JUAN J. BARTOLOME SDB LECTIO DIVINA "QUANDO PREGATE, DITE: "PADRE,
17a Domenica T. Ordinario - Anno C | Lectio Divina
Lectio Divina su: Lc 11,1-13
Prima di essere maestro di preghiera, Gesù è stato modello: il desiderio di pregare è nato nel
discepolo, vedendo pregare il suo Signore; contemplandolo, si è reso conto di non saper pregare come il suo maestro. Il discepolo volle imparare a pregare perché non sapeva pregare come il suo maestro: la preghiera si era trasformata, quindi, in una grande sfida; non era tanto ciò che Gesù gli insegnava con le parole, ma con la vita. E Gesù insegna a coloro che glielo chiedono, a chi lo desidera. Prima di aver detto parole ha dato loro l'esempio; ma con le parole Gesù ha lasciato vedere al discepolo ciò che questo non riusciva a scoprire mentre lo vedeva pregare: gli parla dei sentimenti con cui rivolgersi a Dio come Padre, e spinge alla perseveranza che si nutre della fiducia che Dio, come nostro Padre, ci regala.
La sicurezza del discepolo non si basa su ciò che si chiede o su come e quando chiederlo, ma sul rapporto instaurato con Dio quando prega. Chi si riconosce figlio, sa che non é inopportuno, anche se importuna il suo Dio. Chi sa di chiedere a un padre, non si preoccupa di chiedere bene, oppure di chiedere il meglio, perché il meglio sarà quanto riceve da Dio che gli è Padre. Il figlio può osare chiedere al suo Dio per il suo Spirito di Padre: non siamo forse poco oranti perché ci accontentiamo del meno? Non siamo forse cattivi discepoli perché non abbiamo il coraggio di sentirci figli di Dio come Gesù è stato e ci ha insegnato ad essere? Per il cristiano pregare come Gesù ha insegnato è riconoscersi come lui si riconosceva, figlio di Dio, e chiedere ciò che non avrebbe osato, lo Spirito, se non fosse stato perché così Gesù glielo ha insegnato.
1 Una volta che Gesù stava pregando in un certo luogo, quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse:
"Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli".
2 Gli disse: "Quando pregate, dite:
"Padre,
sia santificato il tuo nome,
Venga il tuo regno,
3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4 perdona i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo tutti coloro che ci devono qualcosa,
E non ci indurre in tentazione".
5 Ed egli disse:
"Se qualcuno di voi ha un amico, e arriva a mezzanotte a dirgli: 'Amico, prestami tre pani, 6Perché uno dei miei amici è arrivato da un viaggio e non ho nulla da offrirgli." 7Y, dal di dentro, l'altro risponde: "Non mi importunare; la porta è chiusa, i miei figli ed io siamo a letto, non posso alzarmi per darteli". 8 Se l'altro insiste, io vi dico, che se non glieli darà perché è suo amico, glieli darà, per la sua importunità, tutto ciò che gli serve.
9Per cui io vi dico:
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto;
10 chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra?
12 0 se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? 0 se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?
13 Se voi, allora, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono"!
1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
In netto contrasto con Matteo che ha introdotto la preghiera del Padre nostro (Matteo 6,9-13) in una lunga catechesi sulla preghiera (Mt 6,1-15) all'interno del discorso della montagna (Mt 5,1-7, 28), Luca preferisce creare un nuovo scenario per questo importante atto magisteriale di Gesù. Avvicinandosi il tempo di partire da questo mondo, Gesù si è messo in cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51-19,28). Il continuo spostamento offre l'opportunità di rafforzare la convivenza con coloro che lo seguono e impegnarsi, innanzitutto, alla loro 'educazione': vuole guadagnarseli affinché lo accompagnino nella sua passione (Lc 9,22-27.44-45). E' in questo contesto che Gesù diventa per loro maestro di preghiera. La scena si svolge in due parti, disuguali per contenuto e ampiezza. Una breve notizia colloca senza molta precisione l'insegnamento di Gesù (Lc 11,1): a un certo punto, da qualche parte, lungo la strada per Gerusalemme, Gesù si mise a pregare e potrebbe essere stato visto da un discepolo. Sarà la sua richiesta: Signore, insegnaci a pregare, che provoca l'insegnamento di Gesù (Lc 11,2-13).
