Battista Borsato, "La fede di Gesù è fuoco e rottura"

XX°  DOMENICA del T. O.  
La fede di Gesù è fuoco e rottura


In quel tempo Gesù disse: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”. Diceva ancora alle folle: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade: E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?”
(Lc 12,49-57)

Non so l’impatto che hanno su di voi queste espressioni evangeliche. Io le sento come un pugno, come un martello che percuote la mia fede, perché sovverte il mio modo di pensare e di vivere la fede. Non so se dipenda dal fatto educativo del passato, o dall’istintiva maniera di pensare la fede, sta di fatto che io tendevo ad abbinare fede e tranquillità, vangelo e serenità. Il credere in Dio e il seguire Gesù sembravano portare alla pace interiore. Molti anche oggi pregano e vanno ai vari santuari e pellegrinaggi per sentirsi a posto in coscienza e per conseguire la quiete interiore. Credere in Gesù, o meglio abbracciare il suo progetto, è la strada della “tranquillità” o la strada della “inquietudine”, della tensione, del turbamento?
Nel passato ci sono stati voci di pensatori (Marx, Nietzsche per citarne alcuni) che hanno spregiativamente definito la fede come “narcosi” che assopisce le coscienze e le rende fredde di fronte ai problemi o come “oppio” che addormenta così le persone che accettano di subire le ingiustizie senza reagire, anzi, credono di dare onore a Dio che domanderebbe di saper soffrire. Noi non possiamo non essere interpellati sul nostro modo di vivere la fede e sul rapporto con Gesù! Gesù è una persona che ci acquieta o ci incita? Stando al Vangelo di oggi Gesù ci sferza dichiarando che egli è venuto a gettare sulla terra fuoco e divisione! Ma cerchiamo di coglierne la provocazione esaminando i tre principali versetti.

“Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, ma divisione”.
Questo brano passa anche sotto il nome di “Vangelo della spada”, dove la “spada” ha un significato simbolico e allo stesso tempo reale: Gesù è venuto a lottare in nome di Dio contro ciò che umilia gli uomini e le donne. La sua parola è come un fuoco che brucia, una spada che taglia. Aver fede in Dio è dunque abbracciare un progetto di vita, personale e sociale: non è un semplice modo di mettersi a posto la coscienza, ma un tentativo di risvegliarla di fronte ai problemi dell’uomo, nella volontà precisa di prendersene cura.
Pure Gesù si è trovato di fronte ad una religiosità interessata al culto e alle pratiche religiose, ma non a problemi umani e sociali. In Israele, molti erano rigorosi osservanti: andavano in sinagoga, digiunavano, pagavano le decime, ma allo stesso tempo, non avevano interesse per i problemi dell’uomo, non muovevano un dito per combattere le ingiustizie, per difendere gli orfani e le vedove, principali categorie di emarginati del tempo. All’epoca di Gesù le donne erano schiave degli uomini, i bambini proprietà dei genitori, i servi in balia della volontà dispotica dei padroni; gli zoppi, i ciechi, i sordi erano emarginati perché improduttivi, e soprattutto perché giudicati peccatori e per questo esclusi anche dalla sinagoga. Gesù cosa fa? Si mette dalla loro parte, li chiama al suo banchetto, invita i bambini, i più piccoli, a far parte della sua comunità, da privilegiati; si impegna per eliminare l’ingiustizia.
Perché lo fa? Perché Dio, suo Padre, non consente che alcuni, tra gli uomini suoi figli, siano disprezzati e senza dignità, che pochi mangino in abbondanza e molti soffrano o muoiano di fame! Dio è di tutti e tutti sono uguali davanti a Dio e chi ama Dio dovrebbe impegnarsi perché tutti gli uomini siano uguali per opportunità economiche e sociali. Ecco perché Gesù dice: “Sono venuto a gettare fuoco… a portare divisione”. Noi credenti siamo combattivi di fronte alle ingiustizie? La nostra Chiesa ha il coraggio di vivere al suo interno questo fuoco di giustizia e di testimoniarlo con l’audacia profetica di Gesù nel denunciare privilegi e ingiustizie? La nostra fede è un “sonnifero” o una “spada”?

“Sapete valutare l’aspetto del cielo e della terra, ma questo tempo non sapete valutarlo”.
Saper valutare il tempo vuol dire saper riconoscere la voce di Dio che parla nei tempi. Dio, come si sta cercando di capire, non si è pienamente svelato, parla ancora. E parla attraverso le voci, le speranze, le sofferenze delle persone. Dentro ci sono gli appelli di Dio, che vanno decifrati e poi accolti. Con Papa Giovanni XXIII e il Concilio abbiamo imparato a conoscere che ci sono i segni dei tempi, cioè che Dio non ha solo parlato nel passato, ma parla ancora e ci sprona continuamente a rivedere le nostre idee e il nostro modo di credere. Nessuno di noi, neppure il Papa o i Vescovi, può pretendere di possedere Dio. Il credente è un interminabile viandante alla ricerca del pensiero di Dio, e questo pensiero si svela, incessantemente, come si diceva, dentro i problemi e le aspirazioni degli uomini.
Scriveva il grande biblista Rinaldo Fabris: “Nessuna persona possiede la fotocopia di Dio e della sua volontà, nessuno può pretendere di parlare in suo nome”.
Insieme, nel segno dell’ascolto e della disponibilità a cambiare, possiamo avvicinarci alla verità, ma mai pienamente perché Dio è sempre oltre!

“Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”.
Qui Gesù fa un ardito riferimento alla coscienza: ciascun uomo è chiamato a discernere ciò che è giusto o sbagliato, senza dipendere da altri. Questo non vuol dire discernere da soli. La verità la si riconosce insieme con gli altri. Il cammino verso la verità è comunitario, ma alla fine del cammino, quando si deve scegliere, c’è il primato della coscienza personale. E coscienza non vuol dire scegliere ciò che conviene, ma scegliere ciò che è giusto, ciò che è valido per la propria persona e per gli altri. Se uno si mette a riflettere seriamente e disinteressatamente e lo fa anche con gli altri, arriva a riconoscere “ciò che è giusto”! Ma se non si riflette, si fa quello che fanno gli altri. Questa sì è dipendenza!

Due piccoli impegni:

- Credere in Gesù non è cercare la quiete, ma l’inquietudine.
- Riappropriarsi della coscienza come il luogo del discernimento di ciò che è giusto.

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