Don Marco Ceccarelli, XXIII Domenica Tempo Ordinario “C”
XXIII Domenica Tempo Ordinario “C” – 8 Settembre 2019
I Lettura: Sap 9,13-18
II Lettura: Fm 9-10.12-17
Vangelo: Lc 14,25-33
- Testi di riferimento: Mt 10,37; 13,21; Lc 9,62; 12,15.33; 16,13.25; 18,23; 19,8; 21,17; Gv 3,5;
6,44-45.65; 7,34; 12,25; 13,33; 14,26; 15,6; At 2,44-45; 4,32; 14,22; Rm 12,2; 1Cor 10,21; 2Cor
4,18; Ef 1,17; Fil 3,8; Eb 10,34; Gc 4,4; 1Gv 2,15-16.27
1. Il distacco dal contesto familiare (Lc 14,26).- Nel brano di Vangelo odierno spicca in modo particolare la radicalità dell’affermazione di Gesù
riguardo al rapporto fra discepolato e relazioni familiari. Radicalità che da fastidio tant’è vero che
nella nuova traduzione si sostituisce il verbo “odiare” (miseo, v. 26) con “mi ama più di quanto
ami” (sei parole al posto di una e cambiando il significato del testo). Tuttavia, se si è seguito attentamente il percorso che Luca ci ha fatto fare durante tutte queste domeniche e l’insegnamento di
Gesù, non dovrebbe essere difficile capire cosa si sta dicendo. Al contrario, dovrebbe essere quasi
ovvio. Certo, le affermazioni di Gesù non sono mai scontate; tanto meno quelle del nostro passo.
Occorre perciò prenderle seriamente. Se Gesù dice che è impossibile essere suoi discepoli senza determinate condizioni, non v’è dubbio che deve essere così. Per essere discepoli di Cristo – cioè semplicemente cristiani a prescindere da una particolare consacrazione – occorre “odiare” (v. 26) determinate realtà; il che equivale a “distaccarsi”, “prendere le distanze” (apotasso, v. 33) da esse. I
due verbi sono in parallelo e si chiarificano l’uno con l’altro. Il messaggio di questi nove versetti sta
tutto qui: non è possibile essere cristiani senza rompere i legami con i propri beni. Ma in che senso?
- Non c’è dubbio che tale distacco si deve compiere innanzitutto e soprattutto a livello dei rapporti
parentali. Delle sette realtà che occorre odiare per essere discepolo di Gesù sei fanno parte dell’ambiente familiare. Ciascuno di noi vive in un contesto familiare con cui ha dei legami affettivi che lo
condizionano e da cui si aspetta, più o meno, di ricevere la vita – nel senso che dicevamo le domeniche scorse (felicità piena e duratura). Che ne siamo consapevoli o no, siamo tutti condizionati da
questo contesto. L’ambiente familiare ci trasmette un modo di pensare, di valutare la realtà, di comprendere il bene e il male. L’influsso familiare è più forte e sottile di quello che a volte possiamo
pensare. Dai nostri genitori assorbiamo l’amore per certe cose e certe persone, ma anche il disprezzo e l’odio per altre (basti pensare alle faide che si tramandano per generazioni). Dal contesto familiare impariamo ad esempio a reputare come buone, e soprattutto necessarie, realtà tipo la ricchezza,
il successo, la carriera, ecc.; realtà relativizzate dalla venuta del regno di Dio. E comunque è sempre
molto difficile assumere quel distacco dai legami affettivi necessario per essere liberi di seguire Cristo.
- Con Cristo appare qualcosa di assolutamente nuovo. Un nuovo modo di giudicare il mondo e le
persone. Appare la Sapienza divina che era inconoscibile (prima lettura). Ma se si vuole comprendere ed accogliere tale Sapienza occorre rinunciare a quella che abbiamo ricevuto. Se si vuole conoscere Cristo come colui che unicamente ci dà la vita occorre rinunciare a quella mentalità che ci
porta a considerare come datore di vita altre cose; occorre rinunciare alla nostra stessa vita. Così san
Paolo dirà che ha giudicato tutto una perdita al fine di conseguire la conoscenza di Cristo (Fil 3,8).
