D. GIUSEPPE DE VIRGILIO SUSSIDIO BIBLICO-PASTORALE LECTIO DIVINE DEI VANGELI DOMENICALI TEMPO DI AVVENTO E NATALE 2019-2020

SUSSIDIO BIBLICO-PASTORALE
LECTIO DIVINE
DEI
VANGELI DOMENICALI
TEMPO DI
AVVENTO E NATALE
2019-2020
A CURA DI
D. GIUSEPPE DE VIRGILIO
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PERCORSO DELLE LECTIO

Il percorso è composto di sette lectio divine, cadenzate secondo un ritmo settimanale.
Indichiamo schematicamente i testi, il tema e la possibile tempistica.
 testo biblico1
 tema settimana
1. Lc 23,35-42 RICÒRDATI DI ME QUANDO
ENTRERAI NEL TUO REGNO Solennità di Cristo – Re
Settimana:24/-30/11/2019
2. Mt 24,37-44 IL SIGNORE VERRÀ Settimana: 01-07/12/2019
3. LC 1,26-38 ECCOMI, SONO LA SERVA! Immacolata Concezione
Settimana:08- 14 /12/2019
4. Mt 11,2-11 IL PIÙ PICCOLO NEL REGNO Settimana: 15-21/12/2019
5. Mt 1,18-25 LA PRESE CON SÈ Settimana: 22-29/12/2019
6. GV 1,1-18 IN LUI ERA LA VITA Natale del Signore
7. MT 2,13-15.19-23 SARÀ CHIAMATO NAZARENO Santa Famiglia
Settimana:30/12 – 04/01/2020
8. LC 2,16-21 MARIA LA MADRE S. Maria madre di Dio
9. MT 2,1-12 I MAGI E I LORO DONI Settimana: 05-11/01/2020
- Riportiamo all’inizio del nostro itinerario un’importante riflessione sul senso
dell’Avvento svolta da J. Ratzinger nel suo libro: Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia
1974.
- Il percorso inizia con la Solennità di Cristo – Re. Seguono sei settimane che comprendono il
tempo di Avvento e di Natale fino all’Epifania.
- La presentazione dei brani tematici è articolata in 4 parti, segnalati da icone:
A) IL TESTO BIBLICO: 
B) BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE: 
C) SPUNTI PER LA MEDITAZIONE: 
D) ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE 
E) SALMO 

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I testi biblici sono della versione della Bibbia CEI 2008.
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INTRODUZIONE
Riportiamo all’inizio del nostro itinerario una importante riflessione sul senso dell’Avvento svolta da J.
Ratzinger nel suo libro: Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1974.
Il senso dell’avvento
(J. RATZINGER, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1974)
Per comprendere il significato dell’avvento, è opportuno partire dal termine “avvento” che
non significa “attesa”, ma è una traduzione del greco parusia che significa “presenza” o meglio
ancora “arrivo”, cioè “presenza iniziata”.
Nell’antichità era usato abitualmente per parlare della presenza di un re o di un sovrano o del
Dio del culto, che dona ai suoi il tempo della «parusia». Avvento significa quindi presenza
iniziata, presenza di Dio stesso. L'avvento ci ricorda perciò due cose diverse: anzitutto, che
la presenza di Dio nel mondo è già incominciata, che egli è già misteriosamente presente; in
secondo luogo, che la sua presenza è appena iniziata, non è ancora completa: essa deve
ancora crescere, divenire, maturare.
La sua presenza è già incominciata ed è per mezzo di noi credenti che egli vuol essere
presente nel mondo. Mediante la nostra fede, la nostra speranza ed il nostro amore, egli vuol
far risplendere continuamente la sua luce nella notte del mondo. Le luci, che noi accendiamo
nelle notti buie di questa stagione invernale, sono conforto ed ammonimento al tempo
stesso: certezza incoraggiante che «la luce del mondo» è già spuntata nell'oscurità della
notte di Betlemme ed ha trasformato la notte infausta del peccato umano nella fausta notte
del perdono divino di questo peccato. Ammonimento: questa vuole e può continuare a
risplendere solo se splende in coloro che, in quanto cristiani, continuano l'opera di Cristo
attraverso i tempi. La luce di Cristo vuole illuminare la notte del mondo mediante il nostro
essere-luce. La sua presenza iniziata deve crescere ulteriormente per opera nostra.
Quando nella notte santa vengono ripetutamente fatte risuonare le parole «Hodie
Christus natus est», noi dobbiamo ricordarci anche che l'inizio di Betlemme vuole e deve
divenire per mezzo nostro inizio costante, che quella notte santa è e può essere veramente
«oggi», dovunque un uomo permetta alla luce del bene di prorompere dal suo egoismo. Essa
è «oggi» dovunque la «parola» si fa nuovamente «carne», realtà attuata. Pertanto, «Gesù
bambino viene» veramente dovunque ci si comporta realmente sull'esempio dell'amore del
Signore e non vengono solo scambiati dei doni.
Avvento significa arrivo già iniziato, ma anche solo iniziato, del Signore.
Due verità sono qui affermate: il cristiano non guarda solo a ciò che è passato ed è stato,
ma anche a ciò che viene. In mezzo a tutte le catastrofi del mondo, egli sa con superiore
certezza che il seme della luce cresce di nascosto, finché un giorno il bene vincerà
definitivamente e tutto gli sarà soggetto: quando Cristo ritorna. Egli sa che la presenza di
Dio, ora solo incominciata, sarà un giorno presenza completa. E questo sapere lo rende
libero, gli da una sicurezza estrema.
In fondo, si è già delineato con questo l'aspetto essenziale dell’avvento.
Ma la chiesa sa che l'uomo non vive di verità astratte, ma di immagini concrete e così ci ha
posto dinanzi agli occhi l'idea dell'avvento in immagini viventi.
Si può dire che la liturgia dell'avvento formi una specie di trittico.
Sulla prima tavola di questa pala in tre parti, vi è Giovanni Battista, figura davvero
dominante dell'avvento.
La tavola opposta mostra Maria, la madre del Signore.
Tutte due indicano la pala centrale: Cristo stesso. Giovanni Battista e Maria sono i due grandi
tipi della vita dell'avvento. Essi dominano quindi la liturgia di questo periodo.
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La chiesa sa che l'uomo non vive di verità astratte, ma di immagini concrete e così ci ha posto
dinanzi agli occhi l'idea dell'avvento in immagini viventi. Si può dire che la liturgia dell'avvento
formi una specie di trittico.
Sulla prima tavola di questa pala in tre parti, vi è Giovanni Battista, figura davvero dominante
dell'avvento.
La tavola opposta mostra Maria, la madre del Signore. Tutte due indicano la pala centrale:
Cristo stesso. Giovanni Battista e Maria sono i due grandi tipi della vita dell'avvento. Essi
dominano quindi la liturgia di questo periodo.
Fermiamoci a considerare anzitutto Giovanni Battista!
Esigente ed operante, egli sta dinanzi a noi, simbolo del dovere umano.
Egli chiama severamente alla metanoia. Chi vuol diventare cristiano deve continuamente
«cambiare opinione». Il nostro atteggiamento naturale ci porta a voler affermare noi stessi… Chi
vuol trovare Dio, deve continuamente convertirsi interiormente, andare in direzione diversa. E
questo vale per tutto lo stile di concepire la vita.
Ogni giorno ci imbattiamo nel mondo del visibile. Irrompe in noi sui manifesti, alla radio, nel
traffico, in tutte le circostanze della vita quotidiana, con una potenza tale che siamo tentati di
pensare che non ci sia altro che questo. Ma, in realtà, l'invisibile è più grande e vale più di tutto
il visibile. Una sola anima - ci dice una meravigliosa espressione di Pascal - vale più di tutto
l'universo visibile. Ma, per sperimentare nella vita questa verità, è necessario convertirsi, rigirarsi
per così dire interiormente, superare l'illusione del visibile e divenire sensibili, attenti e delicati
nei confronti dell'invisibile; considerarlo più importante di tutto ciò che ci assale così
prepotentemente tutti i giorni. Metanoeite: cambiate opinione, affinché per voi la presenza di Dio
sia conservata nel mondo; cambiate opinione, affinché Dio divenga presente in voi e, per mezzo di
voi, nel mondo.
Neppure a Giovanni fu risparmiato questo pesante processo del cambiar opinione, del dovere della
conversione, questa «alchimia dell'essere» (Lubac).
Lo vediamo già all'inizio, quando grida nel deserto e deve annunciare colui che neppure lui
conosce….
La vera passione di Giovanni, questo vero e proprio processo di rifusione in Dio di tutto il suo
essere, inizia solamente con l'attività di Cristo, nel periodo in cui egli era in carcere. Il buio della
prigione non fu il buio più terribile che Giovanni dovette sopportare. Il suo vero buio fu ciò che
Martin Buber chiama «buio di Dio», l'improvvisa incertezza nei confronti della sua missione e di
colui al quale aveva cercato di preparare la strada.
Egli aveva profetizzato la venuta del giudice con espressioni cariche di infiammata potenza ed
aveva dipinto il gran giorno del Signore con tinte ardenti.
Aveva descritto il Messia come il giudice che tiene in mano il ventilabro per setacciare la pula
del grano e gettare la pula in un fuoco inestinguibile. Lo aveva descritto come colui che rigetta
questa generazione adultera e, se necessario, fa sorgere dalle pietre figli di Abramo, al posto di
questi infedeli che si dicono figli di Abramo. Lo aveva raffigurato come colui che ha già posto la
scure alla radice dell'umanità, per abbattere l'albero.
