MONASTERO DI RUVIANO, COMMENTO DICIANNOVESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DICIANNOVESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Sap 18, 6-9; Sal 32; Eb 11, 1-2.6-19; Lc 12, 32-48
 


Il Gesù di Luca continua a parlare alle nostre vite anche in questa domenica d’estate per condurci a pensare seriamente alla nostra posizione dinanzi a Lui ed al Regno che è venuto a proporre alle nostre concrete esistenze.

            Fidarsi di Dio è  l’opera essenziale alla nostra salvezza (cfr Gv 6,29) e di Lui ci fidiamo se facciamo memoria della sua storia con noi, come fa il testo del Libro della Sapienza che abbiamo ascoltato: ricordarsi della sua azione che ci ha cercati, salvati e condotti su vie di speranza. E qui ognuno di noi deve compiere una calda ricognizione della sua personale storia con Cristo inserendola nella storia più ampia della Chiesa che lo ha generato concretamente alla fede e nella storia degli uomini suoi fratelli. L’autore della Lettera agli Ebrei ci ricorda, nel passo che ha costituito la seconda lettura, la fede di Abramo e ce la offre come una “parabola” (cosi alla lettera Eb 17,19) per la nostra vita.

            Su questo sfondo di fede le parole di Gesù nell’Evangelo di oggi ci chiedono di prendere una posizione. Posizione rispetto all’oggi, posizione di fronte ad un’attesa che è quanto mai necessario verificare perché determina il presente e ci porta verso il futuro.

            Cosa attendiamo?

            Noi siamo figli delle nostre attese … ciò che attendiamo ci determina! Chi non attende altro che la morte diviene figlio della morte e vive una vita da morto. E’ paradossale ma è così! Chi attende i beni, il possesso diventa statico e gelido come il vitello d’oro che ha bocca e non parla (Sal 115), non può camminare ed è di gelido metallo, chi attende il Signore invece inizia a vivere della sua stessa vita e delle sue stesse speranze che aprono orizzonti che mai potremmo immaginare. Chi attende il Signore è fedele al presente. Questo significa prima cosa rendersi conto che chi segue il Signore e lo attende, necessariamente sarà parte di un piccolo gregge. E’ questo l’appellativo tenero, realistico e per nulla trionfalistico che Gesù dà ai suoi. Dovremmo ricordarcene sempre! E questo per non nutrire alcun sogno di potenza o di voler trasformare la Chiesa in gruppo di pressione … Un piccolo gregge è sempre un piccolo gregge e mai potrà diventare né lupo, né folla oceanica … se diviene lupo o folla oceanica bisogna esser certi che non è più Chiesa di Cristo … e se dice di esserlo lo è solo nell’apparenza. I veri discepoli sono piccolo gregge e con questa consapevolezza devono vivere l’oggi e l’attesa del futuro. I discepoli di Gesù sono un  piccolo gregge che vive certamente la “febbre” dell’annunzio dell’Evangelo perché altri possano entrare nel piccolo gregge, un piccolo gregge che sempre tale resterà. In questo nostro tempo, in cui vediamo di certo una riduzione della Chiesa, in cui si è pochi, in cui le vocazioni diminuiscono, in cui ci sono tanti abbandoni della vita ecclesiale, in cui è sempre più il disinteresse per la vita interiore e per la fede, siamo fatti coscienti di questo essere costitutivamente piccolo gregge. Quello che oggi stiamo vivendo ci toglie ogni illusione di potenza e di essere massa capace di esercitare pressioni. Chi sogna ancora questo è davvero fuori dalla storia ma – direi -  davvero fuori dall’evangelo!

            Per metterci in questa prospettiva Luca pone sulle labbra di Gesù tre parabole: le prime due sull’attesa del futuro e la terza incentrata sul presente.

            La prima parabola parla di uno sposo che torna dalle nozze e bussa alla porta … questo Signore-sposo che troverà i servi vigilanti si metterà addirittura a servirli; quello che conta, insomma, è saper attendere e non scandalizzarsi del ritardo (tornerà alla seconda o terza veglia della notte, cioè o nel cuore della notte o mentre sta per albeggiare).

