don Giacomo Falco Brini, "Tra il profumo del Vangelo e la puzza del denaro"

Tra il profumo del Vangelo e la puzza del denaro
don Giacomo Falco Brini 
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/09/2019)


 Visualizza Lc 16,1-13
La parabola che Gesù racconta oggi risulta generalmente alquanto enigmatica a lettori e commentatori, ancor più per la sua collocazione: subito dopo la splendida triade parabolica sulla misericordia del Padre. Il racconto è forse mutuato da una vicenda reale. Un ricco proprietario scopre che il suo amministratore se ne approfitta del suo incarico dilapidando i suoi averi (Lc 16,1). Lo chiama e lo licenzia, ordinandogli di chiudere rendicontando la sua amministrazione (Lc 16,2). A questo punto l'amministratore disonesto ha un improvviso cambio di rotta. Faceva il furbo con il potere affidatogli per avvantaggiarsi di ciò che passava tra le sue mani. Ora invece, reagisce alla sentenza del padrone decidendo di fare qualcosa di diverso: la resa dei conti inizia nel rendersi conto che come amministratore è finita, per lui non ci sono alternative alla strada (Lc 16,3); eppure, con notevole rapidità mentale, si assicura un futuro che sembrava segnato: so io cosa farò...perché ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua (Lc 16,4). Decide di puntare tutto sui debitori del padrone, riducendo sensibilmente l'entità del loro debito. Così, mentre non fa perdere al padrone le sue entrate, si è guadagnato l'amicizia e l'appoggio dei debitori.

Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza (Lc 16,8). In questo elogio c'è il centro e il succo del vangelo. È chiaro che la lode non è motivata dalla sua disonestà, ma dalla capacità di muoversi dell'amministratore partendo dalle difficoltà degli altri. Il Signore vorrebbe vedere nei suoi discepoli la stessa “furbizia” nell'adoperarsi per le cose del regno, la stessa scaltrezza nel cercare di guadagnarsi la salvezza. Ci vedo un nesso profondo con il cap.15 di Luca ascoltato domenica scorsa. L'uomo infatti, nelle ricchezze affidategli da Dio, risulta sempre un cattivo amministratore. O le sperpera come il figlio più giovane, facendosi padrone di ciò che non è soltanto suo; oppure vive infelice come il figlio maggiore, da giudice spietato che non sa godere delle ricchezze da amministrare. Il problema è ben focalizzato: il vangelo ci vuol parlare dell'amministrazione della nostra vita, dove tutti ci troviamo in qualche modo mancanti. Gesù però ci offre un segreto importantissimo per andar oltre la nostra ingiustizia, per non cadere nel tranello dello stolto possidente (cfr. Lc 12,16-21) che accumulava ricchezze solo davanti agli uomini.

Dove rinvenire un'icona di questa parabola che supporti l'insegnamento di Gesù in merito? A mio parere una si trova nella storia di Oskar Schindler, l'imprenditore tedesco celebrato nel famoso film di S. Spielberg, “La lista di Schindler”, per aver salvato un gran numero di ebrei dai campi di sterminio. Non conosco a fondo la sua vita, ma se il film più volte visto è uno specchio abbastanza fedele, vediamo inizialmente in lui una figura dominata dalla propria ambizione, dalla voglia di arricchirsi sulla guerra incipiente, un alcolista, donnaiolo incallito e senza scrupoli, che non esita ad azzardare qualsiasi cosa pur di venire a patti con i potenti nazisti. Governa la sua azienda insieme a un fidato contabile ebreo che poco a poco lo convince ad assumere manodopera del suo popolo a basso prezzo. Assecondandolo solo per convenienza economica, Schindler raggiunge un grande successo divenendo amico frequentatore di politici e importanti generali della gerarchia militare. Ma la orribile visione dei rastrellamenti della Gestapo nei quartieri ebraici di Cracovia tocca il suo cuore. D'ora innanzi, le sue ricchezze e il suo posto notabile come imprenditore dell'industria militare, gli serviranno solo per cercare di salvare a tutti i costi i suoi operai ebrei dallo sterminio. Morì nell'ottobre 1974 dopo aver ricevuto grandi riconoscimenti, senza riuscire però a risollevarsi dalla povertà in cui si è ritrovato.

Ebbene io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché quando verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne (Lc 16,9). Il segreto non è più segreto per chi ha il cuore aperto alle parole del Signore. Come abbiamo più volte affermato, il nostro cammino di fede non si gioca nella ricerca di una impeccabilità o nella strenua volontà di essere giusti davanti a Dio. Chi concentra il proprio impegno su questa illusoria pretesa, si candida a una vita infelice e diventa una persona “pesante” nelle relazioni umane. Il cammino del cristiano si gioca nel divenire “buon samaritano” capace di sentire su di sé la sofferenza che affligge i diseredati, spendendo se stesso e i propri averi per alleviarne le pene. Senza questa verifica, il nostro cristianesimo è a rischio: se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? Perché essere fedeli a Dio nella ricchezza disonesta, significa farla circolare condividendola con i fratelli che soffrono. Se un “cristiano” non vive così il rapporto con i suoi averi, tradisce la missione che Dio gli ha dato ponendoli nelle sue mani. Le ricchezze in sé, lo ripetiamo, non sono un male. Ma cosa ne facciamo determinano il loro odore. Se accumuli puzzerai, se doni e condividi, profumerai. Poiché nessun servitore può servire due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13). E se ci fossero ancora dubbi su queste parole, ci si prepari ad ascoltare il vangelo di domenica prossima sulla valenza eterna di questo discorso, avvertimento salutare per tutti coloro che non vogliono staccare il cuore dalle ricchezze.

Fonte:https://www.qumran2.net


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