fr. Massimo Rossi, "Storie di ordinaria corruzione... "
Commento su Luca 16,1-13
fr. Massimo Rossi
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/09/2019)
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Storie di ordinaria corruzione... la disonestà è vecchia quanto il mondo.
Così come vecchio quanto il mondo è il contrasto quasi fisiologico tra denaro e fede, tra beni materiali e beni spirituali, o, per dirla con san Paolo, tra cose di quaggiù e cose di lassù (cfr. Col 3). Ricordiamo tutti la vicenda di Giacobbe che lottò contro l'angelo, presso il torrente Iabbok (cfr. Gn 32,23ss.): quella notte, il patriarca si misurò con Dio in singolar tenzone; ma prima, fece attraversare il torrente alle sue due mogli, ai figli, ai servi, a tutto il bestiame e i beni che possedeva, e rimase solo. L'aggancio di questa pagina della Genesi, con il Vangelo di oggi, è chiaro: per stringere un rapporto decisivo con Dio, dobbiamo liberarci da tutto e da tutti. Soltanto così, potremo concentrare e orientare ogni nostra energia fisica e spirituale all'incontro che segnerà per sempre la nostra vita, celebrare la fede in Dio e ricevere la Sua perenne benedizione.
La solitudine che agli inizi della creazione viene presentata come un male per l'uomo - “non è bene che l'uomo sia solo” (Gn 2,18-24) - viene rivalutata come conditio sine qua non per allacciare con Dio un legame indissolubile. Almeno ai primordi della storia personale di fede, deve esserci un momento nel quale Dio sia l'unico interlocutore. Soltanto dopo sarà possibile stabilire la giusta distanza tra noi e i beni materiali, nella fiducia e nella volontà che la fede ci aiuterà a non diventarne schiavi. Un antico scrittore, ebbe a dichiarare che chi non si fa schiavo di Dio, sarà schiavo di tutto ciò che non è Dio...
Con questa precisazione iniziale, entriamo nel vivo del Vangelo.
L'uso del denaro fa da cartina tornasole dell'autenticità cristiana; due sfere si contrappongono in modo simmetrico: affari di scarsa importanza e ricchezza ingiusta da una parte, e affari di massima importanza e il vero bene dall'altra. Il discepolo che si mostra fedele nell'amministrare la ricchezza e, più in generale, i beni di questo mondo, offre sufficienti garanzie per ricevere dalla comunità responsabilità e uffici; e nella vita eterna, il Regno di Dio.
Nel Vangelo non si parla soltanto di danaro; sotto il microscopio della fede, c'è il potere temporale, il potere del mondo e sul mondo, il potere sulle coscienze... Questa è la ricchezza che allontana da Dio, che si intromette tra l'uomo e Dio, che impedisce di amare Dio sopra ogni cosa e su ogni persona.
A questa forma pericolosa di ricchezza, si contrappone la libertà e il disinteresse, inteso, sia chiaro, non come mancanza di interesse, o scarsa sensibilità, ma come distacco del cuore, lotta interiore contro la tentazione dell'idolatria.
C'è un'ultima forma di ricchezza, forse la più perniciosa, la più subdola, che smentisce la fede e ne rivela l'ipocrisia: l'autoesaltazione religiosa.
Gesù ne parla rivolgendosi direttamente ai rappresentanti del partito dei Farisei: invero, costoro si distinguevano per il loro tenore di vita dimesso e ostentatamente povero; tuttavia la loro ideologia religiosa, esaltava la ricchezza quale segno indubbio della benedizione celeste; al punto che alcuni di essi ambivano senza vergogna a questa benedizione.
Qualcosa di simile sarebbe accaduto secoli e secoli dopo, col diffondersi della Riforma in Europa e la nascita del capitalismo moderno: tra i padri fondatori del protestantesimo, alcuni teorizzavano un concetto particolare di Provvidenza, secondo il quale l'iniziativa imprenditoriale e l'accumulo della ricchezza potevano essere interpretati come indizi di predestinazione alla salvezza.
La nuova logica inaugurata dal Figlio del falegname, e la coscienza (cristiana) che ne deriva, stanno alla radice di quella sapiente, ma faticosa libertà di fronte alla ricchezza, la quale (ricchezza) esercita un fascino e una seduzione quasi irresistibili sotto molteplici forme.
Non si tratta neanche di quantità!
I Padri del deserto raccontano che un giorno, un vecchio eremita morì e si presentò al cospetto di Dio: l'Onnipotente lodò la dedizione del santo vecchio alla vita consacrata, tuttavia gli rinfacciò, con una punta di sarcasmo, che la sua povertà aveva lasciato non poco a desiderare, specialmente durante gli ultimi anni di vita: all'udire il rimprovero pacato, ma altrettanto deciso, il sant'uomo rimase costernato; nonostante avesse una concezione di sé piuttosto elevata, provò a fare un esame di coscienza severo, ma non rilevò mancanze così gravi contro il voto di povertà.
Sorridendo, il Padre celeste gli disse: “Figliolo caro, ho visto il tuo distacco dalle ricchezze del mondo, ho apprezzato gli sforzi per mantenerti libero dai lacci del Tentatore... se non fosse per quel gattino, che trovasti una sera alla porta della tua cella, intirizzito e affamato; te ne prendesti cura, e col tempo, il delizioso micetto divenne per te come un figlio, e più di un figlio. Lo amasti come amavi me, e forse, più di quanto amavi me. In questo non posso lodarti ”.
Che ne dite? Sarà stato troppo severo il Buon Dio con quel monaco?
Rispondo citando il Vangelo: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.” (Lc 12,48).
La grande ricchezza che Dio aveva affidato al monaco consisteva nella sensibilità al mistero del Regno dei Cieli, per la cui realizzazione l'uomo si era ritirato in un eremo, e vi si era dedicato fino alla morte.
Questa breve storia ci aiuta a capire che nessuno può vantarsi davanti a Dio, e credersi immune dalla tentazione della ricchezza. Neppure il Signore fu mai al sicuro dalle tentazioni. E più il suo sguardo si concentrava su Dio, più il mondo gli presentava il conto da pagare. E fu un conto salato!
Per raggiungere la perfezione, l'Ecce Homo lo pagò per sé (cfr. Eb cap.5); e anche per noi.
Fonte:https://www.qumran2.net/
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