In mezzo soprattutto alla spaventosa ambiguità di questo mondo, in cui attendiamo ed
aspettiamo costantemente nella tenebra, egli aveva sperato ed annunciato l'assoluta chiarezza:
verrà alla fine il giorno in cui si dileguerà questo buio fitto, che getta continuamente l'uomo di
qua e di là, così che questi non sa più dove battere la testa. Arriverà l'assoluta chiarezza, di modo
che l'uomo non procederà più a tastoni come attraverso una nebbia interminabile, ma ci sarà
luce: questa, e non altra, è la chiara pretesa di Dio nei confronti dell'uomo; così, e non altrimenti,
stanno le cose per quanto riguarda l'uomo e Dio.
Frattanto, però, era arrivato colui che, per incarico divino, il suo dito profetico doveva indicare:
«Ecco l'agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo»!
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La presenza di Dio era incominciata... Ma quanto diversamente da come se l'era immaginata!
Non cadde un fuoco dal cielo per consumare i peccatori e dare ai credenti la conferma definitiva;
nulla propriamente mutava nel mondo.
Gesù passava per il mondo predicando e compiendo opere buone. L'ambiguità rimaneva. La
vita umana continuava ad essere il mistero oscuro che l'uomo deve aver il coraggio di vivere,
credendo e sperando, nell'oscurità del mondo. È chiaro che era quest'aspetto tutto diverso di
Gesù che lo tormentava fin nel più profondo dell'animo, nelle lunghe notti del suo carcere.
Questo persistere del buio di Dio; l'oscurità di Dio e l'imperturbabile procedere di una storia del
mondo che così spesso è in stridente contrasto con la fede.
Pressato da questa situazione, manda l'ambasciata al Signore: «Sei tu colui che deve venire o
dobbiamo aspettare un altro»? È una domanda che, durante le notti dei bombardamenti
dell'ultima guerra e in tutte le miserie della nostra stessa vita, ci è venuto spontaneo porre
ripetutamente a Gesù: Sei tu veramente la redenzione del mondo? Ma lo sei davvero? Era questo
allora tutto ciò che Dio aveva da dirci?
Nella sua risposta, Gesù si richiama al profeta Isaia, che aveva profetizzato proprio questo
Messia tranquillo e soccorritore, che «non grida e non fa chiasso per le strade», ma procede
predicando e compiendo buone opere, e, per completare il quadro, pronuncia la significativa
espressione: «Beato chi non si scandalizza per causa mia». Ciò vuol dire che ci si può
scandalizzare per lui. Significa che non si vien posti in una chiarezza assoluta, che toglie ad uno
ogni problema e risolve ogni enigma, ma ci si può scandalizzare.
Si aggiunge: Beato chi non si scandalizza. Beato quindi chi smette di chiedere segni ed una
certezza definitiva. Beato chi si raccapezza, in questo buio, a proseguire il suo cammino,
credendo ed amando. Fu proprio questo il compito ultimo, dato al Battista nella sua prigionia:
raggiungere la Beatitudine in quest’indiscussa accettazione della volontà di Dio; arrivare a non
desiderare più un'evidenza ed una chiarezza esteriori, ma scoprire Dio proprio nell'oscurità del
mondo e della propria vita, ed essere così beati fino in fondo….
Non si può vedere Dio come si vede…. una pubblicità luminosa, in maniera esteriore, senza
attività interna. Lo possiamo vedere solo divenendo noi stessi simili a Dio, mettendoci sul piano
in cui egli si trova. L'uomo deve liberarsi di se stesso, liberandosi degli dèi opposti: la caccia alla
concupiscenza, al piacere, al possesso, al guadagno. Tra noi e Dio vi è, in definitiva, il nostro io.
Si può vedere Dio solo cambiando vita, smettendo di cercarlo come si possono cercare dei cartelli
stradali o delle banconote, cominciando a distogliere l'occhio dal visibile per rivolgerlo
all'invisibile. Così Giovanni stesso, in carcere, deve realizzare ancor una volta la sua richiesta del
metanoein, per conoscere il suo Dio nella notte di tutto ciò che è terreno. «Beato chi non si
scandalizza per causa mia».
Anche al cristiano di oggi non può essere indicata altra strada, che conduce all'accordo con Dio,
se non quella di smettere di ricercare un'assoluta chiarezza esteriore e di ricominciare a distogliere
lo sguardo dal visibile, per rivolgerlo all'invisibile, e trovare così realmente il Signore, che regge e
conserva la nostra vita.
Solo in questo modo, anche l'altra parola del Battista, la sua più grande parola, acquista il suo
senso pieno: «Egli deve crescere, io devo diminuire». Conosceremo Dio nella misura in cui
diverremo liberi da noi stessi, faremo spazio alla sua presenza.
La seconda tavola del trittico d'avvento mostra Maria, la pura serva del Signore. A prima vista,
il suo messaggio è di natura completamente diversa: non è il tipo dell'agire maschile, ma della
femminile disposizione a ricevere.
Ogni giorno, da noi, nel «Rorateamt» viene letto il vangelo dell'annunciazione a Maria e della
miracolosa concezione del Figlio di Dio.
«L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea che ha nome Nazareth, a una
vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di David, e il nome della vergine era
Maria. Entrato da lei, disse: 'Salve piena di grazia...!». Un'ora fatale per la storia del mondo; qui, a
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questo punto, infatti, è veramente incominciata in senso pieno la presenza di Dio tra gli uomini.
Qui si è verificato realmente un «avvento». Ma riflettiamo: quest'ora fatale della storia mondiale
fu, al tempo stesso, una delle sue ore più silenziose e quiete. Un'ora dimenticata, che nessun
giornale ha segnalato e della quale nessuna rivista ha fatto o avrebbe fatto menzione, se già allora
ci fosse stato qualcosa del genere. Pertanto, ciò che qui ci vien detto, è innanzitutto, un mistero di
silenzio. Quello che è veramente grande cresce inosservato ed il silenzio è più fruttuoso, a suo
tempo, di un ininterrotto attivismo, che troppo facilmente si riduce ad un insulso correre a vuoto.
Noi tutti, in questa epoca dell'americanizzazione della vita pubblica, siamo ossessionati da una
strana irrequietezza, che subodora una perdita di tempo ad ogni momento di silenzio e di
tranquillità. È calcolato e ponderato ogni grammo di tempo e così noi dimentichiamo il vero
segreto del tempo, il vero segreto della crescita e dell'azione: la quiete...
Anche in campo religioso è così: attendiamo e speriamo tutto dalla nostra opera; con ogni sorta
di imprese e di progetti scansiamo, senza accorgercene, quello che è il vero segreto della crescita
interiore dinanzi a Dio.
Eppure, in campo religioso, il ricevere ha per lo meno importanza pari al fare.
Quest'osservazione ci conduce ad un secondo aspetto: il mistero dell'annunciazione a Maria non è
soltanto un mistero di silenzio, è prima di tutto ed ancor più un mistero di grazia.
Ci si deve chiedere infatti: perché Cristo volle proprio nascere da una vergine?
Per sé sarebbe stato possibilissimo che fosse nato da un matrimonio normale: non avrebbe
affatto pregiudicato la sua filiazione divina, che è indipendente dalla sua nascita verginale e
sarebbe stata concepibile anche altrimenti. Non si tratta qui della svalutazione del matrimonio e
della comunità matrimoniale; neppure si vuol significare che soltanto così la filiazione divina
sarebbe stata assicurata. Di che si tratta allora?
Lo si capisce se si apre il Vecchio Testamento e si vede che qui il mistero di Maria è stato
preannunciato e preparato in molti momenti importanti della storia della salvezza. Si inizia con
Sara, la madre di Isacco, che è sterile e solo nella avanzata vecchiaia, quando le sue forze vitali si
sono spente, per opera di Dio diviene madre di Isacco e, quindi, del popolo eletto. Si prosegue
con Anna, la madre di Samuele, che, pur essendo sterile, riesce a partorire. Lo stesso dicasi della
madre di Sansone e, poi, di Elisabetta, la madre di Giovanni Battista. In tutti questi casi, il
significato dell'evento è uguale: la salvezza non viene mai dall'uomo e dai suoi poteri, ma soltanto
da Dio, dalla sua azione di grazia. Pertanto, Dio interviene là dove umanamente non c'è più nulla
da fare, nel vuoto assoluto. Egli suscita il portatore della promessa dal grembo spento di Sara ed
attua questa legge fino alla nascita del Signore dalla Vergine.
Questa legge è formulata per esteso in Is. 54,1 (= Gal. 4,27): «Esulta, o sterile che non hai
partorito, giubila, esulta e tripudia, tu che non hai provato le doglie, perché i figli della derelitta
sono più numerosi dei figli della maritata», dice il Signore. Il senso di tutto ciò - ripetiamolo
ancora una volta - è (in Rom. 4 chiaramente sottolineato) che la salvezza del mondo è pura azione
di Dio e sorge quindi dalla debolezza e dall'impossibilità dell'umano.
