Padre Paolo Berti, “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”
XV Domenica del T. O.
Lc.10,25-37
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”
Fuori dubbio che il dottore della legge si trovò a mal partito dal momento che Gesù lo condusse subito a considerare quanto diceva la Scrittura, ed era chiaro quello che bisognava fare per avere la vita eterna. Il dottore della legge non può che rispondere benissimo. Ma, allora? Allora, dov’era l’acutezza della domanda? Il dottore della legge avvertì che stava facendo una magra figura, e così cercò di evocare una giustificazione, una profondità della sua domanda: “E chi è il mio prossimo?”. Il dottore della legge pensava che questa volta Gesù doveva dare una risposta, sulla quale poi cavillare, e invece ecco che si trovò di fronte ad una parabola e dovette di nuovo rispondere ad una domanda.
Su chi era il suo prossimo, il dottore della legge aveva una sua idea precisa: il suo prossimo era chi gli voleva bene. Quindi il dovere di amare il suo prossimo era circoscritto nell’amare chi lo amava. E il perdono? La Scrittura, infatti, lo presentava il perdono, e quel dottore della legge lo sapeva (Lv 19,18; Sir 28,2) Il perdono non è un atto di altezzosa sufficienza nei confronti di chi ha mancato, per cui al perdono si accompagna l'odio, ma è un atto di amore che oltrepassa l'offesa e ristabilisce la concordia.
Gesù, dunque, narrò una parabola presentando il caso di un povero uomo incappato nei briganti. Di lui non dice se era un pagano o un giudeo o un samaritano: solo un uomo incappato nei briganti lungo la strada solitaria che da Gerusalemme va a Gerico.
Lungo quella strada passò “per caso” un sacerdote. Molti sacerdoti avevano dimora a Gerico e quindi il sacerdote era in strada. Ma, essendo “per caso” vuol dire che non aveva un programma di orario e quindi neppure un appuntamento. Ma l'appuntamento col bene da fare è sempre presente, ed era suo dovere prestare soccorso a quel pover'uomo. Non si trattava del pericolo di toccare un morto (Cf. Lv 21,1.11) che avrebbe comportato uno stato di impurità, ma di soccorrere un uomo pieno di lividi e di ferite, che mandava gemiti di dolore.
Niente, il sacerdote passò dall’altra parte della strada e andò dritto rifiutando quell'appuntamento con il bene che è sempre presente.
La stessa cosa accadde con un levita.
Gesù, con ciò, tira in campo tutto il sacerdozio del tempio. I vertici di Israele.
Gesù mette poi in campo un altro personaggio: un Samaritano che, “in viaggio”, aveva un programma, una tabella di marcia, degli appuntamenti, e per questo poteva trovare una giustificazione per procedere oltre quel povero disgraziato rantolante, o perlomeno dedicargli solo qualche attimo. Gesù, dunque, parla di un un Samaritano, e i Samaritani non avevano nessuna considerazione presso Gerusalemme.
Il Samaritano si fermò, si prese cura di quell’uomo rantolante. Gesù conclude la parabola con una domanda al dottore della legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” Gesù gli dice “ti sembra”, perché vuole che risponda lui, senza trovare soccorso in citazioni di opinioni rabbiniche. La risposta è perfetta: “Chi ha avuto compassione di lui”. Il prossimo per il dottore era colui che ci ama, ora chi aveva amato quel povero uomo ferito era il Samaritano. Ma il dottore della legge dovette sorprendersi di quanto aveva detto, poiché era in urto con il suo spregio verso i Samaritani. Aveva detto qualcosa che mai avrebbe detto, cioè che un Samaritano era stato migliore di un sacerdote e di un levita del tempio di Gerusalemme. Così si sentì toccato in profondità e le parole di Gesù gli si stamparono nell'animo: “Va e anche tu fa così ”. Allora? L'insegnamento di Gesù è che bisogna amare ogni uomo indipendentemente dalla razza e dalla religione. Amare tutti. Farsi “prossimo” a tutti. Questo urtava contro quanto faceva quel dottore della legge, ma egli stesso dovette dire questa verità.
Gesù non fece disquisizioni con quel dottore della legge, che si aspettava che tutto finisse sul terreno delle disquisizioni. Parlò all’uomo, non al dottore della legge; all’uomo che gli stava dinanzi, e ne seppe trarre fuori le voci profonde.
