Thomas Merton, 5. "Le cose nella loro identità" SEMI DI CONTEMPLAZIONE

SEMI DI CONTEMPLAZIONE

5. Le cose nella loro identità



Un albero dà gloria a Dio per il fatto di essere albero. Perché nell’essere quello che Dio intende che esso sia, l’albero ubbidisce a Lui. Esso «consente», per così dire, all’amore creativo di Dio. Esprime un’idea che è in Dio e che non è distinta dall’essenza di Dio; quindi un albero imita Dio per il fatto di essere un albero.

Più è simile a se stesso, più l’albero è simile a Dio. Se cercasse di assomigliare a qualcosa che Dio non ha mai inteso che fosse, diventerebbe meno simile a Dio e quindi Gli renderebbe minor gloria.

Non esistono due cose create che siano perfettamente uguali. E la loro individualità non è imperfezione. Al contrario: la perfezione di ogni cosa creata non è soltanto nella sua conformità a un tipo astratto, ma nella sua identità individuale con se stessa. Questo particolare albero darà gloria a Dio estendendo le sue radici nella terra e levando i suoi rami nell’aria e nella luce come nessun altro albero prima o poi ha fatto o farà.

Immaginate forse che le singole cose create nel mondo siano tentativi imperfetti di riprodurre un tipo ideale che il Creatore non è mai riuscito ad ottenere sulla terra? Se così fosse, le cose non Gli darebbero gloria, ma proclamerebbero che Egli non è un perfetto Creatore.

Quindi ogni essere particolare, nella sua individualità, nella sua natura ed entità concreta, con tutte le sue caratteristiche e le sue qualità particolari e la sua inviolabile identità, dà gloria a Dio con l’essere precisamente ciò che Egli vuole che sia, qui ed ora, nelle circostanze per esso disposte dal Suo amore e dalla Sua arte infinita.

Le forme e i caratteri individuali degli esseri che vivono e si sviluppano, delle cose inanimate, degli animali e dei fiori e di tutta la natura, costituiscono la loro santità agli occhi di Dio.

La loro inviolabile identità è la loro santità. È l’impronta della Sua sapienza, della Sua realtà in loro.

La particolare rozza bellezza di questo puledro in questo giorno d’aprile su questo campo e sotto queste nubi è una santità consacrata a Dio dalla Sua stessa «sapienza creativa» e proclama la gloria di Dio.

I fiori pallidi del corniolo fuori da questa finestra sono santi. I piccoli fiori gialli che nessuno nota sul bordo di questa strada sono santi che fissano il volto di Dio.

Questa foglia ha un suo tessuto, una sua venatura ed una sua forma che sono santi, e il pesce persico e la trota che si nascondono nelle profondità del fiume sono canonizzati dalla loro bellezza e dalla loro forza.

I laghi nascosti tra le colline sono santi e anche il mare, che con il suo maestoso ondeggiare dà incessante lode a Dio, è santo.

Il grande monte brullo, con tutti i suoi avvallamenti, è un altro dei santi di Dio. Non vi è altro monte che gli sia simile. È unico nelle sue caratteristiche; null’altro al mondo imitò od imiterà Dio nello stesso modo. E in ciò consiste la sua santità.

Ma che dire di te? Che dire di me?

A differenza degli animali e degli alberi, non basta per noi essere ciò che la nostra natura presuppone. Non basta per noi essere individui umani. Per noi, santità è qualcosa di più che umanità. Se non siamo altro che uomini, se non siamo altro che il nostro io naturale, non saremo santi, non potremo offrire a Dio l’adorazione della nostra imitazione, che santità.

Per me la santità consiste nell’essere me stesso e per te la santità consiste nell’essere te stesso e, in ultima analisi, la tua santità non sarà mai la mia e la mia non sarà mai la tua, salvo nella comunione di carità e grazia.