Nella visione biblica, la nascita verginale non vuole in definitiva, affermare altro che la pura
gratuità di ciò che qui accade. È il simbolo della grazia, la più concreta realizzazione della parola
di Maria: «Ha rovesciato i superbi dai loro troni ed innalzato gli umili». Ma, grazie a questo
mistero di grazia, realizzatesi in lei, Maria non viene allontanata da noi, resa inavvicinabile,
semplice (e perciò anche vuoto, inutile) prodigio, ma diviene segno incoraggiante della grazia:
annuncia il Dio, la cui luce illuminò i pastori ignoranti e la cui misericordia sollevò i piccoli in
Israele e nel mondo. Annuncia il Dio che «è più grande del nostro cuore» (1Gv. 3,20) e la cui
grazia è più forte di ogni nostra debolezza che egli ha già anticipatamente superato e-vinto. E se
Giovanni rappresenta la severità scuotitrice della richiesta divina, Maria ne esprime la gioia
nascosta, ma profonda. «Gioite nel Signore sempre! Di nuovo ve lo dico: gioite!».
Quello della gioia è un concetto fondamentale del cristianesimo in genere, il quale è e vuole
essere, per sua essenza, «evangelo», lieta novella. Eppure, il mondo ha perso la fiducia nel
vangelo, in Cristo, e lascia la chiesa in nome di quella gioia che sarebbe sottratta all'uomo dal
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cristianesimo stesso, a causa di tutte le sue innumerevoli prescrizioni e divieti. Certo, questo è
vero: la gioia di Cristo non è così facile da trovare come il piacere banale che deriva da un
qualsiasi diletto. Sarebbe sbagliato, tuttavia, interpretare le parole «Gioia nel Signore» come si
volesse affermare «Gioia, ma nel Signore», quasi che nella proposizione coordinata fosse revocato
ciò che è detto nella prima. Si dice semplicemente «Gioite nel Signore», poiché l'apostolo crede
evidentemente che ogni gioia vera è racchiusa nel Signore e che al di fuori di lui non esiste gioia
vera. Ed è altrettanto vero che, in concreto, ogni gioia, che si verifica al di fuori o contro di lui,
non soddisfa, ma spinge continuamente l'uomo in un vortice, nel quale finisce col non trovare più
un momento di gioia. Così, abbiamo qui bisogno di sentirci dire che solamente con Cristo è apparsa
la gioia vera e che, nella nostra vita, non importa altro che imparare a vedere e a comprendere
Cristo, il Dio della grazia, la luce e la gioia del mondo. La nostra gioia sarà vera, infatti, solo se non
si fonda più sulle cose, che ci possono esser tolte e rovinate, ma se getta le radici nell'intima
profondità della nostra esistenza, quella profondità che nessuna potenza del mondo può sottrarci.
Ed ogni perdita esteriore dovrebbe trasformarsi per noi in un'introduzione a questa interiorità e
renderci più maturi per la nostra vera vita.
Appare chiaro allora che le due tavole laterali del trittico d'avvento, Giovanni e Maria,
richiamano e rimandano ambedue alla tavola centrale, a Cristo: solo partendo da lui e riferendosi
a lui esse sono comprensibili. Celebrare l'avvento significa - lo ripetiamo - ridestare in se stessi la
presenza nascosta di Dio. Come ciò avvenga, ce lo mostrano Giovanni e Maria.
Basta percorrere la strada del cambiamento di vita, del mutamento d'opinione, liberarci dal
visibile per l'invisibile. Così facendo, apriremo gli occhi al prodigio della grazia ed impareremo
che per l'uomo e per il mondo non vi può essere gioia più luminosa di quella della grazia apparsa
in Cristo. Il mondo non è un congegno di fatica e di sofferenza, vuoto di speranza, ma ogni sua
pena è al sicuro, in un'amorosa pietà, è captata e superata dalla clemenza misericordiosa e
salvatrice del nostro Dio.
Chi celebra così l'avvento, potrà con diritto parlare del lieto e santo tempo di natale, portatore di
grazia. Ed egli si accorgerà della verità di quest'espressione più di quanto possono credere e
sospettare coloro per i quali il Natale è solamente un sentimento romantico o, addirittura, una
specie di divertimento carnevalesco ridotto
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1. RICÒRDATI DI ME QUANDO ENTRERAI NEL TUO REGNO
(Solennità di Cristo – Re)
Settimana 24/-30/11/2019
 IL TESTO BIBLICO Lc 23,35-43
35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi
se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si
accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te
stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso
e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che
sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che
abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E
disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità
io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- La pagina lucana che viene proposta nella Solennità di Cristo-Re riguarda un brano del racconto
della passione: Gesù in croce deriso dagli astanti (vv. 35-38) e il perdono «regale» del crocifisso
verso il«buon ladrone» (vv. 39-43). L’insistenza del tema della regalità colpisce il lettore. Da una
parte i diversi personaggi pensano di oltraggiare il Signore («deridere»): i capi e i soldati. Dall’altra
si colloca la scena dei due ladroni, di cui uno è buono. Gesù concede il perdono «regale» che sigilla
la sua autorità: essa oltrepassa i limiti della sofferenza e della morte in vista della contemplazione e
della pace. Fermiamo la nostra attenzione su alcuni passaggi del racconto.
- Così inizia la pericope: due sono condotti a morte con lui e due sono crocifissi con lui, con una
descrizione spaziale molto dettagliata («sul luogo chiamato Cranio… uno a destra e l’altro a
sinistra», v. 33). Questa collocazione al centro di Gesù negli altri vangeli appare un elemento
abbastanza discreto. In Luca, invece, ha luogo per effetto del dialogo seguente, una sorta di breve
sacra rappresentazione, che vede Gesù, nel mezzo tra due estranei.
- Gesù anticipa ulteriori gesti offensivi con la propria intercessione, che copre quindi e
implicitamente perdona anche tutto quanto il lettore deve ancora vedere e ascoltare insieme al
popolo-spettatore (v. 35), ossia lo strappo e il tiro a sorte delle vesti e la derisione dei capi e dei
soldati, che aggiungono al tutto la parodia dell’offerta di aceto (vv. 34b-37). A questo coro di
detrattori si aggiunge, insolitamente, anche la voce di un con-crocifisso.
- Nell’ ironia drammatica della scena, infatti, il primo ladrone confessa inconsapevolmente
l’identità messianica di Gesù e chiede a lui la salvezza, provocandolo a manifestare la propria
identità. Questo personaggio si colloca nella linea di tanti altri che abbiamo già incontrato – satana
tra i primi, Pilato ed Erode tra gli ultimi - che chiedono o esigono da Gesù una manifestazione
‘forte’ della sua identità, una rivelazione, un gesto potente; il lettore, quindi, sa già in quale schiera
collocarlo. Se il piano sul quale avviene questa richiesta sia lecito si inferisce facilmente anche dal
silenzio di Gesù, silenzio coperto dall’intervento immediato del secondo malfattore.
- L’elemento soprendente della sequenza è costituito da un’insolita difesa di Gesù, difesa che non
viene dai suoi, da quanti lo conoscono e lo hanno amato o sono stati accompagnati o salvati da lui.
Tutti i compagni e i discepoli finora intravisti qui sono assenti. Piuttosto c’è uno sconosciuto, uno
senza nome e senza storia, del quale il lettore conosce solo un tratto negativo: è un poco di buono,
uno che deve aver fatto qualcosa di male per la pena che sta subendo. Il narratore, infatti, lo ha
definito malfattore come l’altro, senza fare alcun distinguo tra i due.
Questo personaggio ha solo due battute, in questa scena e in tutto il vangelo. Due battute che lo
stagliano per sempre nella memoria dei lettori di Luca e dei cristiani di ogni tempo. La prima è
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rivolta all’altro malfattore ed è, come dice la voce narrante, un rimprovero: «Non hai alcun timore
di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che
abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (vv. 40-41).
- Appellarsi al timore di Dio suona certamente insolito sulle labbra di un lestofante. La frase del
malfattore cerca di ridare, seppur in extremis, ragione di una distanza tra Gesù e i due con-crocifissi
contrapponendo un «noi» colpevole e giustamente punito a un «egli» innocente e ingiustamente
messo a morte. Questa matura confessione di colpa – che non prende le distanze dai compagni di
sventura - è, al contempo, un’accorata dichiarazione d’innocenza.
- La seconda battuta è rivolta a Gesù, con un particolare molto intimo: l’appellativo col nome
proprio, «Gesù» (v. 42). Ad usare il nome proprio di Gesù erano stati, finora, solo personaggi
particolari, destinatari di esorcismi o guarigioni. Il demone del cap. 4 si era rivolto a Gesù
chiamandolo «Gesù di Nazaret» e l’uomo indemoniato di 8,28 «Gesù, figlio del Dio altissimo». I
lebbrosi del cap. 17 lo avevano chiamato «Gesù, maestro» (17,13) e il cieco di Gerico l’aveva
implorato «Gesù, figlio di Davide» (18,38). Costoro, quindi, pur usando il nome proprio di Gesù,
gli avevano sempre affiancato un titolo messianico o cristologico in senso più ampio. Soltanto qui,
invece, il nome «Gesù», usato in senso assoluto, non sembra costituire un titolo o una confessione
cristologica. Contrasta sia per tenore che per foga con i vari «Cristo di Dio», «eletto», «re dei
Giudei» degli altri detrattori e del primo ladrone e diventa, piuttosto, davvero un vocativo intimo,
quasi privato. Più che una proclamazione o anche una invocazione sembra un affidamento
sottovoce, piano, un’intima preghiera. Non c’è più bisogno di titoli o di confessioni, visto che la
confessione sta già nella stessa richiesta e nella precedente dichiarazione di ‘giustizia’, insieme al
riferimento al «regno» che è un umile riconoscimento di signoria, di sovranità del proprio
interlocutore. All’intimo appellativo segue una richiesta; qual è l’ultima volontà di quest’uomo, di
un condannato a morte? Una liberazione? Un segno? Un miracolo? L’altro ha chiesto, in fondo,
cioè che ci si aspetterebbe in una situazione del genere: la salvezza. Questi, invece, chiede un
‘ricordo’, cioè un essere tenuto non ‘a mente’, ma nel cuore, affinchè Gesù intervenga in suo favore.