Questo ha due sezioni: la preghiera propriamente detta (Lc 11,2-4), e una più ampia catechesi sulla preghiera (Luca 11:5-13). E 'curioso che la preghiera insegnata sia breve, cinque petizioni - non sei, come Mt 6:9-13, introdotte da un semplice 'Padre' (Mt 6,9a: Padre nostro), mentre la catechesi è lunga, con immagini realistiche e convincenti, e insiste prima sulla perseveranza (Lc 11,5-8) e poi sulla fiducia filiale (Lc 11,9-13). Sembra che Gesù dia più importanza a come pregare piuttosto che, a cosa dire.
2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!
Gesù era uno di quei maestri che insegnano con la vita ancor più che con le parole. Il suo insegnamento non si è ridotto ai discorsi che pronunciava, erano i suoi gesti quotidiani che meglio formavano i suoi discepoli. Per questo, per imparare da lui, ha preteso che lo si seguisse continuamente. Gesù è stato colui che si è impegnato a fare dei suoi discepoli dei compagni, e che si è fatto confidente di chi imparava da lui. Non insegnava a distanza; chi non viveva con lui non poteva imparare da lui. Il Vangelo non smette di ricordarlo: un anonimo discepolo sorprende Gesù mentre prega e rimane sorpreso perché lui non ha ancora insegnato a pregare, mentre tutti gli altri maestri in Israele lo avevano fatto con i loro discepoli. Vedere pregare il suo maestro lo fa rendere conto di quello che ancora gli manca da imparare.
La richiesta doveva essere insolita, non solo perché Gesù, come nota Luca, spesso pregava da solo, ma perché il discepolo apparteneva a un popolo, Israele, che sapeva come pregare. Come dobbiamo essere grati a questo anonimo discepolo, che ha imparato dal suo maestro una delle sue migliori lezioni! Poté vedere pregare il Signore, perché accompagnava sempre Gesù, anche quando non pregava... Vivere con Gesù fa nascere il desiderio, e lo alimenta, di pregare come lui. Non è forse perché è scarsa, solo puntuale, la nostra volontà di vivere con Gesù, per cui non ci interessa molto imparare da lui come pregare?
Al dispiacere di quel discepolo per non sapere pregare - e al suo coraggio nel riconoscerlo - dobbiamo la preghiera cristiana per eccellenza. Non disperiamo, dunque, se dobbiamo riconoscere che, dopo tanto tempo che seguiamo Gesù, nemmeno noi sappiamo pregare. Come questo primo discepolo, alla cui ignoranza e al cui coraggio dobbiamo il Padre nostro, chiediamo oggi a Gesù che ci insegni a pregare. E, non dimentichiamolo, Gesù ha insegnato a pregare a chi glielo ha chiesto. Parlava di Dio a tutti coloro che lo ascoltavano, manifestava la sua volontà a tutti quelli che incontrava; ma ha insegnato a parlare con Dio come si parla ad un padre, ha invitato a sentirsi figlio di Dio solo a chi gli ha chiesto di insegnargli a pregare come faceva lui. Per quanto gratuito è il suo insegnamento, Gesù vuole che sia desiderato; che non richieda nulla in precedenza, non significa che non deve essere richiesto; anche se non lo abbiamo meritato né possiamo pagarlo, dobbiamo apprezzare quello che Gesù può insegnarci.
A pensarci bene, non deve risultare penoso rendersi conto che non si sa pregare. Riconoscerlo non è, anzi, una scusa per lasciare Gesù o per scoraggiarsi; piuttosto è una ragione in più per stare con lui più a lungo, fino a quando impariamo a pregare, fino a quando lui vuole insegnarci. Il discepolo che ha chiesto lezioni di preghiera è stato uno di quelli che hanno avuto la fortuna di accompagnarlo, mentre Gesù stava pregando. Se non avessimo motivi migliori per rimanere con Gesù tutta la vita, potremmo utilizzare come motivo - ed è eccellente - la nostra incapacità di pregare: fino a quando non sappiamo pregare come lui, abbiamo bisogno che ce lo insegni. La nostra ignoranza circa la preghiera è una buona scusa per seguire Gesù, per seguirlo ovunque vada. Chi vuole che Gesù sia il suo maestro di preghiera deve rimanere in sua compagnia. Non sarà questo un motivo - non ne abbiamo bisogno di altri - per spiegare a noi stessi la nostra precaria vita di preghiera e la sua scarsa qualità? Coloro che vivono lontani da Gesù, senza ascoltarlo sempre, senza contemplarlo spesso, non avranno idea di che cosa significhi pregare come lui sapeva fare.