Per me essere santo significa essere me stesso. Quindi il problema della santità e della salvezza è in pratica il problema di trovare chi sono io e di scoprire il mio vero essere.

Alberi e animali non hanno problemi. Dio li ha fatti quali sono senza consultarli, ed essi sono perfettamente soddisfatti.

Per noi è diverso. Dio ci lascia liberi di essere ciò che preferiamo. Noi possiamo essere noi stessi, o non esserlo, a nostro piacere. Siamo liberi di essere reali o illusori. Possiamo essere veri o falsi, la scelta dipende da noi. Possiamo portare ora una maschera, ora un’altra, e non apparire mai, se così vogliamo, con il nostro vero volto. Ma non possiamo operare queste scelte impunemente. Ogni causa ha il suo effetto: se mentiamo a noi stessi e agli altri, non possiamo pretendere di trovare la verità e la realtà ogni volta che ci accade di desiderarle. Se abbiamo scelto la via della falsità, non dobbiamo essere sorpresi se la verità ci sfugge quando — finalmente! — siamo giunti a sentirne il bisogno.

La nostra vocazione non è semplicemente quella di essere, ma di collaborare con Dio a creare la nostra stessa vita, la nostra identità, il nostro destino. Siamo esseri liberi e figli di Dio. Questo significa che non dobbiamo esistere passivamente, ma, scegliendo la verità, dobbiamo partecipare attivamente alla Sua libertà creativa per la nostra vita e per la vita degli altri. Anzi, per essere più precisi, siamo anche chiamati a lavorare con Dio nel creare la verità della nostra identità. Possiamo sfuggire questa responsabilità giocando a mascherarci; e questo ci soddisfa, perché a volte può sembrarci un modo di vivere libero e creativo. È cosa facile che sembra accontentare tutti. Ma a lungo andare questo costa e fa soffrire notevolmente. Operare la nostra stessa identità in Dio (ciò che la Bibbia chiama «operare la propria salvezza») è lavoro che richiede sacrificio e angoscia, rischio e molte lacrime. Richiede ad ogni momento un attento esame della realtà, una grande fedeltà a Dio, al Suo oscuro rivelarsi nel mistero di ogni nuova situazione. Non conosciamo con certezza né in anticipo quale sarà il risultato di questo lavoro. Il segreto della mia piena identità è nascosto in Dio. Lui solo può farmi quale sono, o piuttosto, quale sarò, quando finalmente comincerò ad essere pienamente. Ma se io non desidero raggiungere questa mia identità, se non mi metto all’opera per trovarla insieme a Lui e in Lui, quest’opera non verrà mai compiuta. Il modo di farlo è un segreto che posso imparare da Lui solo, e da nessun altro. Non vi è modo di conoscere questo segreto se non per mezzo della fede. La contemplazione è dono più grande, più prezioso, perché mi permette di conoscere e di capire ciò che Egli vuole da me.

I semi che vengono gettati ad ogni momento nella mia libertà, per volere di Dio, sono i semi della mia propria identità, della mia propria realtà, della mia propria felicità, della mia propria santità.

Rifiutarli significa rifiutare tutto, significa rifiutare la mia stessa esistenza ed essenza, la mia identità, il mio vero io.

Non accettare, non amare e non adempiere la volontà di Dio significa rifiutare la pienezza della mia esistenza.

E se non divento ciò che dovrei essere, ma rimango sempre ciò che non sono, passerò l’eternità a contraddire me stesso, perché sarò contemporaneamente qualcosa e nulla, una vita che vuol vivere ed è morta, una morte che vuol essere morta e non può finir di morire perché ancora deve esistere.

Dire che sono nato nel peccato è dire che sono venuto al mondo con un falso io. Sono nato con una maschera. Sono entrato nell’esistenza sotto un segno di contraddizione, essendo qualcuno che non dovevo essere e, di conseguenza, la negazione di quel che avrei dovuto essere. Sono così entrato contemporaneamente nell’esistenza e nella non-esistenza, perché fin dal principio sono stato qualcosa che non ero.