E un ricordo nel futuro, un futuro che al momento è un’incognita per tutti i personaggi sulla scena
ma che per lui sembra avere una maggiore concretezza, pur in un tempo indefinito: Gesù entrerà nel
suo regno.
- Gesù non ha risposto all’altro malfattore come precedentemente non aveva reagito ai vari scherni
subiti. Invece parla a quest’uomo che ha preso le sue difese. Implicitamente, questo è un chiaro
giudizio di valore a favore del secondo con-crocifisso. La formula introduttiva è quella solenne: «In
verità ti dico…» (v. 43). Poi, quel futuro indefinito che il ladrone ha immaginato per Gesù diventa
‘oggi’, l’oggi di Luca, l’oggi della salvezza che invade la fragile frammentarietà della storia. E si fa
possibilità, anzi certezza, anche per lui. Quella comunione che il ladrone ha volutamente
sperimentato difendendo Gesù contro il suo detrattore diventerà una condizione permanente: «oggi,
tu… con me, nel paradiso». Questo luogo, mai altrove menzionato nel vangelo, apre e riscatta il
futuro di Gesù stesso e dei suoi, di quelli che stanno con lui.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- La regalità di Cristo in croce secondo la ricca presentazione del terzo evangelista aiuta a
comprendere le parole di Gesù nel corso dell’Ultima cena: chi vuole essere il più grande deve farsi
«servo». La logica del servizio ad immagine di cristo crocifisso diventa l’insegnamento più alto e
nobile presente nel racconto e evangelico.
- Un secondo aspetto lucano è rappresentato dalla contrarietà dei personaggi che oltraggiano Gesù: i
capi, i soldati e il cattivo ladrone. Più volte Gesù ha richiamato i discepoli e li ha preparati alla
persecuzione. Ora è lui a vivere in prima persona la persecuzione e il dileggio.
- Il racconto ci permette di capire la pazienza di Gesù nel saper attendere anche l’ultimo peccatore e
potergli aprire la strada della salvezza. Anche all’ultimo momento, la strada della salvezza si
schiude davanti a colui che cerca Dio. Nel vangelo secondo Luca ci conferma questo messaggio di
misericordia e di pace.
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- Gesù diventa il «re della pace»: come il vangelo del Natale ha designato l’annuncio di pace e di
salvezza al mondo (Lc 2,14), così il racconto finale della passione definisce il perdono divino verso
tutti coloro che lo invocano.
- Cristo Gesù, oltraggiato e crocifisso, è il «re dei Giudei» e insieme dei pagani, dei giusti e dei
peccatori, dei «primi» e degli «ultimi». Facendosi uomo, egli ha condiviso il cammino di salvezza e
di perdono, recando la Parola a tutti. In questa pagina così toccante, possiamo cogliere la regalità di
Cristo come un nuovo modello per vivere il dono di noi stessi e il servizio alla Chiesa e all’uomo.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- Come vivere la testimonianza cristiana in mezzo a tante incomprensioni? È possibile comunicare
la propria fede, sapendo affidare al Signore la nostra vita sull’esempio di Cristo in croce?
- La scena dei due ladroni: disperazione e speranza, disillusione e fede. Nei due atteggiamenti si
sintetizzano le scelte dell’uomo. Come aiutare coloro che hanno perso la speranza?
- Il buon ladrone «vive il suo ultimo momento nella verità»: di fronte a Cristo egli riconosce il suo
peccato. In che modo possiamo riconoscere il nostro peccato e aprirci alla misericordia di Dio?
- Il buon ladrone si affida al “ricordo” di Cristo: si cela in queste parole il desiderio di non essere
dimenticato da Dio. Se il peccato può distruggere la tua vita, la speranza di essere salvato permane
nel cuore del penitente.
- La risposta di Gesù crocifisso apre la speranza della vita eterna. Gesù invocato dal buon ladrone
è il signore che dà la vita. IL suo gesto di amore appare come un supremo gesto regale.
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Sal 61,2-8
2 Solo in Dio riposa l'anima mia; da lui la mia salvezza.
3 Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
4 Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme, come muro cadente,
come recinto che crolla?
5 Tramano solo di precipitarlo dall'alto, si compiacciono della menzogna.
Con la bocca benedicono, e maledicono nel loro cuore.
6 Solo in Dio riposa l'anima mia, da lui la mia speranza.
7 Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
8
In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio.
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2. IL SIGNORE VERRÀ
(Settimana: 01-07/12/2019)
 IL TESTO BIBLICO Mt 24,37-44
37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come
nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e
prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di
nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio
dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro
lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate
di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro,
veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti
perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- La pagina appartiene al discorso escatologico di Matteo (cf. Mt 24-25). È l’ultimo discorso, che
precede il suo ingresso a Gerusalemme e la sua passione (Mt 26-27). La liturgia ci fa vivere questo
passaggio nella I domenica di Avvento, in cui si collega la festa di Cristo-Re con l’inizio del nuovo
anno liturgico.
- Il discorso utilizza il linguaggio apocalittico. Con esso si esprime una serie di immagini che non
vanno interpretate nel senso realistico, ma simbolico. La chiave di lettura del simbolismo
apocalittico è abbastanza conosciuta nelle comunità del tempo. Coloro che ricevono questo
messaggio non devono vivere nel terrore della fine tragica, ma nell’accoglienza del passaggio a una
condizione di vita nuova e finalmente realizzata in Dio. Pertanto la sottolineatura che si evidenzia in
questa pagina ha un valore pedagogico: spingere il credente a vivere nella vigilanza e
nell’accoglienza del messaggio evangelico della salvezza.
- Il cuore della riflessione è centrato sul «vedere il Figlio dell’uomo». Si tratta di un titolo applicato
a Gesù che viene assunto dalle visioni apocalittiche del profeta Daniele (Dn 7,14). Il messaggio che
sta alla base della riflessione è legato alla salvezza. Essere salvati dal Cielo significa accogliere
l’arrivo di Dio che in Cristo Gesù porta a tutti la speranza e la pace.
- Il tema ricorrente del nostro brano è rappresentato dalla vigilanza (v. 42: gregoreite = vigilate).
Fermarsi a riflettere sul valore della vigilanza significa comprendere il valore del tempo e della sua
rapida conclusione per l’uomo.
- Il nostro brano è preceduto da una serie di unità letterarie che riportano diversi passaggi del
discorso di Gesù. In primo luogo l’annuncio delle persecuzioni (Mt 24,1-15), la profezia sulla
distruzione di Gerusalemme (vv. 15-28) e l’avvento del «Figlio dell’uomo» (vv. 29-41). Quest’ultimo
annuncio fa da collegamento con il nostro brano. Il «Figlio dell’uomo», (titolo che Gesù impiega
per parlare di sé stesso), verrà nel contesto di grandi tribolazioni che caratterizzeranno la fine della
storia.
- L’esempio dell’albero di fico e del discernimento del tempo è collegato con questo messaggio: i
credenti sono chiamati a leggere la presenza di Dio e il processo della storia attraverso i «segni» che
avvengono. Interpretare i segni nella luce dello Spirito Santo significa imparare ad entrare nel
progetto di Dio.
- Un ultimo riferimento è collegato con la «non conoscenza» dell’ora e del giorno. Nessuno, né gli
angeli né il Figlio conosce il tempo della fine. Solo il Padre, origine e fonte di ogni cosa, possiede la
conoscenza della fine. Per tale ragione i credenti sono invitati a vivere nella vigilanza l’attesa di
Dio.
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Questo dato evidenzia l’imprevedibilità del giorno del Figlio dell’uomo: anche Gesù si pone nella
logica dell’attesa e della vigilanza. Il tempo dell’attesa non deve incutere paura, ma una vita attenta
alla storia e impegnata nella responsabilità.
- I credenti sono invitati al discernimento e alla vigilanza. Chi desidera incontrare Dio deve essere
capace di interpretare i segni straordinari che vengono presentati come «elementi cosmici»
sconvolti. L’ordine del mondo voluto mediante l’atto creativo di Dio ora è trasformato in un nuovo
ordine che prepara l’azione finale di Cristo e il suo giudizio nella storia.
- Nei vv. 37-39 si presenta un esempio biblico tratto dalla vicenda di Noè e del diluvio universale
(cf. Gen 6-9). L’esempio è impiegato anche nella predicazione petrina (cf. 1-2Pt), per alludere al
battesimo e all’accoglienza del Signore nella vita dei cristiani. Al tempo di Noè nessuno comprese il
giudizio divino che si abbatte sul mondo corrotto dal peccato.
- Gli uomini pensavano di vivere in modo ordinario senza Dio. Nei giorni che precedettero il
diluvio, gli uomini mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno
in cui Noè entrò nell’arca». Dio ha parlato solo a Noè, mentre non ha avuto la possibilità di farsi
conoscere dagli uomini, a causa della loro malvagità. La malvagità non ha permesso di vivere
l’attesa e la vigilanza: ha ottenebrato la vigilanza umana,
- L’entrata di Noè nell’arca ha rappresentato il momento conclusivo del tempo e l’inizio del
giudizio. Gli uomini «e non si accorsero di nulla» (v. 39). Ecco il dramma del peccato: togliere la
consapevolezza della presenza di Dio e fare in modo di vivere come «se Dio non ci fosse». Il
diluvio diventa un segno di passaggio e travolge tutti coloro che non sono pronto. È importante
sottolineare il tema della «venuta del Figlio dell’uomo» (parousia). La venuta è un avvento, una
presentazione luminosa straordinaria della presenza di Dio nella storia dell’uomo.
