle di chi doveva pagare.
Infine ai soldati, abituati a varie forme di prepotenza e di saccheggio, il Battista chiede qualcosa di semplicemente inaudito per quel tempo: di non maltrattare e di non estorcere niente a nessuno, ma di accontentarsi delle loro paghe.
Di questi inviti del Battista mi sembra si debbano sottolineare anzitutto la concretezza e la quotidianità. È la vita quotidiana che entra in gioco nella sua normalità. Non quindi proposte di vita altisonanti e utopiche, proposte ideali irrealizzabili, ma amore fraterno vissuto.
Ripetiamo, è la vita che entra in gioco, la vita vera, quella della gente, dei pubblicani e dei soldati al tempo del Battista, e la vita che viviamo noi ogni giorno. Perché essere cristiani non vuol dire fare un mestiere comunque, approfittando e servendosi degli altri a proprio vantaggio, magari pensando che mandare avanti un mestiere vuol dire esattamente "fare così", perché così fanno tutti. Ma vuol dire servire i fratelli e cercare il loro bene, venire in loro aiuto dove e per quanto è possibile.
Questo in altre parole vuol dire non considerare il proprio cristianesimo come una parentesi da vivere esclusivamente in chiesa, ma introdurla nel proprio vissuto, esprimendo la nostra fede nelle scelte che siamo chiamati a fare.

La gioia di chi brucia di amore
"La gioia è preghiera, la gioia è fortezza, la gioia è amore, la gioia è una rete d'amore, con la quale voi potete arrivare alle anime. Dio ama chi dona con gioia. Dona di più chi dona con gioia. La miglior via per mostrare la nostra gratitudine a Dio e alla gente è di accettare tutte le cose con gioia. Un cuore contento è il risultato normale di un cuore che brucia d'amore" (madre Teresa di Calcutta).

Umberto DE VANNA sdb

Fonte:http://www.donbosco-torino.it/

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