Don Marco Ceccarelli, Commento Domenica delle Palme “C”

Domenica delle Palme “C” – 14 Aprile 2019
I Lettura: Is 50,4-7
II Lettura: Fil 2,6-11
Vangelo: Lc 22,14-23,56
Testi di riferimento: Is 52,13-53,12; Mt 26,52-56; Mc 10,33-34.45; At 2,23-24.36; 3,13-15; 4,10;
5,30; 10,39-40; 13,28-30; 1Cor 1,18-25; Fil 3,10-11; Col 1,24; 1Pt 2,24-25

1. La settimana santa ha inizio la domenica della palme «della passione del Signore» che unisce insieme il trionfo regale di Cristo e l’annunzio della passione. Nella celebrazione e nella catechesi di
questo giorno venga messo in luce l’uno e l’altro aspetto del mistero pasquale (Congregazione per
il culto divino, Preparazione e celebrazione delle feste pasquali, n. 28). I due aspetti presenti nella
liturgia della Domenica delle Palme vanno dunque presentati entrambi anche, e soprattutto, nell’omelia, dato che essa non si deve omettere (ibid. n. 34), nonostante la lunga lettura della passione.
Eppure tali aspetti non sembrano associarsi molto spontaneamente. Infatti, che ha a che fare il trionfo regale di Gesù con la sua morte ignominiosa sulla croce? Nondimeno Gesù è il re messianico che
entra in Gerusalemme per essere intronizzato sulla croce come “il re dei giudei”. La domenica delle
Palme è la festa della regalità di Cristo, una regalità che si compie morendo sulla croce. È sulla croce che Cristo regna, perché lì ha vinto il demonio, ha vinto la paura della morte, ha vinto l’attrattiva
del mondo. Sulla croce Cristo regna sul demonio, sul peccato, sulla morte, sul mondo.
2. La domanda chiave: cosa ha di speciale la passione di Cristo?
- Per non perdersi nelle innumerevoli considerazioni che si potrebbero fare riguardo la pasione di
Gesù, può essere utile questa domanda. È questa l’unica domenica dell’anno liturgico in cui si
ascolta per intero il racconto della passione di Gesù. E la prima domanda che dovrebbe sorgere
spontanea da tale ascolto è come mai gli evangelisti abbiano dedicato così tanto spazio − in proporzione a quanto ne hanno riservato a tutto il resto − a queste poche ore che precedono e accompagnano la morte di Cristo. La domanda non è affatto bizzarra. Dal lungo brano del Vangelo odierno
possiamo facilmente capire che l’interesse principale di tutti gli evangelisti, nel parlare di Gesù, va
ai fatti della passione. Questo interesse riflette senza dubbio quello della primitiva comunità cristiana. La Chiesa delle origini ha considerato la passione di Cristo l’evento centrale della sua predicazione. Ciò non è per nulla scontato, dato che per gli apostoli – come in fondo anche per noi – la croce e la morte in croce del loro maestro, rappresentava certamente qualcosa di estremamente scandaloso e vergognoso. Come mai allora non sorvolare un po’ sul racconto della passione e dare magari
più spazio agli episodi che descrivono Gesù risorto? Il cambio di prospettiva mostrato dagli apostoli
nei confronti della croce, dopo che ne erano rimasti profondamente scandalizzati, non si spiega se
non partendo da quella grande illuminazione che essi devono avere ricevuto (la Pentecoste) e che
possiamo riscontrare anche nell’esperienza di san Paolo (cfr. 1Cor 1,18-25). Questa illuminazione
ha permesso loro di ricevere la “sapienza della croce” per capire come, attraverso la passione del
suo servo Gesù, Dio si era manifestato e ha operato la salvezza. Ma cosa hanno capito gli apostoli
della passione di Cristo? Che cosa lo Spirito Santo ha mostrato loro riguardo quest’uomo crocifisso? In altre parole: che cosa ha di speciale la croce di Cristo?
- Dio non ha risuscitato uno qualsiasi, ma proprio “quel Gesù che voi avete crocifisso”, come appare nella primitiva predicazione apostolica (vedi testi di riferimento). Ciò significa che Cristo non è
semplicemente uno dei tanti crocifissi della storia dell’umanità; se Dio ha risuscitato proprio questo
