don Luciano Cantini, "Questo straniero"
Questo straniero
don Luciano Cantini
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2019)
Lungo il cammino
Luca ci aveva lasciati con una richiesta «Accresci in noi la fede!» (Lc 17,5) e con due parabole per risposta che non chiariscono in profondità il senso della “fede”; termine assai confuso e complesso. Molto spesso si afferma di “praticare poco” ma di avere molta fede, simile però a quella di un allenatore di calcio che bagnava il terreno di gioco con l'acqua benedetta nell'attesa della vincita o del politico che affida alla Madonna i risultati elettorali del proprio partito, o come quella di tanti di noi che a Pasqua non può stare senza l'uovo benedetto. Il racconto di oggi toglie ogni dubbio sul significato cristiano da dare alla parola fede. Più che il resoconto di un miracolo, quasi quasi sembra una parabola per alcuni accenni inverosimili che contiene. Nella logica geografica la Galilea precede la Samaria e non viceversa; i lebbrosi erano costretti a vivere fuori degli abitati, invece Luca racconta che andarono incontro a Gesù che entrava nel villaggio; si dice che erano dieci, numero legalmente necessario per costituire una Sinagoga.
La narrazione è così ricca di simbologie che vale la pena osservare queste più che il prodigio della guarigione dei lebbrosi. Sono queste a destare meraviglia, in latino “mirum”, radice del termine “miracolo”.
Entrando in un villaggio
Un villaggio è rappresentativo della comunità degli uomini in cui Gesù sta entrando, racchiude l'umanità che al primo impatto pare malata: la lebbra è una brutta malattia da mille risvolti, sanitari, sociali, psicologici, religiosi, politici. I lebbrosi si fermarono a distanza, come prescrive la legge (Cfr Lv, 13) che per difendere separa: abitiamo lo stesso mondo ma nella separazione, c'è una lebbra che ci tiene distanti che ha tanti nomi: emarginazione, povertà, siccità, fame, eresia, ideologia, razza, integralismo, sfruttamento, corruzione, guerra, emigrazione... un elenco interminabile di situazioni, che meritano una particolare attenzione se non vogliamo che diventino un abisso incolmabile (Lc. 16,26). Non è senza significato che i lebbrosi fossero dieci, forte richiamo della comunità sinagogale, proprio per dirci quanto le comunità religiose siano fragili e malate. Già Luca aveva raccontato che nella sinagoga c'era un uomo che era posseduto da un demonio impuro (Lc 4,33). Le cronache dei nostri tempi portano alla ribalta, nella Chiesa, lo scandalo degli abusi sui minori, scorrettezze amministrative, deviazioni dottrinali, come prevaricazioni sulla sensibilità religiosa.
Fa pensare che i lebbrosi invocarono abbi pietà di noi! A Gesù non chiedono la guarigione ma la pietà, la guarigione era impensabile mentre qualche risorsa per sopravvivere avrebbe fatto comodo: sconcertante immagine di una comunità vociante a distanza, dedita alla comunicazione “virtuale”.
Appena li vide
Gesù pare avere fretta, non ha parole di compassione ma ordina loro «Andate a presentarvi ai sacerdoti». La sua sembra essere una forzatura perché non si può presentarsi ai sacerdoti del tempio ancora carichi di impurità, sono questi che secondo la legge sono deputati a individuare la malattia, a sancire l'emarginazione, come a riconoscerne la guarigione. Il Cammino, come la vita, è per tutti, nessuno è escluso, puri o impuri, sani o malati, buoni o cattivi; il cammino dei dieci ci pone qualche questione sulle motivazioni del camminare, cosa cercano, la guarigione? La certificazione di buona salute rilasciata nel tempio? Una cosa è la religione con le sue regole che mettono ordine alla vita ed un'altra è il cammino di Fede che conduce alla salvezza. Per strada quei dieci furono sanati...
Era un Samaritano
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro: non è soltanto un tornare materiale sui propri passi, piuttosto un andar oltre, togliere lo sguardo dalla propria pelle guarita per fissarlo su colui che l'ha guarito; superare il bisogno legale di essere come gli altri per scoprire una nuova appartenenza: E gli altri nove dove sono?
Il vero miracolo sta proprio nel ringraziamento (Luca usa il verbo eucharistôn, lo stesso dell'«Eucaristia») di quello straniero che, solo, ha aderito al Signore. Forse bisognerebbe rileggere la vita delle nostre comunità alla luce di questa pagina e della profezia del samaritano, confrontare la nostra volontà di fare “ringraziamento”, il modo con cui celebriamo l'Eucaristia, lasciata in fondo alle nostre preoccupazioni con l'irruente lode a gran voce. Abbiamo bisogno di comprendere la profondità delle parole di ogni Eucaristia: “È veramente cosa buona e giusta renderti grazie sempre e in ogni luogo...”.
Fonte:https://www.qumran2.net
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