don Lucio D'Abbraccio, Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario Anno C
Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario Anno C (8 settembre 2019)
Il vero discepolo!
L’evangelista Luca annota che «una folla numerosa andava con Gesù». Anche oggi sono molti coloro che camminano dietro a Cristo Signore. Però, con quale cuore si segue Gesù? Con il cuore di Pietro o con quello di Giuda? Con il cuore di Tommaso o con quello di Giovanni? È importante chiarire cosa significa seguire Cristo. La risposta la da’ Gesù stesso quando voltandosi disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Queste parole di Gesù sono forti e ci fanno paura. Come si fa a mettere Cristo prima del padre e della madre, prima dei figli, prima di se stessi, prima di tutto? Cristo non chiede troppo?
Noi siamo consapevoli che per il cristiano il legame d’amore con Gesù, Parola di Dio fatta carne, deve avere l’assoluta precedenza su ogni altro vincolo, anche di sangue: è Cristo che il vero discepolo deve amare con tutto il cuore, la mente e le forze. Attenzione, però, non si tratta di una richiesta totalitaria: non bisogna amare lui soltanto, ma lui più degli altri nostri amori; bisogna amare, come lui ha amato (cf Gv 13, 34; 15,12), tutte le altre persone, senza alcuna distinzione.
Noi siamo tentati costantemente di preservare la nostra vita a ogni costo, di lasciar prevalere quella terribile pulsione dell’egoismo che ci spinge a vivere, molte volte, non solo come se gli altri non esistessero, ma anche come se Gesù Cristo non ci fosse. Ebbene, il cristiano, il vero discepolo, deve comprendere che la propria esistenza trova senso solo se lascia vivere Cristo in sé (cf Gal 2, 20), al punto che per lui dovremmo essere pronti anche a dare la nostra vita. Ricordiamoci che Gesù ha detto: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (cf Lc 9, 24). Se davvero vogliamo essere discepoli di Cristo, impariamo a portare la nostra croce ogni giorno: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».
Per chi vive in questo modo risulta quasi naturale rinunciare anche ai propri beni, mettendo in pratica il monito di Gesù: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». Ciò significa che i nostri averi dobbiamo saperli usare a servizio dei fratelli, di saperli condividere con gioia, senza lasciarci rendere schiavi dalla malattia del possesso e dell’avarizia. Se Gesù è davvero il tesoro della nostra vita (cf Lc 12, 34), come potremo essere ancora preda dello stupido inganno della «seduzione della ricchezza» (cf Mt 13, 22) fino a smarrire il nostro cuore dietro ad essa?
La seconda lettura è una testimonianza sulla verità di questo vangelo. È tratta da una brevissima lettera scritta da san Paolo a Filèmone. In questa epistola si parla di Onesimo, schiavo fuggito da Colossi ad Efeso, forse finito in prigione, il quale incontra Paolo e si fa battezzare. Costui vorrebbe tornare dal suo padrone ma non ha il coraggio. Così Paolo scrive questo stupendo biglietto di raccomandazione al suo amico e discepolo Filèmone, perché lo accolga come fratello. Queste parole calde, umane, scritte dall’apostolo delle genti, ci ricordano che seguire Cristo significa fare come lui ha fatto: amare, perdonare!
Chiediamo al Signore affinché ci aiuti a essere dei veri discepoli, perseveranti fino alla morte, capaci di mettere Gesù Cristo al primo posto e amare veramente il prossimo come noi stessi.
Fonte:https://donluciodabbraccio585113514.wordpress.com
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