Gesù non iniziò il suo magistero con un discorso sulla preghiera (cf. Mt 6,5-8), ma con una breve preghiera. E la prima cosa che insegnò all'apprendista della preghiera è quella di sentirsi figlio del Dio che sta pregando. Non è degna di un cristiano una preghiera che non si fa a lui, figlio, e a Dio, Padre. Naturalmente, per 'insegnare' questo, si deve passare prima tanto tempo in preghiera. Gesù comunica ciò che sente: nella preghiera insegnata sono indicati i suoi sentimenti: l'orante è, sempre e solo - può essere qualcosa d'altro? - Figlio di Dio. Si può ottenere qualcosa di meglio con meno parole?
Ciò che Gesù ha dato a questo interessato discepolo in poche parole è stata un'enorme lezione: gli ha insegnato a sentirsi figlio dinanzi a Dio. E l'insegnamento di Gesù non si è ridotto alle parole che doveva rivolgere a Dio; precisò anche come doveva sentirsi durante la preghiera chi si riteneva suo discepolo; in verità, da questo, dal sentirsi figlio di Dio, doveva iniziare. Gesù ha insegnato le parole: cosa dire a Dio e in quale ordine; e facendolo, ci mostrò che, nella preghiera, gli interessi di Dio precedono le nostre esigenze; che ci si deve prendere cura delle cose del Padre prima di chiedergli di esaudire le nostre. Anche nella preghiera Dio viene prima. Ma, scegliendo le parole, Gesù ci ha detto che tutto ciò che si pone davanti a Dio può contare su un padre.
In Luca il Padre (nostro) è formulato con un curioso 'squilibrio'. E 'vero che le prime richieste si concentrano su Dio Padre: si chiede qualcosa per Lui, santità per il suo nome e realizzazione del suo regno! Questa priorità è una lezione magistrale che, purtroppo, spesso passa inosservata. Chi vuole pregare come Cristo, si prende cura prima di Dio e delle sue cose; in fondo, non dovrebbe costare tanto, trattandosi di un Padre. Ma sono solo due le richieste che si fanno per Lui, mentre per noi - attenzione, non per me, per chi prega, ma per tutti, anche per coloro che non pregano! - sono tre: il pane sufficiente oggi per poter sopravvivere domani, il perdono dei propri peccati e il sostegno efficace nella prova. Dio, in quanto Padre, si prende cura di alimentarci per non dover vivere oggi con la preoccupazione del domani. In quanto Padre, ci accoglie, e ci riaccoglie sempre quando lo abbandoniamo e, ci riprende come figli suoi, lo recuperiamo come Padre. In quanto Padre, non lascia che la tentazione sia più forte della nostra debolezza, permette che la nostra fedeltà sia provata, però non sopraffatta. Bisogna dire che solo una delle tre richieste per noi è condizionata: il perdono a chi ci ha offeso: chi desidera essere perdonato dal Padre dovrà dare il perdono al fratello che lo ha offeso; chiedere che il Padre dimentichi la mia offesa, mi impone di cancellare dal mio cuore l'offesa ricevuta senza bandire da esso chi mi ha offeso. Più che una preghiera il padrenostro è tutta una scuola di preghiera. Nella preghiera di Gesù il criterio della riuscita non consiste nell'ottenere ciò che si chiede, ma si basa sul sapersi figlio di chi ci ascolta. Quando prega il discepolo di Gesù, forse manca di tante cose, però è sicuro che non gli manca un padre in Dio; anche se ha tanti bisogni, non ha più bisogno di qualcuno che lo ami e che voglia aiutarlo: malgrado tutto un Dio è padre di chi prega come Gesù. Quando prega, il discepolo di Gesù diventa figlio di Dio; e allora, solo allora, può chiedere a Dio ciò che vuole, ciò che più desidera, il suo regno, perchè Dio sia riconosciuto nella terra, e il suo Spirito, perchè ognuno si riconosca nel cuore figlio suo. C'è qualcosa di meglio da desiderare che avere Dio come Padre e il suo Spirito come patrimonio familiare? Dopo aver insegnato cosa pregare, Gesù indica come farlo. E ricorre ad immagini che hanno, ambedue, la figura di un padre come protagonista, sia un padre di famiglia che deve accogliere l'amico inopportuno e ha bisogno di un aiuto immediato (Lc 11,5-8), sia il papà di un ragazzo che, per quanto possa essere cattivo, non può resistere dinanzi al desiderio di suo figlio e gli darà, non ciò che chiede, ma il meglio di quanto può (Lc 1,11-13). Così dà fondamento all'esortazione centrale: chiedete, cercate, chiamate. Gesù promette - si impegna - che si riceverà..., però non ciò che gli si chiede; che si troverà..., non esattamente ciò che si è cercato; che gli si aprirà...non sempre la porta desiderata. La preghiera al Padre non sempre ottiene ciò che si desidera, però sempre riceve di più e meglio di quanto si è desiderato. O che Dio Padre non sarà forse migliore del migliore dei padri?