- “Odiare” [n.b. la traduzione letterale “odiare” andrebbe mantenuta, perché in linea terminologica
ed interpretativa con altri passi di Lc tipo 6,22; 21,17]. Questo verbo sta ad indicare una contrapposizione, una incompatibilità radicale con ciò che invece occorre amare. Non si tratta di provare
“sentimenti” di odio, ma di assumere un distacco radicale che fa seguito ad una scelta. Così quando
Dio dice che ha amato Giacobbe e ha odiato Esaù (Mal 1,2; Rm 9,13) significa che ha operato una
scelta a favore di uno, ad esclusione dell’altro. Come quando ci si sposa e si sceglie quella persona
ad esclusione delle altre (verso cui non si prova certamente un sentimento di odio). Si tratta di due
realtà che non possono andare insieme (Mt 6,24; Lc 16,13; Gv 3,20; Gen 26,27; Pr 1,22.29; 13,5;
Qo 3,8; Am 5,15). Scegliendo Cristo, i suoi discepoli appartengono fin da ora al regno, al mondo
futuro, alla vita eterna, ad una nuova famiglia, che implica un altro sistema di valori diverso da
quello che appartiene a questo mondo. E fra i due sistemi non ci può essere compromesso; non ci
può essere un più e un meno. A questo punto possiamo chiederci: Ma quando mai abbiamo posto in
atto scelte che davano la priorità a Cristo piuttosto che al padre, alla madre, alla moglie, ai fratelli,
alle zie, ai nipoti, ecc., ecc., e infine alla stessa propria vita?
2. Le condizioni per essere cristiani. Nel brano evangelico si ripete continuamente l’idea di “potere”, “essere in grado”, “avere le forze”. Se non si accettano le condizioni che Gesù pone non si sarà
in grado di seguirlo. Ci sono delle condizioni sine qua non, senza le quali cioè sarà impossibile essere cristiani; senza le quali arriverà un momento in cui non si avranno le forze per andare avanti. E
quello che occorre fare è la rinuncia ad amare ciò che si possiede, la rinuncia a confidare nei beni.
L’amore ai beni, qualsiasi essi siano, impedirà di seguire Cristo fino alla fine e causerà una situazione peggiore della precedente, come nel caso del demonio che ritorna nella casa trovata vuota (Lc
11,26). Se l’amore per i familiari, per la propria vita, per i beni, equivale a quello per Cristo, il discepolato è destinato a fallire. L’appartenenza al regno dei cieli relativizza tutte le altre “cose buone” che ci sono state trasmesse. Cristo non può essere una delle tante cose importanti della nostra
vita; egli è l’unico necessario. Tutte le cose buone e di valore che abbiamo (famiglia, figli, salute,
soldi, ecc.), sono comunque sempre secondarie rispetto al regno dei cieli.
3. Le parabole. Servono a delucidare il principio sopraesposto. Gesù avverte la folla che rischia di
perdere tempo nel seguirlo se non opera fin da subito il distacco. Per questo occorre fin dall’inizio
“calcolare” bene le cose. Due domeniche fa abbiamo ascoltato che occorre passare per una porta
stretta, e quindi bisogna arrivarci “stretti”. È come quando all’inizio di una strada troviamo un cartello stradale che ci informa che più avanti incontreremo un ponte stretto, limitato – diciamo – a due
metri. Allora, se ho un veicolo che supera tale misura è inutile che prendo quella strada, a meno che
non lo sostituisco con un altro più stretto. Altrimenti dovrò per forza tornare indietro. Così
l’affermazione di Gesù ai vv. 26 e 33 sono il cartello stradale che mi avvisa preventivamente. Chi
non si pone fin da subito nelle condizioni necessarie per essere cristiano “non sarà in grado” di arrivare al termine dell’opera. Non solo. Ma se prendiamo seriamente queste parabole esse ci stanno a
dire che seguire male Gesù ci procura un danno.
4. L’esempio di Gesù. Gesù stesso ha compiuto questo distacco. Egli a dodici anni ha affermato di
avere qualcosa di più importante della sua famiglia terrena. In seguito lascerà la sua casa, sua madre, i suoi parenti. E quando lo cercheranno egli dirà: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?»
(Mc 3,33), indicando che egli possiede ora una famiglia diversa. Tutto viene relativizzato in funzione di occuparsi delle cose del Padre (Lc 2,49). Egli ha odiato la sua vita. Egli ha portato la sua croce
seguendo la volontà del Padre. Per questo ora anche noi possiamo seguire le sue orme (1Pt 2,21ss.).
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
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