- Nei vv. 40-41 il motivo del giudizio si sposta sulle relazioni affettive e familiari. Gesù sottolinea il
giudizio nell’ambito della vita umana: «due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e
l’altro lasciato». Si nota l’uso del passivo divino: «viene portato viene lasciato». Dio realizza il suo
giudizio nel contesto di vita quotidiana e di lavoro: «due donne macineranno alla mola: una verrà
portata via e l’altra lasciata» v. 41). Si vuole affermare che il giudizio avviene su tutti,
indistintamente, uomini e donne che vivono nel mondo delle attività.
- Nei vv. 42-43 troviamo la seconda parte della pagina matteana che è ispirata all’invito a
«vegliare». Il verbo «vegliare» indica l’azione della sentinella che è chiamata a proteggere se stesso
e l’intera città che ha affidato alla sua attenzione, la sua protezione e la sua vita. Vegliare significa
saper attendere la venuta della luce, del giorno. Poiché il «giorno del Signore» verrà. Il tema evoca
l’attesa del messia (cf. Sof 3) che viene per realizzare le promesse di Dio. La sua venuta è
caratterizzata dall’imprevedibilità. Come il ladro di notte, così il messia irromperà nella storia,
ponendo termine al suo corso. Il «non sapere» caratterizza la condizione dei credenti: l’unica strada
per vivede adeguatamente questa attesa non è la conoscenza razionale, ma la «fede obedienziale».
Il v. 44 completa la riflessione, con l’avverbio: «perciò» e il verbo seguente: «tenetevi pronti». Non
la paura, ma la responsabilità verso l’ora presente devono spingere il credente a vivere la prontezza
dell’incontro. Nell’ora che nessuno conosce e nel momento meno prevedibile. Il Figli dell’uomo
verrà. Questa verità corrisponde all’articolo della fede in cui si afferma che il credente aspetta la
risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
- Il messaggio del brano converge sull’ultimo invito: vigilate. È la caratteristica che deve
accompagnare il cammino della Chiesa nella storia. L’immagine dell’incontro è descritta come un
«apparire al cospetto» del Figlio dell’uomo. Di fronte al suo volto, potremo vedere la nostra storia e
lasciarci illuminare dal suo Amore. Come la sentinella attende l’alba vegliando alle porte della città,
così il credente attende la luce di Dio, vegliando sul proprio cuore.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- Il messaggio contenuto nel discorso escatologico matteano ci aiuta a riflettere sul tema della
speranza cristiana. Nel contesto narrativo di Mt 24 Gesù intende preparare i suoi discepoli
all’interpretazione dei segni finali della storia. La pericope di Mt 24 ci fa cogliere la dinamica
dell’attesa del giudizio finale. Siamo chiamati a riflettere sugli avvenimenti della storia e imparare a
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vedere in essi l’azione di Dio. Le immagini apocalittiche, soprattutto quellla biblica di Noè,
evocano nel nostro cuore l’idea che l’ordine dell’universo fa parte del progetto misterioso del Padre
che «prepara» per noi un'altra dimora «non costruita da mani d’uomo»: il nostro destino è il Cielo.
- La liberazione nasce dall’atto di fede che scegliamo di fare nel nostro cuore. Aprirsi all’incontro
con Dio significa accogliere il compimento della sua volontà in noi. Il credente è colui che sa
superare le paure e sceglie di fondare la propria esistenza nella fede. L’immagine del Figlio
dell’Uomo che viene in modo imprevedibile ci aiuta a vivere la fede come un affidamento al Signore. Noè fu
il simbolo di tale atto di obbedienza.
- La fine è un processo di liberazione. U nuovo esodo che si compie imparando a «guardare in alto»
e a saper aspettare. Il Vangelo ci mette in guardia dal cercare di prevedere l’ora. Nessuno la
conosce. Ci è dato di vivere il presente in attesa dell’incontro con Dio.
- La vigilanza è la forma con cui il credente interpreta la storia e vive la speranza. Il discorso
escatologico culmina con il binomio vegliare produttivamente. L’evangelista Matteo sottolinea
soprattutto l’impegno concreto e responsabile dei credenti.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- discernere il tempo:
quali sono i segni di speranza che oggi riesci a leggere nella tua comunità?
Cosa è possibile fare per aiutare i giovani a realizzare la loro vocazione?
- Cosa significa per te essere vigilante e sobrio?
La paura della morte: sai leggere con fede gli avvenimenti di sofferenza e i distacchi?
Il Vangelo ci ricorda che tutto comincia da Dio e tutto a Lui arriva:
sei consapevole di questa verità?
Quale impegno di carità puoi assumere nella tua famiglia? Nel tuo lavoro?
Quale parola di questa pagina ti ha colpito di più? Perché?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Sal 61,2-8
2 Solo in Dio riposa l'anima mia; da lui la mia salvezza.
3 Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
4 Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme, come muro cadente,
come recinto che crolla?
5 Tramano solo di precipitarlo dall'alto, si compiacciono della menzogna.
Con la bocca benedicono, e maledicono nel loro cuore.
6 Solo in Dio riposa l'anima mia, da lui la mia speranza.
7 Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
8
In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio.
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3. ECCOMI, SONO LA SERVA!
(SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE - II DOMENICA DI AVVENTO)
(Settimana: 08-14/12/2019)
 IL TESTO BIBLICO: LC 1,26-38
26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea,
chiamata Nazaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di
nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallegrati,
piena di grazia: il Signore è con te». 29A queste parole ella fu molto turbata e si
domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere,
Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai
alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il
Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di
Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».
35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti
coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di
Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un
figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio».
38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua
parola». E l’angelo si allontanò da lei.

 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- La Lectio è incentrata sul testo dell’Annunciazione (Lc 1,26-38) che viene letto nella solennità
dell’Immacolata Concezione. Quest’anno essa si sovrappone alla II domenica di Avvento.
- Maria è una giovane vergine promessa sposa di Giuseppe, di Nàzaret, sconosciuto villaggio della
Galilea. Inconcepibile, per la mentalità del tempo, che il Messia potesse nascere in Galilea e non in
Giudea e, soprattutto, a Gerusalemme, la città santa; ancora più assurdo che un angelo rivolga la
parola ad una donna, cui neanche i rabbini potevano rivolgere la parola (si rammenti la sorpresa
della donna e dei discepoli nell’episodio di Gesù e la samaritana raccontato in Gv 4, 1-42). Anche a
Maria, come a Zaccaria, viene detto da Gabriele (in realtà a Zaccaria apparve un angelo del
Signore) che concepirà e partorirà un bambino, il figlio delle profezie, il messia davidico, il figlio di
Dio (vv. 28-33).
- L’apparizione dell’angelo richiama una serie di apparizioni angeliche nella Bibbia: in Gn 16, 6-14
un angelo conforta Agar maltrattata da Sara; in Gn 17, 15-22 e 18, 4-14 angeli del Signore appaiono
anche ad Abramo in forma umana, ma nel dialogo la loro presenza si confonde con la presenza di
Dio stesso il quale colloquia direttamente con Abramo. Il saluto dell’angelo è ancora più strano
della sua apparizione: Maria è invitata a “rallegrarsi” (chaire). La vergine è, poi, definita
kecharitomene; infine, le si comunica che il Signore è con lei. Di solito kecharitomene è stato reso
con “piena di grazia”: il passivo divino aiuta a capire il perfetto del verbo greco che richiama un
intervento di Dio, avvenuto nel passato ma con effetti che perdurano: “tu che Dio ha colmato dei
suoi favori”. A tali parole, Maria resta turbata; l’angelo, quindi, spiega il motivo della sua gioia:
concepirà e partorirà un figlio, che sarà grande, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, riceverà il
trono di Davide, regnerà per sempre e sarà Figlio di Dio. Il nome che l’angelo comunica che Maria
darà al figlio è Gesù, che è in ebraico Jeôshûa’, abbreviato in Jeshûa’ (da cui il nome greco Jêsou)
e significa letteralmente “Jahwèh salvò” oppure come invocazione: “O Jahwèh, salva!”.
- La domanda di spiegazione che fa Maria non è incredulità, ma serve a indicare la sua situazione di
verginità, quindi d’impossibilità di concepire senza intervento umano. Anche Maria viene, quindi, a
situarsi sulla linea delle donne madri d’Israele (Lc 1,37; Gen 18,14), ma nel contempo, nel segno
della sua verginità e non della sterilità, ella indica il passaggio ad una nuova realtà storica, ad una
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nuova fase della storia della salvezza. Maria non è più la sterile, ma la vergine di Sion, figura del
popolo di Dio, che esulta per la visita del suo Signore tra gli uomini (cf. Sof 3,14-18).
- In questa linea, allora, essendo il brano in esame in dittico con l’annunciazione della nascita di
Giovanni il Battista a Zaccaria, quest’ultimo rappresenta l’Antico Testamento, mentre Maria
rappresenta il Nuovo Testamento. Quando Zaccaria dà prova della sua fede muta, attraverso la
scrittura del nome del figlio (v. 63), egli viene immediatamente premiato e può di nuovo parlare,
esponendo dinanzi a tutti, col canto del “Benedictus”, il senso della storia della salvezza e
soprattutto il significato che essa al presente ha negli eventi che vanno svolgendosi.
