padre Gian Franco Scarpitta, "Credere in Colui che da la vita"

Credere in Colui che da la vita
padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Pasqua (Anno C) (28/04/2019)

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La risurrezione di Gesù non è quindi un fatto marginale o secondario, ma riguarda un evento costitutivo della vita. Chi è risorto dai morti è infatti Gesù Cristo, il Signore che sin dall'inizio dei tempi accanto al Padre e allo Spirito Santo, era stato il fautore della creazione nonché l'autore della vita. Incarnato e vissuto come uomo fra gli uomini, consegnandosi ai suoi crocifissori aveva affrontato la morte senza riserve e senza esitazioni e adesso con la fuoriuscita dal sepolcro ha affermato se stesso sulla morte, vanificandone l'esistenza, imponendosi in tutta la sua gloria e qualificandosi come il Vivente. Così lo definisce infatti il libro dell'Apocalisse (II lettura) che mette in bocca allo stesso Cristo le parole: “Non temere, io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi.” Colui che da sempre aveva avuto potestà sul mondo e sugli elementi, che aveva dominato la creazione essendo al centro di essa, dopo essersi assoggettato alla morte e dopo averne vissuto l'esperienza alla pari di tutti gli uomini, per di più nell'estremità della sofferenza e dell'abbandono, si proclama, dimostrando di esserlo in effetti, glorioso vincitore della morte e a questa ha tolto definitivamente ogni potere.

Non si tratta solamente del ritorno in vita di un soggetto umano, ma della proclamazione della Vita da parte di chi da sempre è l'autore della vita (At 3,15).Dalla risurrezione in poi si parlerà di Cristo come il Signore glorificato, re della gloria che ha potere su tutto e che verrà innalzato al di sopra di tutti gli esseri celesti, terrestri e sotterranei (Fil 2, 10).

Tale si manifesta inaspettatamente agli undici discepoli: Gesù non ha difficoltà ad eludere le porte del cenacolo rimaste sprangate dai suoi discepoli “per timore dei Giudei” e si mostra in tutta la sua gloria e magnificenza come apportatore di pace. Da risorto ha ormai acquisito potestà e se prima era stato animato dallo Spirito Santo in tutti i percorsi della sua vita pubblica, se prima lo stesso Spirito lo aveva condotto nel deserto, lo aveva istituito Figlio di Dio nel battesimo al Giordano e lo aveva condotto in tutta la sua missione pubblica, adesso è lui che diventa apportatore dello stesso Spirito Santo, in questa prima effusione che abilita gli apostoli ad essere discernitori attenti quindi amministratori del perdono di Dio. Gesù alita sugli apostoli e diffonde lo Spirito, così come lo Spirito stesso aveva alitato sulle acque al momento della creazione (Gn 2, 7) e abilita i discepoli in questo particolare ministero. Sarà nella seconda effusione di Pentecoste che la Chiesa verrà animata e sostenuta dallo Spirito Santo nella sua identità di comunione e missione, ma adesso sempre lo stesso Spirito del Risorto abilita i discepoli nell'amministrazione di liberare tutti dal peccato e chiamare tutti a vita nuova. Si tratta dello Spirito che relaziona Gesù con il Padre, Spirito che può provenire soltanto da colui che ha vinto la morte e che adesso si qualifica per l'appunto come il Vivente datore di vita.

Con queste prerogative, Gesù vince anche l'ostinata incredulità di Tommaso, che è assente nel momento in cui il Signore appare ai suoi fratelli, ma che otto giorni dopo non può fare altro che esclamare “Signore mio, Dio mio,” riconoscendo in Gesù il Vivente glorioso. Non si sa cosa abbia provato l'incredulo discepolo nel tastare il fianco e le mani trafitte di Gesù, forse sarà stato avvinto dal mistero che racchiude in sé il fascino del passaggio dalla morte alla risurrezione corporea, fatto sta che ha compreso certamente che la resurrezione ha riguardato il suo Dio e Signore e non poteva che essere accettata. Tommaso deve aver fatto esperienza del trionfo della vita sulla morte nel subitaneo tatto con le parti offese del corpo di Gesù e probabilmente aver compreso che la vita trionfa davvero sulla morte. Gli si attribuisce la colpa dell'incredulità e dell'ostinazione al rifiuto, tuttavia non è tipico del solo Tommaso il non volersi aprire alla sola parola testimoniata e al mistero di Gesù Figlio di Dio. Non dimentichiamo le rimostranze ripetute che Pietro aveva ricevuto dal Signore per non aver colto il perno del suo messaggio e anche il discepolo che Gesù ama sembra credere alla resurrezione soltanto dopo aver guardato i teli e il sudario nel sepolcro.

La ricerca della prova e della sperimentazione è tipica dell'essere umano in generale, anche ai nostri giorni.

Molte volte si prova tantissima difficoltà ad accettare la verità rivelata, specialmente quando questa richiede un particolare sforzo di fede e di sottomissione e del resto occorre riconoscere che la nostra religione richiede un'attitudine alquanto eroica in tal senso. Ci viene chiesto di accogliere con umiltà e accettazione risoluta preposizioni, dettami e dogmi che in un contesto puramente razionale non possono che essere definiti assurdi e meschini e appunto in questo risiede la nostra "fatica di credere". La fatica, cioè l'eroismo di accettare per vero ciò che dal punto di vista umano si ritiene inverosimile ma che dalla prospettiva di un Dio veramente onnipotente non può essere che fattibile. La fede è in effetti l'unico “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono (Eb 11,1), per il quale dovremmo essere soddisfatti nel solo credere senza sperimentare, in conseguenza di aver ricevuto l'annuncio di una rivelazione.

Credere che Dio in Gesù Cristo ha dato definitivamente la vita vuol dire accogliere e approvare il dono della vita stessa senza riserve e non bizantineggiare su questa verità che non ci viene spiegata se non dal fatto esaltante della tomba vuota.

Fonte:www.qumran2.net


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