Quando preghiamo, ciò che otteniamo non è la soddisfazione di tutte le nostre richieste; la preghiera che facciamo non ottiene il compimento dei nostri più piccoli desideri. Lo sappiamo bene! E' un'esperienza tanto normale che, a volte, giunge a indebolire il nostro desiderio di pregare. Pensiamo che con la preghiera conseguiremo ciò che non otteniamo con i nostri sforzi; preghiamo per ottenere piccoli prodigi, dimenticando che il prodigio migliore è già avvenuto: prima di confessargli i nostri errori o di chiedergli la sua protezione, Dio ci fa sapere che è a nostra disposizione come Padre. La preghiera del figlio non dipende, allora, da quanto gravi sono i suoi bisogni, ma da quanto grande è la sua fiducia; non è importante ciò che si chiede, né quanto né quando, ma la relazione che si crea tra chi prega e il suo Dio. Chiedere è compito dei figli e dare è compito del Padre. Una preghiera che non nasce dalla fiducia totale, che chiede senza speranza di ottenere, che prega perchè non si ha in vista altra soluzione o come semplice sfogo, che spera di ottenere qualcosa solo perchè ha insistito molto, non è propria di un figlio.
Chi si riconosce figlio non si crede mai inopportuno. Per quanto chieda, mai chiederà di più di quanto gli è stato già concesso. Il figlio, quando prega suo padre, non si preoccupa di guardare la forma; non nasconde il suo bisogno perchè ha bisogno di Dio più di tutto ciò che gli manca; non nasconde la sua povertà, non perchè suo padre non se ne renda conto, ma per potersi arricchire ancor più delle attenzioni di Dio. Chi si sa figlio non si preoccupa di chiedere il meglio per se stesso, ciò di cui ha più bisogno o quanto crede di non avere. Sa di aver già ottenuto il meglio, ciò di cui aveva più bisogno: il suo Dio come Padre. Di fronte a questo, tutto il resto è niente. Gesù ci ha insegnato a trasformare i nostri bisogni in un esercizio di filiazione: ci mancano tante cose importanti per non sentire la mancanza di Dio.
Chi si sa figlio, non crede di perdere tempo domandando cose a Dio, nè perde tempo chiedendogli cose senza importanza: figlio è chi osa chiedere più stima al padre; figlio è chi desidera ottenere da suo padre il meglio che lo caratterizza. Il figlio aspira al tesoro del padre, e non si rassegna a meno: i figli di Dio gli chiedono sempre, anche quando non è opportuno, lo Spirito. Non siamo forse cattivi solo perchè siamo cattivi oranti? E non siamo forse cattivi oranti perchè non osiamo chiedere a Dio ciò che realmente vale la pena? Chiedergli il suo Spirito metterebbe alla prova la sua volontà di concederci ciò che desideriamo e ci convertirebbe in suoi figli. Per non perderci lo Spirito di Dio, possiamo perdere le buone forme pregando. Così ci ha insegnato lo stesso Gesù.
Juan J. BARTOLOME sdb
Fonte: www.donbosco-torino.it
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