MONASTERO MARANGO,"La sfacciataggine di un amico "

La sfacciataggine di un amico

Briciole dalla mensa - 17° Domenica del Tempo Ordinario  (anno C) - 28 luglio 2019
LETTURE Gen 18,20-32   Sal 137   Col 2,12-14   Lc 11,1-13
COMMENTO

Vedendo Gesù in preghiera, i discepoli gli chiedono di insegnare anche a loro come rivolgersi a Dio. Immagino che siano stati colpiti vedendolo pregare, e questo ha suscitato la loro richiesta. Ma provo anche a ipotizzare che a interessarli non sia stato tanto come Lui si rivolgeva a Dio, quanto il suo modo, poi, di rivolgersi agli uomini: sempre con amore, disponibilità, comprensione. Tale capacità non poteva che attingerla dal suo rapporto orante con il Padre. Certo, Luca ci racconta che, una volta, durante la sua preghiera, Gesù si trasfigurò. Ma tante altre volte Gesù ha portato il peso della sua vita nel suo rivolgersi al Padre: pensiamo alla sua preghiera al Getsemani. E’ stata, dunque, la grandezza del suo cuore e la bellezza del suo modo di stare tra gli uomini che deve aver spinto i discepoli a chiedergli come Lui stava davanti a Dio.

Gesù non insegna loro un nome con cui chiamare Dio, così come vorrebbe la teologia: Egli insegna, invece, una relazione, quella dei figli. Dio non ha un nome, Dio è il Padre: come ai bambini piccoli non si insegna il nome dei genitori, ma a chiamarli «mamma» e «papà». E così imparano la relazione. Perciò, con la preghiera che inizia con «Padre», Gesù ci insegna la confidenza, la fiducia, il sentirsi presi in cura, nel nostro rapporto di fede con Dio.
Quindi è profondamente incoerente chi si rivolge a Dio come al proprio Padre, ma poi lo considera un padrone, per di più cattivo: uno che manda le malattie e le disgrazie, o – almeno – se ne disinteressa quando capitano, stabilisce la morte delle persone, non si cura dei drammi del mondo, permette i peggiori mali… Quale padre può comportarsi così?! Allora dobbiamo recuperare la relazione di fede autentica in Dio, non imputandogli mali e castighi, oppure dobbiamo smettere di chiamarlo «Padre» e di invocarlo così nella preghiera senza aver un minimo di coscienza di ciò che diciamo.

La preghiera che dunque Gesù insegna ci educa ad essere figli. Perché la preghiera non serve a cambiare Dio – che è sempre buono e disponibile verso i suoi figli -, ma serve a cambiare noi: ad essere figli che si amano, perché riconoscono di avere un unico Padre, pieno di misericordia e di amore.
Perciò anche le richieste che rivolgiamo a Dio nel Padre Nostro servono a educare il nostro sentire per renderlo conforme al sentire del Padre. Infatti, chiediamo che Dio diffonda il suo essere vita a tutto («sia santificato il tuo nome»); che il suo progetto di rendere l’uomo più umano metta le radici nel mondo («venga il tuo regno»); che riconosciamo, senza affanni, che Lui ci dà il necessario per vivere («dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano»); che riusciamo a vivere rapporti positivi e buoni con gli altri («perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore»); e che non ci sentiamo soli quando la vita ci mette alla prova («non abbandonarci alla tentazione»). Tutto questo Dio già lo opera, ogni giorno, in Gesù Cristo: la preghiera serve ad aprirci gli occhi della fede e a renderci responsabili con una vita aperta alla carità.

Gesù prosegue il suo insegnamento sulla preghiera indicando altri due elementi che mostrano come la fiducia sia la qualità essenziale della preghiera: la confidenza e il dono dello Spirito.
Gesù racconta la parabola di tre amici. Un primo arriva da un viaggio e viene ospitato da un amico, il quale, non avendo in casa del cibo da offrirgli, va a sua volta da un altro amico, a mezzanotte, a domandargli dei pani. Per quest’ultimo vorrebbe dire svegliare tutta la famiglia, ma anche se non lo farà per amicizia, si alzerà, dice Gesù, «almeno per la sua sfacciataggine» (letteralmente). L’uomo che va a mezzanotte dall’amico è stato a sua volta visitato da un amico e va a chiedere all’altro non per sé, ma per adempiere al dovere dell’ospitalità. E’ spinto dalla cura per l’amico, non dal proprio bisogno. Il suo osare, poi, un tale disturbo al suo altro amico sembra indicare la confidenza  che aveva con lui. Si osa chiedere a una persona a cui si vuole bene e dalla quale si sa di essere voluti bene: è il guardarsi nel volto che fa chiedere anche «senza volto» («sfacciataggine»). Perciò la preghiera vera non esprime tanto la nostra devozione a Dio o il nostro bisogno di essere da Lui esauditi. Dice, invece, quanto lo consideriamo un amico, che osiamo disturbare perché sappiamo che Lui ama essere disturbato dai suoi amici, che addirittura li vuole sfacciati, per mostrarci il suo volto di Padre.

Se noi diamo cose buone ai nostri figli, molto più fa il Signore con noi: il buono necessario per la nostra vita di figli è lo Spirito Santo. Perché lo Spirito è la sintonia, la connessione con il Padre, quello che ci trasforma da poveri uomini in veri figli di Dio, quello che ci strappa dal dominio del male e ci rende capaci di essere operatori di bene.
Dobbiamo osare con più fiducia la preghiera che chiede lo Spirito, per diventare più capaci di una relazione autentica con Dio e più aperta agli altri.

Alberto Vianello

Fonte:www.monasteromarango.it


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