Per dire la medesima cosa senza paradosso: fintanto che non sono altro che ciò che è nato da mia madre, sono tanto lungi dall’essere chi dovrei essere, che potrei benissimo non esistere affatto. E in realtà sarebbe meglio per me non essere nato.

Ognuno di noi è sempre seguito da una persona illusoria: un falso io.

Questo è l’uomo che voglio essere, ma che non può esistere, perché Dio non sa nulla di lui. Ed essere ignorati da Dio è una particolarità troppo grande.

Il mio io falso e particolare è quello che vuol vivere fuori dal raggio della volontà di Dio e dell’amor di Dio — fuori dalla realtà e fuori dalla vita. E questo io non può essere che un’illusione.

Riconoscere le illusioni non è il nostro forte, specie quelle illusioni che abbiamo su di noi, quelle che sono nate con il peccato e ne alimentano le radici. Per quasi tutti coloro che sono al mondo non vi è realtà soggettiva più grande di questo loro falso io, che non può esistere. Una vita dedicata al culto di questa ombra è ciò che si chiama una vita di peccato.

Ogni peccato parte dal presupposto che il mio falso io, l’io che esiste solo nei miei desideri egocentrici, sia la realtà fondamentale della vita, cui si ricollega ogni altra cosa nell’universo. Così io consumo la mia vita nel tentativo di accumulare piaceri ed esperienze, potere ed onore, sapere ed amore, di rivestire questo falso io e fare della sua nullità qualcosa di obiettivamente reale. E mi circondo di esperienze, mi copro di piaceri e di gloria come di bende, per rendermi percettibile a me stesso e al mondo, quasi fossi un corpo invisibile che può diventare visibile solo quando qualcosa di visibile ne copra la superficie.

Ma non vi è sostanza sotto alle cose delle quali mi sono rivestito. Sono vuoto, la mia struttura di piaceri e di ambizioni non ha fondamenta. Mi sono obiettivato in esse. Ma esse sono tutte destinate per la loro stessa contingenza ad essere distrutte. E quando saranno distrutte, di me resteranno soltanto la mia nudità, la mia nullità, il mio vuoto, a dirmi che io sono una cosa sbagliata.

Il segreto della mia identità si nasconde nell’amore e nella misericordia di Dio.

Ma tutto ciò che è in Dio è realmente identico a Lui, perché la Sua infinita semplicità non ammette divisione o distinzione. Non posso quindi sperare di trovare me stesso se non in Lui.

In ultima analisi il solo mezzo per essere me stesso è di identificarmi con Lui, perché in Lui si nascondono la ragione e la realizzazione piena della mia esistenza.

Quindi la mia esistenza, la mia pace e la mia felicità dipendono da un solo problema: quello di scoprire me stesso scoprendo Dio. Se lo trovo, troverò me stesso, e se trovo il mio vero io, troverò Lui.

Per quanto sembri facile, ciò è in realtà immensamente difficile. Se vengo lasciato a me stesso, infatti, la cosa sarà assolutamente impossibile. Per quanto, con la ragione, io possa conoscere qualcosa dell’esistenza e della natura di Dio, non v’è mezzo umano e razionale con cui mi sia possibile giungere a quel contatto, a quel possesso di Lui che mi scoprirà Chi Egli e realmente e chi io sono in Lui.

Ciò è qualcosa che nessun uomo può fare da solo.

Né possono in ciò essergli di aiuto tutti gli uomini e tutte le cose dell’universo
L’Unico che possa insegnarmi a trovare Dio è Dio, Lui stesso, Lui solo.



1. Che cosa è la contemplazione➤
2)Parte Che cosa non è la contemplazione ➤
3) SEMI DI CONTEMPLAZIONE➤
(4)"TUTTO CIÒ CHE ESISTE È SANTO" SEMI DI CONTEMPLAZIONE➤








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