- Il cuore della pericope è nei vv. 35-37: alla meraviglia di Maria (è questa l’interpretazione che
della domanda di Maria dava il Grotius: “non dubitantis, sed admirantis”), che non riesce a
comprendere come da lei vergine possa nascere un figlio, l’angelo risponde con un versetto
strutturato su un parallelismo sinonimico: “Lo Spirito Santo scenderà su di te/ e la potenza
dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”: Luca non solo spiega il concepimento verginale, ma fa
intravedere in Maria la realizzazione vera dell’arca dell’Alleanza.
- Infine, al v. 38, è descritta l’adesione di Maria alla proposta di Dio: “Maria lo fa con la formula
“serva del Signore” che, unica in tutta la Bibbia per una donna, richiama la vicenda di tanti chiamati
che avevano accettato di mettersi al servizio del Signore: Abramo, Giacobbe, Mosè, Davide, il
Servo sofferente…E’ il terzo nome attribuito a Maria. Il primo, «Maria», le è dato dagli uomini, il
secondo, «kecharitomene», da Dio, e ora il terzo, «serva (doulē) del Signore», se lo dà ella stessa.
Mentre Zaccaria ed Elisabetta vengono descritti nel loro atteggiamento irreprensibile di fronte alla
legge, Maria viene presentata con nessuna predisposizione morale quasi a dire che il rapporto con
Dio ora si basa sulla parola ascoltata e non sull’obbedienza ad una legge”.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- Nel racconto dell’annunciazione c’è già sintetizzato il movimento di Dio verso di noi e il modello
della risposta umana, che Maria ci offre. Cogliamo da questo testo esemplare la grandezza del
mistero della vocazione e la misericordia di Dio che sceglie i piccoli e gli ultimi per realizzare il suo
progetto di amore. La prima parola con cui inizia il dialogo è «Rallegrati» (v. 28), l’ultima parola
con cui la Vergine sigilla l’incontro è «Eccomi» (v. 38). Possiamo affermare che l’intero percorso
vocazionale del credente si estende dal «Rallegrati» all’«Eccomi»: chiamata e risposta, proposta di
Dio e consenso dell’uomo, incontro di due libertà che si fondono in un unico progetto di amore.
- Dio entra nella vita dell’uomo portando la gioia profetica della sua parola trasformante (cf. Sof
3,14). Tutto quello che accade, turbamento, chiarimento, senso di impotenza, segno, conferma,
rassicurazione ed invito a «non temere», fa parte dell’esperienza che ciascuno di noi copie di fronte
alla scoperta del progetto di Dio.
- Quando il Signore decide di entrare e di prendere dimora nella nostra casa, le conseguenze sono in
qualche modo descritte nei sentimenti della Vergine di Nazareth. E’ Lei che ci insegna a
ricominciare ogni giorno con il nostro «si», ripetuto poi a Betlemme nel Natale di Gesù, a
Gerusalemme, nella fuga in Egitto, nel ritorno alla casa di Nazareth, lungo la strada della
predicazione del Regno, a Cana di Galilea fin sotto la croce del Figlio amato.
- Maria, insieme a Gesù, viene ad abitare nella nostra vita e diventa la guida nella nostra ricerca di
Dio. Ecco perché nel seguire il Figlio ella abbandona la sua casa di Nazareth e si mette sulla «strada
del vangelo», vivendo come prima discepola del suo Maestro (Lc 8,19-21), mentre questi «sale»
verso Gerusalemme. All’indomani della risurrezione Maria esercita la sua maternità nei riguardi
della sua nuova famiglia affidatale da Figlio morente (cf. Gv 19,25-27). La sua casa è ormai il
cenacolo di Gerusalemme e la sua maternità continua a sostenere la comunità cristiana che rinasce
dall’effusione dello Spirito Santo (cf. At 2,1-13). Ma anche il cenacolo di Gerusalemme si
schiuderà alla missione della chiesa verso gli estremi confini della terra (At 1,8). A partire da quella
dimora «dalle porte chiuse», gli apostoli escono con la spinta dello Spirito e vanno verso le
abitazioni degli uomini e dei popoli che attendono l’annuncio del Regno.
- Maria è divenuta ormai «la madre» di una casa che non è più definita in un luogo, ma che abita il
tempo e le città degli uomini, che ascolta le loro attese e condivide le loro speranze. Come nel
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cenacolo si ricordano i volti e i nomi degli apostoli «concordi nella preghiera» insieme a Maria e ai
discepoli, così la nostra casa ha volti e nomi che oggi condividono l’avventura del vangelo e le
meraviglie della misericordia di Dio.
- Questa casa è la Chiesa, comunità dei redenti, di cui la Vergine è il primo frutto. Così il cammino
del Risorto procede sulle strade del nostro mondo, attraverso uomini e donne che vivono e lavorano
alla edificazione della la famiglia di Dio. Maria rimane la madre della nostra casa ecclesiale, colei
che, con l’accoglienza di Gesù, è divenuta nel suo corpo «casa di Dio», continua la sua presenza
materna nella comunità dei credenti fino al compimento del tempo.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- Anche in questa pagina lucana si ripete il motivo della vocazione. La vocazione di Maria
comincia è un invito alla gioia profetica che si compie nel progetto di Dio: vivi la gioia della tua
missione di cristiano, donando pienamente te stesso al Signore e alla Chiesa?
- La Vergine sente le parole dell’angelo come volontà di Dio e non pone resistenza al suo
progetto: come vivi la volontà del Signore nella tua quotidianità?
- Nel progetto di Dio scopriamo anche il nostro progetto di felicità: cosa senti di dover
cambiare nella tua vita per realizzare la felicità che Dio vuole per te?
- Quale Parola ti ha colpito maggiormente? Perché?
 SALMO DI RIFERIMENTO
Salmo 45 (44)
2Liete parole mi sgorgano dal cuore: io proclamo al re il mio poema,
la mia lingua è come stilo di scriba veloce.
3Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia,
perciò Dio ti ha benedetto per sempre.
4O prode, cingiti al fianco la spada, tua gloria e tuo vanto, 5
e avanza trionfante.
Cavalca per la causa della verità, della mitezza e della giustizia.
La tua destra ti mostri prodigi.
6Le tue frecce sono acute – sotto di te cadono i popoli –, colpiscono al cuore i nemici del re.
7
Il tuo trono, o Dio, dura per sempre; scettro di rettitudine è il tuo scettro regale.
8Ami la giustizia e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni.
9Di mirra, aloe e cassia profumano tutte le tue vesti;
da palazzi d’avorio ti rallegri il suono di strumenti a corda.
10Figlie di re fra le tue predilette; alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir.
11Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio: dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
12il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio.

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4. IL PIÙ PICCOLO NEL REGNO
(Settimana 15-21/12/2019)
 IL TESTO BIBLICO MT 11,2-11
2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo
dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare
un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5
i
ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi
odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non
trova in me motivo di scandalo!». 7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a
parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna
sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di
lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che
cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è
colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te
egli preparerà la tua via.
11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il
Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- La quarta lectio propone il discorso messianico di Gesù e l’esaltazione della figura di Giovanni
Battista. Il brano matteano segue il discorso missionario di Gesù (Mt 10) e presenta il testimone più
significativo che ha preceduto il Signore: Giovanni Battista. L’insistenza si questa figura è data
dalla testimonianza sul circa il messianismo di Gesù. Il Battista invia alcuni suoi discepoli per avere
una conferma del messianismo di Gesù.
- Agli inviati del Battista che vogliono rendersi conto della sua messianità («Sei tu colui che deve
venire o dobbiamo aspettarne un altro?»), Gesù non risponde direttamente, ma rinvia alle sue opere:
«I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano
l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si
scandalizza di me» (Mt 11,2-6). Si tratta di miracoli che ricalcano le profezie dell'Antico
Testamento, e tra questi c'è persino la risurrezione dei morti. L'ultimo segno però (ai poveri è
predicata la lieta notizia) non è un miracolo, e tuttavia è un segno più decisivo, che imprime una
direzione ben definita a tutti gli altri, ponendoli al servizio di una concezione messianica sulla quale
molti inciamperanno: «Beato colui che non si scandalizza di me».
- Che Gesù sia un inviato di Dio è provato dai miracoli, ma è la sua predilezione per i poveri – come
le sue umili origini e la via della Croce – che rivela la novità teologica della sua rivelazione di Dio.
Questa novità qualifica l'attesa e la speranza cristiana, come suggerito anche nelle prime due letture.
Il passo di Isaia (35,1-10) precisa che la speranza non è semplicemente l'attesa di un risveglio
spirituale, bensì anche l'attesa di un popolo nuovo e di una diversa convivenza, nella quale ci sarà
un posto anche per i ciechi, i sordi, i muti e gli zoppi. Nessuno è escluso dalla gioia messianica.

Bisogna riconoscere però che questa non è un'attesa sempre facile. E' per questo che la lettera di
Giacomo (seconda lettura) parla della pazienza del contadino e di Giobbe. Paziente è chi, come il
contadino, attende il frutto del suo lavoro fino al tempo opportuno, che non spetta a lui determinare.
Paziente è chi, come Giobbe, non si lascia modificare dalle avversità, ma rimane fermo e saldo nella
sua ostinata speranza. 