crocifisso (e non un altro!) ciò significa che la passione di Gesù ha qualcosa di speciale. Poniamoci
seriamente la domanda: come mai Dio ha risuscitato proprio Gesù e non un altro? Anche questa
domanda può sembrare bizzarra e ridicola. A noi ci verrebbe subito da rispondere: ma è ovvio, egli
era Dio; e questo è senz’altro vero. Tuttavia ciò che rende speciale la croce di Cristo non è soltanto
il fatto che egli era Dio. Egli era anche veramente uomo e in quanto veramente uomo egli ha compiuto la missione che il Padre gli ha dato morendo in croce. La sua passione è stata una vera passione, di un uomo che ha sofferto veramente. Ciò significa che anche per quanto riguarda l’uomo Gesù la sua croce ha qualcosa di speciale. Questo è quanto i racconti della passione vogliono trasmetterci e spiegarci.
- Se tutti gli evangelisti descrivono dettagliatamente la passione di Cristo è perché hanno capito che
in essa si realizza qualcosa di speciale, di unico. Ciò che ha di unico il mistero pasquale non è soltanto il finale glorioso, ma anche il modo con cui si è svolta la stessa passione. La chiave alla passione di Cristo va trovata in quella figura misteriosa del “Servo di Jahvè” descritta in quattro passi
del libro di Isaia (42,1-7; 49,1-9; 50,4-11 [prima lettura odierna]; 52,13-53,12). Ciò che ha di speciale la croce di Cristo è il fatto che egli nella sua passione e morte incarna perfettamente la figura
del Servo di Jahvè, quanto di lui era stato profeticamente annunciato in relazione alla salvezza dei
“molti”. Gesù stesso prima di andare incontro alla sua passione rivela ai discepoli questa realtà, facendo riferimento esplicito alla figura del Servo (Lc 22,37; Mt 26,52-56). Pur sapendo che lo stanno
per arrestare, pur conoscendo ciò a cui andrà incontro, pur avendo pieno potere di sfuggire a quella
sorte, egli si consegna volontariamente alla morte, senza difendersi, esattamente come descritto per
il Servo che in tal modo doveva caricarsi dei peccati del popolo e dei molti perché essi fossero salvati. Gesù rinuncia a difendersi, sia nel momento dell’arresto, sia in seguito davanti alle accuse e alla condanna a morte. La sua passione non è una disgraziata conclusione della sua attività di profeta;
egli non è semplicemente uno dei tanti innocenti vittime della malvagità umana. Chiunque di quelle
vittime avrebbe volentieri evitato la fine che ha fatto se solo avesse potuto. Cristo no.
- Il punto chiave della passione di Gesù, la sua “specialità”, è che egli non si difende davanti al male, ma si offre spontaneamente per subirlo. L’atteggiamento di autodifesa tipico di ogni essere umano, esprime da un lato l’istinto di sopravvivenza e dall’altro quella paura della morte da cui tutti
siamo dominati. Nella istintiva reazione di fronte ad ogni situazione che sentiamo come una minaccia per la nostra vita si manifesta chiaramente la nostra schiavitù alla paura della morte. La rinuncia
a difendersi da parte di Cristo esprime al contrario il suo dominio su questa paura. Cristo vince la
morte nel momento in cui volontariamente rinuncia a salvare la propria vita per offrirla sulla croce
in favore di tutti. Questa vittoria sulla morte avrà il suo compimento, il suo trionfo definitivo, nella
sua risurrezione e nel non essere soggetto alla corruzione in eterno. Per questo, Dio ha risuscitato
proprio questo crocifisso, «ha glorificato il suo servo Gesù» (At 3,13), e gli ha dato potere eterno
sulla morte. Chi crede in lui riceve la sua stessa vita. Come si afferma in 1Pt, avendo egli portato
nel suo corpo i nostri peccati sulla croce, ora noi possiamo vivere per la giustizia (2,24), cioè possiamo essere santi. Grazie alle sue piaghe siamo stati guariti (2,25) dalla vera malattia di cui l’uomo
ha bisogno di essere liberato, quella del peccato.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/


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