padre Raniero Cantalamessa, "L'amore per Cristo ordina altri amori"
L'amore per Cristo ordina altri amori
padre Raniero Cantalamessa
XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Il brano di Vangelo di questa Domenica è uno di quelli che si sarebbe tentati di smussare e addolcire come troppo duro per gli orecchi degli uomini d'oggi: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre...". Precisiamo subito una cosa: il Vangelo è, sì, a volte, provocatorio, ma non è mai contraddittorio. Poco oltre, nello stesso Vangelo di Luca, Gesù richiama con forza il dovere di onorare il padre e la madre (cfr. Lc 18 20) e, a proposito di marito e moglie, dice che devono essere una sola carne e che l'uomo non ha diritto di separare quello che Dio ha congiunto. Come può dunque, dirci, adesso, di odiare il padre e la madre, la moglie, i figli e i fratelli?
Bisogna tener presente un fatto. La lingua ebraica non possiede il comparativo di maggioranza o di minoranza (amare una cosa più di un'altra, o meno di un'altra); semplifica e riduce tutto a amare o odiare. La frase: "Se uno viene a me e non odia il padre e la madre...", va dunque intesa nel senso: "Se uno viene a me, senza preferirmi al padre e alla madre...". Basta, per rendersene conto, leggere lo stesso brano nel Vangelo di Matteo dove suona così: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me" (Mt 10,37).
Sarebbe sbagliatissimo pensare che questo amore per Cristo entri in concorrenza con i vari amori umani: per i genitori, il coniuge, i figli e i fratelli. Cristo non è un "rivale in amore" di nessuno e non è geloso di nessuno. Nell'opera La scarpetta di raso di Paul Claudel, la protagonista, fervente cristiana ma anche follemente innamorata di Rodrigo, esclama tra sé, quasi stentasse a crederci: "È dunque permesso questo amore delle creature l'una per l'altra? Davvero, Dio non è geloso?". E il suo angelo custode le risponde: "Come potrebbe essere geloso di ciò che ha fatto lui stesso?" (atto III, scena 8).
L'amore per Cristo non esclude gli altri amori, ma li ordina. Anzi, è colui nel quale ogni genuino amore trova il suo fondamento e il suo sostegno e la grazia necessaria per essere vissuto fino in fondo. Questo è il senso della "grazia di stato" che il sacramento del matrimonio conferisce ai coniugi cristiani. Esso assicura che, nel loro amore, essi saranno sorretti e guidati dall'amore che Cristo ha avuto per la sua sposa, la Chiesa.
Gesù non illude nessuno, ma neppure delude nessuno; chiede tutto perché vuole dare tutto; anzi ha dato tutto. Qualcuno potrebbe domandarsi: ma che diritto ha quest'uomo, vissuto venti secoli fa in un angolo oscuro della terra, di chiedere a tutti questo amore assoluto? La risposta, senza bisogno di risalire troppo lontano, si trova nella sua vita terrena che conosciamo dalla storia: è che egli, per primo, ha dato tutto per l'uomo. "Ci ha amato e ha dato se stesso per noi" (cfr. Ef 5, 2).
Nel nostro stesso Vangelo Gesù ci ricorda anche quale è il banco di prova e il segno del vero amore per lui: "prendere su di sé la propria croce". Prendere la propria croce non significa andare in cerca di sofferenze. Neppure Gesù è andato a cercarsi lui la sua croce; ha preso su di sé, in obbedienza alla volontà del Padre, quella che gli uomini gli mettevano sulle spalle e con il suo amore obbediente l'ha trasformata da strumento di supplizio in segno di redenzione e di gloria. Gesù non è venuto ad accrescere le croci umane, ma piuttosto a dare ad esse un senso. È stato detto giustamente che "chi cerca Gesù senza la croce, troverà la croce senza Gesù", cioè troverà ugualmente la croce, ma senza la forza per portarla.
Fonte:https://www.qumran2.net
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