Dopo aver indicato le opere sulle quali riflettere e in base alle quali è
possibile dare un giudizio su di Lui, Gesù esprime il proprio giudizio sul Battista. Lo fa
rivolgendosi alle folle.
- La grandezza di Giovanni non consiste solo nell'austerità della sua vita e nella fortezza del suo
carattere. Sta piuttosto nell'aver accettato il compito di preparare il terreno al Messia. Giovanni è
venuto per rendere testimonianza a Gesù. Giovanni è grande, tuttavia il più piccolo nel Regno di
18
Dio è più grande di lui. Un'affermazione, non facile da interpretare, ma che certamente vuol dire
una cosa: l'appartenenza al Regno di Dio è la cosa più importante di tutte. Il Regno al primo posto,
non perché le molte altre cose della vita non contano, ma perché possano trovare il loro giusto
valore. Il discepolo deve essere profondamente convinto che il primato del Regno di Dio non ruba
spazio all'uomo, ma lo allarga.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa” (Is 35,1). Agli israeliti in esilio a
Babilonia sembrava impossibile il ritorno in patria; come attraversare il deserto, la steppa, quando
tutto è distrutto, tutto è crollato dentro. Sarebbe come voler far saltare uno zoppo o gridare un muto.
Ebbene il profeta si alza e proclama coraggiosamente che le possibilità di Dio a favore del suo
popolo non sono finite. Ciò che è impossibile all’uomo Dio lo farà.
- Perché rallegrarsi, perché gioire? In questi giorni la cronaca quotidiana e la nostra esperienza
personale ci mettono davanti fatti, eventi, situazioni che ci danno un enorme quantità di motivi per
piangere, per fare lutto e riconoscere i continui fallimenti dell’uomo. Ad ascoltare bene quest’invito
alla gioia ci sembra addirittura forzato e fuori luogo visti gli eventi che si susseguono e non fanno
altro che ripetere continuamente il fallimento della nostra umanità. Ad ascoltare quanto accade
intorno a noi anziché erompere in un grido di gioia, sarebbe più pertinente un urlo di rabbiosa
rivolta contro il male. Anche noi, come Giovanni il Battista, sentiamo salire dal cuore un dubbio,
una domanda da rivolgere al Signore: “Sei tu il veniente?”.
- Giovanni aveva annunziato che “chi stava per venire”, era più forte di lui e che avrebbe compiuto
il giudizio di Dio, abbattendo gli alberi cattivi, senza frutto e bruciando ogni male. Ma guardando
intorno a se il male continuava a regnare e l'ingiustizia imperante non doveva andarla a cercare
lontano…il suo stare in carcere era dovuto alla paura, al capriccio di un uomo. Ogni giorno sentiva
salire il dubbio della verità della sua predicazione e l’annuncio di Gesù di Nazareth come il Messia.
Anche noi ogni giorno ci scontriamo con l’ingiustizia e il male che sembra farci dubitare di tutto
quello che abbiamo ascoltato e imparato dal Vangelo. Siamo portati a chiederci Gesù, il Signore,
veramente è il Salvatore? Veramente ci si può fidare del suo annuncio?
- Meraviglioso il comportamento di Giovanni il Battista, poteva mettere in crisi l’atteso: quel Gesù
che aveva indicato come l’Agnello di Dio, quel Gesù che aveva indicato ai suoi discepoli forse non
era lui, forse si era sbagliato. Invece Giovanni è disposto a mettere in crisi innanzitutto se stesso.
Davanti a questo Gesù che realizza le promesse di Dio Padre, non capisce, si stupisce ma non si
perde. Non cerca dentro di sè, nella tempesta della sua vita, la risposta, trasforma in domanda la sua
crisi e la fa arrivare a Gesù.
- Gesù, Parola del Dio vivente, risponde al Precursore, invitandolo a guardare le sue opere e ad
ascoltare il suo annuncio. Il Maestro elenca sei prodigi: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi
camminano, i lebbrosi purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il
Vangelo. I fatti elencati richiamano alla mente alcuni testi del profeta Isaia (cfr. Is 26,19; 29,18;
35,5-6a; 61,1) riguardo all’azione salvifica di Dio. Un operare quello di Gesù, dove a prevalere è la
misericordia, è l’abbracciare le miserie dell’uomo per sollevarlo dalla sua povertà. Sì, il Messia è
lui, ma la strada che percorre è quella della misericordia. Ecco l’invito di Gesù a Giovanni: quello
di cercare nella via della misericordia. Su questa strada cammina il Dio, è qui che non solo non si
smarrirà mai, ma incontrerà la gloria del suo Signore.
- La beatitudine con cui Gesù finisce il dialogo con i messaggeri di Giovanni “Beato è colui che non
trova in me, motivo di scandalo” (v.6) è si rivolta al Battista che è invitato a guardare l’operare del
Signore, ma raggiunge tutti i credenti di ogni tempo e luogo. Anche noi, desiderosi a volte di un Dio
con in mano il ventilabro, Gesù invita a percorrere la strada della misericordia, allora scopriremo la
gioia di un Dio che è vicina, ci avvolge con il suo abbraccio perché non ci sia mai più la paura.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- È forte il messaggio del Battista che vuole dirci come la nostra storia non può che risultare dalla
19
nostra personale risposta a Dio! Che scelta intendiamo fare in vista dell’incontro con Cristo?
- Le parole di Gesù sul Battista ti aiutano a verificare in quale situazione si trova oggi il tuo cuore.
Come stai rispondendo all’annuncio della Parola?
- Secondo te quali sono gli ostacoli principali che l’uomo di oggi oppone alla Parola di Dio?
Perché?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Salmo 126
Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare.
2 Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.
Allora si diceva tra i popoli: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
3 Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia.
4 Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negheb.
5 Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. 6 Nell'andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare, ma nel tornare,
viene con giubilo, portando i suoi covoni.
20
5. LA PRESE CON SÈ
Settimana: 22-29/12/2019

 IL TESTO BIBLICO MT 1,18-25
18 Ecco come avvenne la genesi di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa
sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera
dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla,
decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che
gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene
dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti
salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò
che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e
partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Destatosi
dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la
sua sposa, 25 la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò
Gesù.
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- Con la quinta lectio entriamo nel mistero della Nascita di Gesù, preparata dalle settimane di
Avvento, sostando sul messaggio teologico contenuto nei racconti matteani. In questa lectio
affrontiamo il racconto di Mt 1,18-25 e nella successiva lectio leggeremo la vicenda della famiglia
raggiunta dai magi e delle vicende legate alla persecuzione di Erode e alla fuga in Egitto (cf. Mt 2).
- I due capitoli sono così articolati: dopo la genealogia (1,1-17), si trova la descrizione della nascita
di Gesù (1,18-25) e l’adorazione dei Magi (2,1-12), a cui segue la fuga in Egitto (2,13-15), il
massacro dei bambini di Betlemme (2,16-18) e il ritorno della santa famiglia a Nazareth (2,1923).
- Il racconto matteano del Natale è costruito intorno a due centri geografici: Gerusalemme, dove si
trova la reggia di Erode e Betlemme, dove è nato il bambino, meta finale del viaggio dei tre sapienti
orientali. Le due città rappresentano come due poli contrastanti su cui si gioca la tensione narrativa
del racconto e il clima emotivo dell’annuncio natalizio.
- Il vangelo secondo Matteo sottolinea fin dall’inizio la «genesi» della storia della salvezza. Lo
stesso vangelo si apre con l’espressione «libro della genesi di Gesù Cristo» Mt 1,1) e introducendo
il racconto natalizio parla della «genesi» della nascita di Gesù. L’intenzionalità del testo è quella di
presentare il «nuovo inizio» della storia si Israele, che è costituito dalla persona di Gesù, l’uomo
nuovo.
- La lunga genealogia, calcolata secondo tra generazioni di quattordici patriarchi e segnata dalle
figure di Abramo e di Davide, permette di collegare il filo della storia dell’alleanza di Dio con
Israele, da Abramo a Cristo. Si tratta di figure che hanno assunto un ruolo importante nei libri
dell’Antico Testamento. Tra di esse vi sono anche personaggi non ebrei, che mostrano come Dio ha
posto all’interno della discendenza abramitico-davidica uomini e donne scelte secondo il suo
progetto di amore.
- E’ interessante vedere come la genealogia culmina con Giuseppe, «sposo di Maria» e la figura
mariana è presentata come «madre» di Gesù chiamato Cristo (v. 17). «Tutte le generazioni»,
segnate dal numero 14, culminano con Gesù Cristo, che è la pienezza. La simbologia numerica ha
avuto diverse interpretazioni: a) Gesù sarebbe il «figlio di Davide» (il nome DVD corrisponde al
numero ebraico 14); b) secondo i calcoli apocalittici 14x3 indicherebbe il numero 7 (settimane)
moltiplicato per 6 (sei settimane = imperfezione) che vede nella nascita di Cristo «settimo
elemento» l’avvento della pienezza.
- Al v. 18 si presenta l’evento dell’incarnazione per opera dello Spirito Santo (cf. anche il v. 20).
Non si parla dell’annunciazione a Maria (cf. Lc 1,26-38), ma si presenta la situazione della Vergine,
21
promessa sposa di Giuseppe, già in attesa del Figlio.