            La seconda parabola è brevissima, quasi solo un paragone, e ribatte su questo tema avendo a protagonista un uomo che non sa quando verrà il ladro; questi viene quando nessuno se lo aspetta.  Gesù è davvero audace a paragonarsi ad un ladro…

            Due racconti che intrecciano il futuro più o meno prevedibilecon un presente di vigilanza. La differenza con la terza parabola sta nel fatto che il servo di cui Gesù narra non attende più, ha scambiato il ritardo per infedeltà e quindi si sente autorizzato a dimenticare il padrone e ed a ricordare solo se stesso, i suoi bisogni ed i suoi desideri, facendo venir fuori il peggio di sé con violenza ed arroganza. Il ritardo del padrone è ingannevole e fa cadere nel cinismo, nella disillusione, in quella miopia che permette di vedere solo il concreto, l’utile, il materiale …

            La dimenticanza del servo che non attende più è, per Gesù, l’opposto di ciò che invece può trasformare la vita rendendola sensata perché radicata nel passato, protesa in un’attesa e feconda nel presente. Due sono gli atteggiamenti che il Signore dice necessari per questo: fedeltà e saggezza (Chi è l’amministratore fedele e saggio …? La nuova traduzione della CEI scrive fidato e prudente ma è lo stesso anche se mi pare che l’accento vada più su quel che il servo fa e non su  ciò che è). Fedeltà significa memoria costante del Signore, saggezza significa quella sapienza che ci fa pesare ciò che davvero vale.

Ecco il punto: cosa davvero vale?

Il Regno di Dio è davvero il cuore delle nostre vite? Siamo capaci di custodire il Regno e le sue vie anche tollerando il ritardo de Signore ed i suoi silenzi?

A questo proposito l’ultima parabola che abbiamo ascoltato ci invita ad una riflessione ulteriore su come viviamo il nostro presente di credenti: nella nostra vita noi abbiamo memoria di un giorno radioso in cui abbiamo fatto esperienza viva e vivificante dell’incontro con Lui, con il Signore Gesù. Quei giorni, quei mesi che seguirono, forse anche alcuni anni furono tutti illuminati da quella presenza nuova, consolante, capace di aprire varchi enormi alla speranza, alla possibilità di amare, alla fiducia piena nel Dio della storia. Poi sono venuti i giorni del nascondimento, poi Lui è partito e tarda a venire; forse ci sono anche delle promesse di Lui che paiono esser venute meno, forse i tempi della realizzazione di certi sogni si sono allargati a dismisura, forse sono pure intervenuti dolori, peccati, tradimenti nostri e di chi ha camminato con noi … è storia di tutti e chi dice che per lui non è così credo non dica la verità o sull’autenticità dell’incontro o sul suo oggi! Sì, poi c’è il ricordo di quell’incontro, c’è la memoria che è bruciante ma non dà consolazione; inoltre ci sono le voci “ragionevoli” che suggeriscono che tutto fu un’illusione (magari giovanile!) e che il “reale” è ben altra cosa … e allora vale la pena fare quel che si può, vale la pena prendere quel che si riesce a prendere per star bene senza tante illusioni e proiezioni … e così eccoci nella condizione del servo della parabola: ha perso l’attesa e con essa ha perso tutto. Per quel servo c’è un’aggravante che le parole di Gesù ci suggeriscono: nella sua condizione di dimenticanza quel servo sapeva, conosceva la volontà del suo Signore … Insomma sapeva come è il cuore di quel suo Signore ma non gli è bastato a pazientare, non gli è bastato per porre al centro della sua vita l’attesa del Regno. Ha valutato tutto con i suoi tempi e non ha lasciato al Padrone la piena signoria sul quando e sul come. Come è facile negare le parole che il Signore ci ha consegnato nelle ore della grazia e della vicinanza! È facile perché Lui ci lascia pienamente e sovranamente liberi! È facile perché il mondo ha tantissime “buone ragioni” per negare la “follia” dell’Evangelo! Il piccolo gregge resta tale perché la seduzione della mondanità è grande. Ma non bisogna spaventarsene: il piccolo gregge è il resto che genera salvezza per tutti! È paradossale: è più facile a dirsi che a comprenderlo! È così, però, basta guardare alla Croce: lì un resto ha salvato tutti!

Ecco allora la via che questo testo di Luca di oggi ci traccia: fedeltà all’attesa per un presente fecondo secondo quella volontà del Signore che ci è stata fatta conoscere: volontà che è quel cuore dell’Evangelo in cui il primato va dato, senza sconti o infingimenti, al Signore ed al Regno. Con Lui e protesi verso il regno si possono gustare pace e vera libertà.

Se invece crediamo al mondo ed ai suoi orizzonti a due passi da noi, afferreremo anche dei beni e dei successi ma ne resteremo prigionieri e percossi.

    P.Fabrizio Cristarella Orestano       

Fonte:http://www.monasterodiruviano.it/


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