Fuori dubbio, il comando del Signore è molto vicino all’uomo; anzi è nella sua bocca e nel suo cuore. Dio aveva parlato sul Sinai. Non c'era da pensare che bisognasse andarla a cercare chissà dove la parola di Dio, essa era giunta ed era stata divulgata, scritta anche. Ma l’amore a Dio e al prossimo è legge anche scritta nel cuore dell’uomo (Cf. Rm 2,14) ancor prima che sulle tavole della legge. Ma allora perché l’uomo sbaglia? Semplice; perché vuole sbagliare. Dice il Qoèlet (7,29): “Dio ha creato gli esseri umani retti, ma essi vanno in cerca di infinite complicazioni”. Proprio, cercano, sviluppano, promuovono con cura ragionamenti tortuosi, che, come dice il libro della Sapienza (1,3): “separano da Dio”. L’uomo è capace di oscurare la voce della sua anima in una prigione di disquisizioni, di astruserie. Gesù libera l’uomo dalla prigione delle astruserie, delle vuote disquisizioni, lo porta ad ascoltare se stesso e poi lo eleva a vivere nella carità. In quella carità che tutto sopporta, che tutto spera, che è benevola, che perdona settanta volte sette, che non si adira, che non tiene conto del male ricevuto, che ama il proprio nemico (1Cor 13,8).
L’uomo, nell’oscurità che subentrò alla luce della primitiva rivelazione avuta nel Paradiso Terreste, non poteva accedere con le sue forze alla morale del Vangelo, essa sorpassa le sue possibilità, eppure quando la riceve nell’evangelizzazione sente che essa non è contraria alle voci profonde del suo cuore.
L’incontro con Cristo cambia l’uomo, lo riconcilia con Dio, con se stesso, con gli altri, con la natura. Dice il testo di san Paolo: “E' piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli ”.
Quel dottore della legge non era certo in stato di riconciliazione con i Samaritani, ma di fronte a Gesù, che lo interpella, si venne a trovare sulla linea della rottura delle ostilità.
E’ Gesù che ha spezzato la catena delle ostilità.
Ma come ci si deve comportare con chi non è con noi nella comunione portata da Cristo? Non è difficile saperlo se si considera che la comunione in Cristo deve estendersi a tutti gli uomini.
“Va e anche tu fa così” dico allora con Gesù a ciascuno di voi e a me stesso, perché anch’io devo vivere quanto dico. “Va fa anche tu così”, e non solo quello che fece il Samaritano, ma quello che Gesù fece a quel dottore della legge. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Lc.10,25-37
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”
Fuori dubbio che il dottore della legge si trovò a mal partito dal momento che Gesù lo condusse subito a considerare quanto diceva la Scrittura, ed era chiaro quello che bisognava fare per avere la vita eterna. Il dottore della legge non può che rispondere benissimo. Ma, allora? Allora, dov’era l’acutezza della domanda? Il dottore della legge avvertì che stava facendo una magra figura, e così cercò di evocare una giustificazione, una profondità della sua domanda: “E chi è il mio prossimo?”. Il dottore della legge pensava che questa volta Gesù doveva dare una risposta, sulla quale poi cavillare, e invece ecco che si trovò di fronte ad una parabola e dovette di nuovo rispondere ad una domanda.
Su chi era il suo prossimo, il dottore della legge aveva una sua idea precisa: il suo prossimo era chi gli voleva bene. Quindi il dovere di amare il suo prossimo era circoscritto nell’amare chi lo amava. E il perdono? La Scrittura, infatti, lo presentava il perdono, e quel dottore della legge lo sapeva (Lv 19,18; Sir 28,2) Il perdono non è un atto di altezzosa sufficienza nei confronti di chi ha mancato, per cui al perdono si accompagna l'odio, ma è un atto di amore che oltrepassa l'offesa e ristabilisce la concordia.
Gesù, dunque, narrò una parabola presentando il caso di un povero uomo incappato nei briganti. Di lui non dice se era un pagano o un giudeo o un samaritano: solo un uomo incappato nei briganti lungo la strada solitaria che da Gerusalemme va a Gerico.
Lungo quella strada passò “per caso” un sacerdote. Molti sacerdoti avevano dimora a Gerico e quindi il sacerdote era in strada. Ma, essendo “per caso” vuol dire che non aveva un programma di orario e quindi neppure un appuntamento. Ma l'appuntamento col bene da fare è sempre presente, ed era suo dovere prestare soccorso a quel pover'uomo. Non si trattava del pericolo di toccare un morto (Cf. Lv 21,1.11) che avrebbe comportato uno stato di impurità, ma di soccorrere un uomo pieno di lividi e di ferite, che mandava gemiti di dolore.
Niente, il sacerdote passò dall’altra parte della strada e andò dritto rifiutando quell'appuntamento con il bene che è sempre presente.
