Battista Borsato,"Lasciarci incendiare da Lui"

DOMENICA  di  PENTECOSTE  

Lasciarci incendiare da Lui

La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Dopo Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
(Gv 20,19-23)

“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!”. Potremmo denominare la festa di Pentecoste “Festa del fuoco”. Gli Atti degli Apostoli” ricordano, infatti, che nella casa dove si trovavano, “apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro”. Questo fuoco non si posa solo sugli apostoli, ma su tutta la comunità radunata nel cenacolo. Erano centoventi persone: il centoventi viene dalla moltiplicazione del dodici per dieci. I dodici apostoli sono il fondamento della Chiesa, ma non sono tutta la Chiesa: essa è composta dai dodici che diventano centoventi, vale a dire da tutti i cristiani. Lo Spirito si posa su tutti, tutti sono toccati dal fuoco. Tutti sono la Chiesa e sono chiamati ad essere soggetti attivi e corresponsabili. La verità va cercata da tutti perché a tutti si rivela lo Spirito. E questo significa approdare da una concezione clericale, secondo la quale solo l'autorità possiede la verità, ad una concezione laicale della Chiesa: tutto il popolo è incendiato dallo Spirito.

Oggi anche noi siamo chiamati a lasciarci incendiare. Quanti hanno vissuto l'esperienza del fuoco, ed hanno potuto osservare l'ardere di un bosco, di una casa, di una fabbrica, sanno che esso ha una potenza incredibile. Che cosa vuol dire, allora, “lasciarci incendiare”?
Vuol dire, anzitutto e concretamente, “passare dalla tristezza alla gioia”.
Sarebbe interessante sentire a questo proposito le opinioni della gente. Il nostro mondo è certo un mondo sazio, ma si può affermare che sia anche contento e felice? Sappiamo che il mal di vivere sale. Perché tanti suicidi? Come possono, addirittura, due giovani fidanzati togliersi la vita insieme? È successo, ed il messaggio che hanno lasciato dice: “Siamo stanchi di vivere”.  È una stanchezza che ci interroga, che ci deve inquietare: questo nostro orizzonte fatto di materialità, di benessere, non basta, la persona “è” di più, ed esige qualcosa di più. Per questo leggo molta tristezza nel volto di quelli che incontro, talvolta celata, più spesso percepibile. Bisogna invece lasciarci incendiare dalla gioia, la gioia che nasce quando l'uomo si sente amato, abitato da Dio. Il Sessantotto ipotizza un mondo senza padre: ci si voleva svincolare dalla figura paterna, di conseguenza anche da Dio padre. Non si  accettava alcuna dipendenza, si doveva realizzare la massima libertà. Ma l'uomo senza Padre sente freddo, prova tristezza. Lasciamoci invece incendiare dallo Spirito, che è presenza di Dio: una presenza che ci conforta, ci consola, ci dà speranza.

Lasciarci incendiare vuol dire anche muoversi “dall'indifferenza alla passione”. L'indifferenza alle povertà, ai problemi degli altri, l'indifferenza verso il prossimo è una delle peculiarità del nostro tempo: tutti hanno fretta e non si accorgono di quanto accade loro attorno, perché pensano solo a sé stessi. Anche la cultura, oggi, semina e fa crescere l'indifferenza: non ci si impegna a leggere, a riflettere, a confrontarsi; e nella coppia le cose, spesso, vanno allo stesso modo: fra sposo e sposa nasce il distacco, ognuno vive nel proprio mondo, il dialogo e la comunicazione diventano difficili. Lasciarsi incendiare dalla passione, ma quale passione? La passione per l'uomo nei suoi infiniti problemi, la passione per Dio, la passione per le grandi tensioni morali e ideali.

Lasciarsi incendiare vuol dire, infine, transitare “dall'ostilità all'ospitalità”. La nostra occidentalità è intrisa di paura per il diverso, condizionata dall'inimicizia per chi parla un'altra lingua. La stessa religione cristiana ha decretato nemiche le altre religioni, minacce da cui difendersi, contro cui lottare; la razza bianca ha guardato alle altre come razze inferiori, da dominare; la cultura europea si è proposta come il centro, verso cui tutto doveva convergere, attorno a cui doveva ruotare il mondo. Nella casa, l'uomo ha considerato la donna subalterna, e le ha imposto il proprio dominio. Occorre passare dall'ostilità all'ospitalità. La Pentecoste racconta di culture e lingue differenti, che si ascoltavano e si capivano, pur restando diverse: ogni cultura assicura dei valori, ogni religione porta delle verità, ogni razza origina un dono. La liturgia di oggi ci invita ad ospitare questa diversità. Per crescere gli uni con gli altri, insieme, bisogna vincere l'ostilità. Raul Follerau amava ripetere: “Non più gli uni contro gli altri, ma gli uni con gli altri, gli uni per gli altri”.

Due piccoli impegni:

- Riconoscere che tutti i credenti sono soggetti attivi e corresponsabili perché hanno  ricevuto  lo Spirito.
-  Costruire la Chiesa come luogo di culture e di lingue differenti che si ascoltano.




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