fr. Massimo Rossi, Commento III Domenica di Pasqua (Anno C)

Commento su Giovanni 21,1-19
fr. Massimo Rossi  

III Domenica di Pasqua (Anno C) (05/05/2019)

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Sarà capitato anche a voi di intrattenere una conversazione, convinti di parlare della stessa cosa, ma in realtà non era così... o meglio, le stesse parole erano intese con significati diversi...

Accade, quando si parla di amore, usando sinonimi che possiedono significati analoghi, ma non equivalenti.

Quando poi, non si tratta di una conversazione soltanto, ma di un'intera relazione vissuta nell'illusione di nutrire l'uno per l'altro gli stessi sentimenti, presto o tardi subentra il disincanto; è come risvegliarsi da un bel sogno; scopriamo che la realtà è ben diversa. Ed è un'esperienza amara; come la spugna imbevuta di fiele che i soldati porsero al Crocifisso per placarne la sete...

Temo di avere cominciato questa omelia nel peggiore dei modi...

Secondo voi, “amare” ha lo stesso significato di “volere bene”? Maledetti stereotipi, che impediscono un'analisi oggettiva e disinteressata.

Per l'evangelista Giovanni c'è parecchia differenza: Gesù chiede “mi ami?”; Pietro risponde “Ti voglio bene!”; per due volte. Sarà Gesù a cedere, cambiando espressione e utilizzando quella di Pietro. In altre parole, è il Signore ad abbassarsi alla statura di Pietro.

Del resto, l'Incarnazione è proprio questo: Dio scende a parlare la lingua di noi uomini, assume la nostra natura, cammina con noi, uno di noi. Pretendere il contrario, chiedere a noi di capire la Sua lingua, camminare al Suo passo, sarebbe stato un fallimento, per noi e per Lui.

Ma l'abbassamento di Dio, la sua kenosi, come la chiamano i greci, è solo l'inizio della Salvezza: nel progetto del Padre, l'umanità precipitata negli abissi del peccato, doveva essere riportata in quota, ove stava prima della caduta, quando conversava faccia a faccia con Lui, con Dio, e viveva in pace con tutto il creato...

Tra il Risorto e gli Undici, in particolare, tra Gesù e Pietro, rimane una distanza, la stessa distanza che c'è tra amare e volere bene. Pietro non è in grado di amare il Signore come Lui vorrebbe...

Ci vorrà tempo; (Pietro) dovrà percorrere il suo personale cammino di conformazione al Cristo - non c'è un cammino uguale per tutti! -; e questo cammino proseguirà fino a quando l'Apostolo non sarà finalmente pronto a donare tutto se stesso; soltanto allora amerà davvero il Signore, così come Lui vuole.
Nel frattempo?...

Nel frattempo sarà comunque testimone della resurrezione di Cristo, e pascerà il Suo gregge.

Il Signore non aspetta che arriviamo in fondo alla strada, per affidarci il compito della fede.

Il Regno non può attendere! Si comincia subito! e si diventa esperti sul campo.

L'opera perfeziona colui che la svolge con dedizione, dando il meglio di sé.

Al tempo stesso Gesù annuncia a Pietro che la volontà di lui si assottiglierà, man mano che si arrenderà a quella di Dio. Perché la strada la indica Dio; e Pietro deve seguire, stando dietro...

Ricordate, quando Gesù lo apostrofò “satana” e gli comandò: “vade retro”, torna dietro? “Seguimi” è la consegna che il Risorto dà a Pietro e a tutti coloro che scelgono di vivere la fede cristiana. E tale consegna viene ripetuta pochi minuti dopo, allorché Pietro, “voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, è lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi.»” (vv. 20-22).
Ed il sipario cala su questo comando di Cristo.

Nel quarto Evangelo, il Figlio di Dio, protagonista assoluto della scena, dal primo capitolo all'ultimo, chiama tuttavia l'uomo a collaborare con maggior responsabilità, rispetto a Matteo, Marco e Luca.

Nella sua lettera ai cristiani di Roma (5,6-7), san Paolo precisa che nessuno di noi avrebbe potuto fare ciò che Gesù ha fatto: morire per tutti. Il massimo che l'uomo possa fare, è impegnarsi per se stesso; tutt'al più, potrebbe morire per un uomo dabbene. Ma per tutto il popolo, soltanto Lui, soltanto Gesù di Nazareth, il Cristo, poteva morire e, da questa morte, far scaturire la salvezza.

Tuttavia, quel testimonio di amore che il Signore ha portato nei giorni della sua vita mortale, ora tocca a noi portarlo, per tutto il tempo che ci resta da vivere. A noi che non siamo capaci di amare come vuole Lui, e tuttavia ci proviamo ogni giorno. A noi che abbiamo il cuore appesantito dal peccato, e tuttavia ci accostiamo con fiducia all'altare della misericordia. A noi che non abbiamo il coraggio di vivere la fede fino in fondo, e tuttavia la celebriamo ogni domenica...

E per rivelare a Pietro il suo destino, Gesù usa la similitudine della vestizione: una pedagogia, quella di Dio che, tradotta in termini umani, conosciamo tutti molto bene...

Quando diventiamo vecchi, non siamo più in grado di vestirci da soli; deve aiutarci qualcuno; qualcuno decide per noi, e noi si punta i piedi! Vorremmo fare ancora di testa nostra, come abbiamo sempre fatto; ma ci mancano le forze... Per un po' si oppone resistenza a suon di solenni litigate, e qualche insulto... Poi ci si arrende per sfinimento.

Soltanto allora saremo pronti, pronti davvero, per l'ultimo tratto del viaggio.
E dov'è Lui, il Signore, là saremo anche noi.

Fonte:www.qumran2.net

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