padre Gian Franco Scarpitta, "Non numeri ma impegno"
Non numeri ma impegno
padre Gian Franco Scarpitta
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/08/2019)
Il problema posto dallo sconosciuto interlocutore di Gesù dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, anche in ragione delle recenti catechesi di papa Francesco che insiste sull'amore e sulla misericordia di Dio: Questi non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”(Ez 33,2) ed è disposto anche all'inverosimile perché specialmente i reprobi e i perversi abbiano la possibilità di salvarsi. Dio è Amore universale e la sua redenzione è rivolta non ad alcuni fra i ceti e le nazioni umane, ma a tutti gli uomini indistintamente: la salvezza quindi, che appartiene al solo Dio assiso sul trono e all'Agnello (Ap 7, 10) è rivolta a tutti e ogni uomo di ogni cultura e nazione ne è beneficiario.
Ai tempi in cui viene rivolto il quesito a Gesù, vi era la concezione latente che solamente il popolo giudaico dovesse essere salvato e che non c'era posto per altri popoli nell'ottica del Regno e dell'eternità, tantomeno per i pagani. Gesù nella croce smentirà di fatto questa falsa sicumera perché nella nuova Alleanza del suo sangue tutti gli uomini saranno chiamati ad essere uno solo in Cristo Gesù (Gal 3, 28) e proprio il suo sacrificio delinea che la volontà del Padre sia quella per cui tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità (1Tm 2, 3 - 4). Salvarsi non è quindi appannaggio di un solo popolo o di una etnia o razza o di singoli, ma è possibile per tutti, visto il predetto Amore riconciliante di Dio che si rende palese e ineccepibile nella croce del suo Figlio.
Occorre tuttavia che non si travisi la verità e che non si fraintenda, su questo argomento, il vero insegnamento di Cristo e della Chiesa. Se infatti è vero che Dio aspira che tutti gli uomini siano salvi, è anche certo che l'uomo deve pur corrispondere al dono della salvezza e non può mancare di fare la propria parte perché codesto dono possa essere conseguito. Uno dei peccati contro lo Spirito Santo è infatti la presunzione di salvarsi senza merito, di poter confidare eccessivamente in un Dio “bonario” e “ingenuo” che in ogni caso alla fine ci perdonerà e quindi possiamo prendercela comoda in fatto di conversione e di opere di bene. Dio invece è misericordioso, ma anche giusto e non esclude che alla sua salvezza si debba in qualche modo cooperare. I mezzi ci sono, il suo sostegno anche, gli strumenti di grazia per tale finalità sono molteplici, ciononostante almeno un po' di sforzo da parte nostra occorre esternarlo.
E in questo sta la seconda parte dell'argomentazione del Signore: non è importante quanti sono coloro che si salvano e neppure chi sono o da dove provengono, perché su questo argomento Dio è abbastanza chiaro: tutti possono salvarsi. Quello che conta è meritare la salvezza attraverso l'imboccatura della “porta stretta”, ossia per mezzo degli sforzi continui di fede, di speranza e soprattutto di carità. Si salva infatti chi non perde il proprio tempo perseguendo obiettivi vani e insulsi, chi approfitta della provvisorietà della propria vita per dare il meglio di se stesso nella concretezza dell'amore; chi si adopera con costanza nel bene a edificazione degli altri e chi si prodiga senza risparmiarsi in vista del progresso, senza lasciarsi sedurre dalle vanità di questo mondo. Chi insomma si sforza di passare per la “porta stretta” che pur essendo faticosa e ardua conduce alla vita presente e futura, mentre imboccare un ingresso ampio e spazioso può condurre alla perdizione, poiché esso asseconda negligenze e rilassatezze. E occorre passare attraverso questa porta scomoda prima che essa sia chiusa, in che significa senza perdere tempo e rifuggendo distrazioni e comodismi.
Di fronte alla pazienza smisurata con cui Dio ha mostrato di amarci e di volerci tutti quanti attorno a sé, occorre non temporeggiare e non procrastinare ad oltranza nel lassismo dissoluto, ma cogliere sempre il momento opportuno per adoperarsi al meglio e impegnarsi per la costruzione di un sistema più giusto a partire da se stesso. Chi ama Dio e il prossimo, costui si salverà.
Occorre allora che eliminiamo anche ai nostri giorni la presuntuosa certezza di avere dei meriti davanti a Dio semplicemente perché ottemperiamo a sterili opere di religiosità o perché con vanità e falso orgoglio facciamo questo o quello nella nostra comunità parrocchiale, magari sparlando di altri o con la tendenza alla prevaricazione o al predominio. Occorre assumere convinzione che non è sufficiente la religiosità per guadagnare la vita eterna nel futuro e l'approvazione di Dio nel presente. Non bastano le pratiche con cui solitamente siamo certi di guadagnare il paradiso; solamente se avremo molto amato ci verrà perdonato.
Come precisava Ratzinger in un suo documento, certamente l'unica Chiesa voluta da Cristo per la salvezza degli uomini è la Chiesa Cattolica e solo in essa vi sono tutti gli elementi di vita e di salute spirituale e non è vera la concezione (purtroppo assai comune) che una religione vale l'altra. Nella Chiesa tuttavia Cristo si vuole operosi oltre che credenti, zelanti e attivi nel bene, esemplari e speculari nell'amore più di tutti gli altri e quando questo non si verifichi non è affatto garantito che possiamo salvarci. Nulla può presumere chi non ha amato pur avendo conosciuto Cristo; al contrario chi ama senza conoscerlo in certi casi può anche prendere il nostro posto in ordine alla vita e alla speranza futura.
Fonte:https://www.qumran2.net
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