mons. Roberto Brunelli"Ascoltare e mettere in pratica"
Ascoltare e mettere in pratica
mons. Roberto Brunelli
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/07/2019)
Visualizza Lc 10,38-42
La parabola del buon samaritano, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, trova oggi un collegamento con la prima lettura (Genesi 18,1-10): Abramo offre ospitalità a tre sconosciuti viandanti; così, senza rendersene conto, accoglie Dio, che lo ricompensa con la nascita del tanto atteso figlio. E di ospitalità parla anche il vangelo (Luca 10,38-42): Gesù si reca a Betania, accolto dalle sorelle Marta e Maria. Entrambe onoratissime di riceverlo e preoccupate di offrirgli una degna accoglienza, la manifestano però in modo diverso: Marta si fa in quattro nei lavori domestici (possiamo immaginarla indaffarata a riordinare la casa, cucinare, imbandire la mensa); Maria invece si trattiene a tenergli compagnia: "Sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola". La prima se ne lamenta: "Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Richiesta ragionevole, a prima vista; non però agli occhi di Gesù, il quale ne profitta per lasciarci un insegnamento di perenne validità: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".
Taluni hanno inteso l'episodio come una contrapposizione tra l'azione concreta, anche buona, e l'ascolto, la meditazione, la preghiera; insomma tra la vita attiva e la vita contemplativa, tra il fare e il pensare, concludendo che Gesù privilegia il secondo. Quando nel Settecento i governi soppressero i monasteri incamerandone i beni, la motivazione formalmente addotta fu che i monaci e le monache, ritenuti (a torto) impegnati solo nella preghiera, erano inutili perché privi di una funzione sociale (quando poi soppressero anche i frati, le suore e le confraternite di laici, pur se accanto alla preghiera svolgevano svariate opere di carità, il vero intento divenne palese). Quelle decisioni autoritarie nell'ambito delle libere scelte dei cittadini nascevano anche da una motivazione che tuttora qualcuno condivide: l'uomo, dotato di ragione, opera bene, anche a beneficio di altri, senza bisogno di "perdere tempo" a pregare.
Una tale fiducia nell'uomo, capace da solo di vivere rettamente, è contraddetta in modo clamoroso dalle cronache quotidiane e dalla comune esperienza: la “cronaca nera” si alimenta dei comportamenti di chi è lontano da Dio. Il male dentro e intorno a noi non lo possiamo vincere da soli; tutti abbiamo bisogno di quell'aiuto che unicamente Dio ci può dare. E ce lo dà, tanto quanto ci mettiamo in ascolto di lui, in sintonia con lui attraverso la riflessione e la preghiera. Anche il bene (di cui pure siamo capaci), perché non sia compiuto alla ricerca di un tornaconto, perché non sia semplice frutto delle nostre corte vedute, perché non si risolva in un autocompiacimento, deve essere quello di cui Gesù ha dato l'esempio, deve sgorgare dall'amicizia con lui. Egli non nega il valore di quello che Marta fa; ne contesta l'eccesso e stabilisce la gerarchia dei valori. Essere è più importante che fare. Essere in sintonia con lui è più importante anche del fare, apparentemente, per lui o in suo nome.
Gesù dunque non contrappone vita attiva e vita contemplativa, come se pregare fosse da preferire al servizio del prossimo (del resto, anche nella casa di Betania doveva pur esserci chi preparava la cena). Il richiamo a Marta è a non affannarsi, a non esaurire il suo impegno in cucina; accogliere un ospite non significa soltanto "fare cose" per lui, ma anche offrirgli la disponibilità del proprio tempo, della propria attenzione. La vita attiva non dev'essere "altro" da quella contemplativa, ma una sua traduzione, come Gesù stesso in un'altra circostanza (Luca 11,28) ha sintetizzato: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".
Fonte:www.qumran2.net
mons. Roberto Brunelli
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/07/2019)
Visualizza Lc 10,38-42
La parabola del buon samaritano, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, trova oggi un collegamento con la prima lettura (Genesi 18,1-10): Abramo offre ospitalità a tre sconosciuti viandanti; così, senza rendersene conto, accoglie Dio, che lo ricompensa con la nascita del tanto atteso figlio. E di ospitalità parla anche il vangelo (Luca 10,38-42): Gesù si reca a Betania, accolto dalle sorelle Marta e Maria. Entrambe onoratissime di riceverlo e preoccupate di offrirgli una degna accoglienza, la manifestano però in modo diverso: Marta si fa in quattro nei lavori domestici (possiamo immaginarla indaffarata a riordinare la casa, cucinare, imbandire la mensa); Maria invece si trattiene a tenergli compagnia: "Sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola". La prima se ne lamenta: "Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Richiesta ragionevole, a prima vista; non però agli occhi di Gesù, il quale ne profitta per lasciarci un insegnamento di perenne validità: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".
Taluni hanno inteso l'episodio come una contrapposizione tra l'azione concreta, anche buona, e l'ascolto, la meditazione, la preghiera; insomma tra la vita attiva e la vita contemplativa, tra il fare e il pensare, concludendo che Gesù privilegia il secondo. Quando nel Settecento i governi soppressero i monasteri incamerandone i beni, la motivazione formalmente addotta fu che i monaci e le monache, ritenuti (a torto) impegnati solo nella preghiera, erano inutili perché privi di una funzione sociale (quando poi soppressero anche i frati, le suore e le confraternite di laici, pur se accanto alla preghiera svolgevano svariate opere di carità, il vero intento divenne palese). Quelle decisioni autoritarie nell'ambito delle libere scelte dei cittadini nascevano anche da una motivazione che tuttora qualcuno condivide: l'uomo, dotato di ragione, opera bene, anche a beneficio di altri, senza bisogno di "perdere tempo" a pregare.
Una tale fiducia nell'uomo, capace da solo di vivere rettamente, è contraddetta in modo clamoroso dalle cronache quotidiane e dalla comune esperienza: la “cronaca nera” si alimenta dei comportamenti di chi è lontano da Dio. Il male dentro e intorno a noi non lo possiamo vincere da soli; tutti abbiamo bisogno di quell'aiuto che unicamente Dio ci può dare. E ce lo dà, tanto quanto ci mettiamo in ascolto di lui, in sintonia con lui attraverso la riflessione e la preghiera. Anche il bene (di cui pure siamo capaci), perché non sia compiuto alla ricerca di un tornaconto, perché non sia semplice frutto delle nostre corte vedute, perché non si risolva in un autocompiacimento, deve essere quello di cui Gesù ha dato l'esempio, deve sgorgare dall'amicizia con lui. Egli non nega il valore di quello che Marta fa; ne contesta l'eccesso e stabilisce la gerarchia dei valori. Essere è più importante che fare. Essere in sintonia con lui è più importante anche del fare, apparentemente, per lui o in suo nome.
Gesù dunque non contrappone vita attiva e vita contemplativa, come se pregare fosse da preferire al servizio del prossimo (del resto, anche nella casa di Betania doveva pur esserci chi preparava la cena). Il richiamo a Marta è a non affannarsi, a non esaurire il suo impegno in cucina; accogliere un ospite non significa soltanto "fare cose" per lui, ma anche offrirgli la disponibilità del proprio tempo, della propria attenzione. La vita attiva non dev'essere "altro" da quella contemplativa, ma una sua traduzione, come Gesù stesso in un'altra circostanza (Luca 11,28) ha sintetizzato: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".
Fonte:www.qumran2.net
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