La stessa cosa accadde con un levita.
Gesù, con ciò, tira in campo tutto il sacerdozio del tempio. I vertici di Israele.
Gesù mette poi in campo un altro personaggio: un Samaritano che, “in viaggio”, aveva un programma, una tabella di marcia, degli appuntamenti, e per questo poteva trovare una giustificazione per procedere oltre quel povero disgraziato rantolante, o perlomeno dedicargli solo qualche attimo. Gesù, dunque, parla di un un Samaritano, e i Samaritani non avevano nessuna considerazione presso Gerusalemme.
Il Samaritano si fermò, si prese cura di quell’uomo rantolante. Gesù conclude la parabola con una domanda al dottore della legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” Gesù gli dice “ti sembra”, perché vuole che risponda lui, senza trovare soccorso in citazioni di opinioni rabbiniche. La risposta è perfetta: “Chi ha avuto compassione di lui”. Il prossimo per il dottore era colui che ci ama, ora chi aveva amato quel povero uomo ferito era il Samaritano. Ma il dottore della legge dovette sorprendersi di quanto aveva detto, poiché era in urto con il suo spregio verso i Samaritani. Aveva detto qualcosa che mai avrebbe detto, cioè che un Samaritano era stato migliore di un sacerdote e di un levita del tempio di Gerusalemme. Così si sentì toccato in profondità e le parole di Gesù gli si stamparono nell'animo: “Va e anche tu fa così ”. Allora? L'insegnamento di Gesù è che bisogna amare ogni uomo indipendentemente dalla razza e dalla religione. Amare tutti. Farsi “prossimo” a tutti. Questo urtava contro quanto faceva quel dottore della legge, ma egli stesso dovette dire questa verità.
Gesù non fece disquisizioni con quel dottore della legge, che si aspettava che tutto finisse sul terreno delle disquisizioni. Parlò all’uomo, non al dottore della legge; all’uomo che gli stava dinanzi, e ne seppe trarre fuori le voci profonde.
Fuori dubbio, il comando del Signore è molto vicino all’uomo; anzi è nella sua bocca e nel suo cuore. Dio aveva parlato sul Sinai. Non c'era da pensare che bisognasse andarla a cercare chissà dove la parola di Dio, essa era giunta ed era stata divulgata, scritta anche. Ma l’amore a Dio e al prossimo è legge anche scritta nel cuore dell’uomo (Cf. Rm 2,14) ancor prima che sulle tavole della legge. Ma allora perché l’uomo sbaglia? Semplice; perché vuole sbagliare. Dice il Qoèlet (7,29): “Dio ha creato gli esseri umani retti, ma essi vanno in cerca di infinite complicazioni”. Proprio, cercano, sviluppano, promuovono con cura ragionamenti tortuosi, che, come dice il libro della Sapienza (1,3): “separano da Dio”. L’uomo è capace di oscurare la voce della sua anima in una prigione di disquisizioni, di astruserie. Gesù libera l’uomo dalla prigione delle astruserie, delle vuote disquisizioni, lo porta ad ascoltare se stesso e poi lo eleva a vivere nella carità. In quella carità che tutto sopporta, che tutto spera, che è benevola, che perdona settanta volte sette, che non si adira, che non tiene conto del male ricevuto, che ama il proprio nemico (1Cor 13,8).
L’uomo, nell’oscurità che subentrò alla luce della primitiva rivelazione avuta nel Paradiso Terreste, non poteva accedere con le sue forze alla morale del Vangelo, essa sorpassa le sue possibilità, eppure quando la riceve nell’evangelizzazione sente che essa non è contraria alle voci profonde del suo cuore.
L’incontro con Cristo cambia l’uomo, lo riconcilia con Dio, con se stesso, con gli altri, con la natura. Dice il testo di san Paolo: “E' piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli ”.
Quel dottore della legge non era certo in stato di riconciliazione con i Samaritani, ma di fronte a Gesù, che lo interpella, si venne a trovare sulla linea della rottura delle ostilità.
E’ Gesù che ha spezzato la catena delle ostilità.
Ma come ci si deve comportare con chi non è con noi nella comunione portata da Cristo? Non è difficile saperlo se si considera che la comunione in Cristo deve estendersi a tutti gli uomini.
“Va e anche tu fa così” dico allora con Gesù a ciascuno di voi e a me stesso, perché anch’io devo vivere quanto dico. “Va fa anche tu così”, e non solo quello che fece il Samaritano, ma quello che Gesù fece a quel dottore della legge. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
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