- L’evangelista pone in evidenza la figura di Giuseppe (Jôseph – Dio ti rende fecondo). Si può
affermare che in Matteo il Natale è visto attraverso la vocazione e la risposta fedele di san
Giuseppe: è lui infatti a vivere in prima persona l’annuncio di salvezza. Egli è presentato come il
«giusto» (dikaios), che di apre nella fede alla volontà di Dio. Per la sua obbedienza e il contesto dei
sogni e della persecuzione di Egitto, numerosi commentatori hanno accostato la figura di Giuseppe
a quella di un altro Giuseppe, il figlio di Giacobbe (cf. Gen 37-50).
- Giuseppe è lo «sposo di Maria». Va notato come il racconto mostri la «fatica» che quest’uomo
deve fare per «entrare» nel progetto di Dio. Egli vive il turbamento della scelta: combattuto tra due
pensieri, ripudiare Maria secondo le indicazioni della legge e accoglierla per proteggerla e
sostenerla, secondo l’amore del suo cuore. Giuseppe si trova di fronte ad una situazione difficile,
apparentemente impossibile a risolversi.
- Nel v. 20 si presenta la rivelazione divina attraverso l’intervento dell’angelo: «Giuseppe, figlio di
Davide». Le parole angeliche collegano la figura di Giuseppe alla storia di Davide: l’uomo giusto
deve saper leggere nella sua storia il progetto di Dio. Egli è collocato in una discendenza profetica e
deve lasciarsi guidare da Dio.
- «Non temere»: l’espressione che si ripete lungo la storia di Israele! Dio chiede all’uomo di
affidarsi con tutte le forze al suo amore. La «giustizia» necessita della «fede»: il giusto vivrà per la
sua fede (Ab 2,4). Giuseppe riceve la chiamata di Dio: «prendere Maria e il bambino con sé» perché
la storia di amore è «storia di Dio». Egli è chiamato a fidarsi e ad entrare nel progetto di Dio: quello
che è generato in Maria «viene dallo Spirito Santo» (v. 20).
- Chi sarà Gesù? Il nome «Gesù» rivela anche la missione: Gesù sarà colui che «salverà il suo
popolo dai suoi peccati» (v. 21). Dare il nome indica il ruolo «paterno» che Giuseppe è chiamato a
svolgere. Padre senza «essere padre»: vivere una paternità spirituale e giuridica che permette a Dio
di entrare nella storia dell’umanità e di Israele. Come Maria, Giuseppe è chiamato ad essere «servo
della Parola», è chiamato a fidarsi di Dio.
In queste parole dell’angelo si cela la chiamata di Dio. Di fronte al progetto di amore, Giuseppe
deve scegliere senza timore: egli ascolta con umiltà, vive il silenzio del cuore, accoglie il mistero
comprendendo il senso di questo messaggio.
- Nei vv. 22-23 l’evangelista introduce la profezia di Isaia. L’inciso riveste un’importanza notevole
per il racconto del Natale e più in generale per l’intera narrazione evangelica. Questo avvenimento
non accade a caso, ma rientra nella profezia antica che qui trova il suo «compimento»: Gesù è
quell’Emmanuele profetizzato in Is 7,14 e Maria è la «vergine» che concepisce e partorisce il Diocon-noi. In tal modo Dio porta a compimento le promesse fatte ad Israele: Dio entra nella storia
degli uomini per portare la salvezza.
- Giuseppe «si desta dal sonno»: ricevuta la rivelazione Giuseppe obbedisce. Egli accoglie Maria
come sua sposa e senza concorso umano, la Vergine dà alla luce il bambino. L’evangelista non si
attarda nella descrizione del Natale, non parla di un censimento (come in Luca), ma sottolinea come
la nascita di Gesù avviene per un’obbedienza profonda di Giuseppe e di Maria. In tal modo il
Signor entra «umilmente» nel tempo, attraverso una semplice e povera famiglia: quella di Giuseppe
e di Maria.
- Il Natale di Dio si presenta come l’evento più semplice e povero dell’umanità: Gesù nasce dalla
Vergine per opera dello Spirito Santo, accanto a due figure «piccole»: Giuseppe, uomo giusto e
Maria, madre semplice e «silenziosa» nella fede. Il racconto presenta la famiglia di Gesù nel
nascondimento di un piccolo paese della Palestina: Betlemme. È Betlemme che diventerà luogo dei
successivi avvenimento evangelici.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- La «genesi» della nascita del Signore introduce il lettore in una «storia di amore» fatta di
semplicità e di fede. I nomi indicati dalla lunga lista genealogica ci aiutano a leggere le vicende
della storia di Israele in una luce profetica: Dio ha voluto costruire lungo la storia degli uomini una
«storia di salvezza». Gesù è venuto per salvare il suo popolo dai suoi peccati» (v. 21). Dio nasce in
22
mezzo agli uomini per portare la salvezza.
- Il progetto di Dio ha bisogno del «si» dell’uomo. La figura di Giuseppe costituisce una
straordinaria testimonianza di questa dinamica spirituale. Giuseppe rappresenta la nostra stessa vita
e le nostre fatiche nella fede: egli è di fronte ad un dilemma che appare senza soluzione. Si ripete la
parola dell’angelo a Maria in Lc 1,30: nulla è impossibile di fronte a Dio. Lo sposo di Maria deve
«rispondere» con la fede di fronte al progetto di Dio. Giustizia e fede non sono contrapposti, ma
uniti nel «si» di Giuseppe.
- «Non temere»: l’invito di Dio rivolto ai grandi personaggi della Bibbia: Abramo, Mosè, Samuele,
Davide, Isaia, Geremia, Ezechiele, Maria di Nazaret. Anche Giuseppe sente questo invito ed
accoglie nella speranza la Madre con suo Figlio. Giuseppe crede nell’azione di Dio e dello Spirito:
la sua fede compie la sua giustizia. Egli sa abbandonarsi alla provvidenza del Padre e proprio questo
abbandono fiducioso gli consente di «diventare padre»: egli vive fino in fondo la paternità
spirituale, donando se stesso per amore.
- Gesù è l’Emmanuele, il Dio con noi (cf. Is 7,14). L’evangelista sottolinea la «pienezza della
Scrittura» in questo avvenimento. La promessa profetica che Dio fa al suo popolo al tempo di Isaia,
ora viene realizzata nella nascita di Gesù. In tal modo la storia dell’Antico Testamento acquista
senso a partire dalla storia di Giuseppe, Maria e Gesù. Il bambino nato per opera dello Spirito Santo
è il Dio-con-noi. È giunto il momento del «si di Dio»: Dio non abbandona il suo popolo, ma si
mostra fedele alle sue promesse. Il Natale del Signore può considerarsi come la «pienezza della
fedeltà di Dio»!
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- Entrare nella «storia della salvezza» attraverso l’obbedienza della fede: il Natale ci spinge a
riflettere sulla maturità della nostra fede. Come stai vivendo il tuo cammino di fede? Sei capace di
obbedire al Signore anche nei momenti più delicati e difficili della tua vita?
- Giuseppe è un uomo giusto, ma la sua giustizia si apre al progetto di Dio: la tua vita è aperta al
progetto e alla volontà di Dio in te?
- Gesù è l’Emmanuele e l’avvenimento del Natale è il capolavoro di Dio: come vivi il Natale nella
tua famiglia, nel tuo lavoro, nella tua comunità? Senti Dio vicino a te?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Salmo 71
Dio, da' al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia;
2
regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine.
3 Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia.
4 Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore.
5
Il suo regno durerà quanto il sole, quanto la luna, per tutti i secoli.
6 Scenderà come pioggia sull'erba, come acqua che irrora la terra.
7 Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna. 8 E dominerà
da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
6. IN LUI ERA LA VITA
Natale del Signore
 IL TESTO BIBLICO GV 1,1-18
1
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in
principio, presso Dio: 3
tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato
fatto di ciò che esiste. 4
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5
la luce
splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da
Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza
alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva
dare testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina
ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il
mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A
quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che
credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di
uomo, ma da Dio sono stati generati. 14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio
unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli dà
testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è
avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo
ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e
la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio
unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- In questa Lectio siamo chiamati a vivere il messaggio fondamentale del Natale, quello che ci
ricorda che il Verbo di Dio "... venne ad abitare in mezzo a noi..."; il Figlio di Dio, uno col Padre
da sempre e per sempre, entra nel tempo e scende nel mondo, facendosi uomo tra gli uomini. La
divisione posta da diversi studiosi individua nel prologo giovanneo quattro unità che
corrispondono a quattro aspetti della riflessione teologica, individuabili come quattro cerchi
concentrici, dal più grande al più piccolo:
vv. 1-5: l’esistenza del Logos, la sua relazione con Dio, la sua funzione di mediazione nella
creazione; vv. 6-8: l’introduzione della figura di Giovanni Battista come «testimone della luce» e
precursore della fede; vv. 9-13: il tema della luce che illumina l’universo e l’umanità posta di
fronte ad una scelta: accogliere o rifiutare la luce, che implica l’accoglienza e il rifiuto della vita;
vv. 14-18: l’incarnazione del Logos è vita e luce per gli uomini, la testimonianza del Battista e
l’orientamento escatologico della missione del Figlio.
- L’intera visione teologica, descritta con immagini dell’Antico Testamento serve a presentare il
ruolo unico della mediazione del Logos (sapienza), che indica la personalità del Figlio, Verbo
incarnato (similmente in 1Gv 1,1 e Ap 19,13 si indica con il termine Logos la persona del Figlio
di Dio, l’unigenito). Il Logos è la persona divina che si è rivelato come fonte della vita eterna, ha
rivestito la carne umana ed è stato toccato dalle mani degli apostoli. È ancora precisato come la
divinità del Verbo è eternamente rivolta verso Dio, il Padre (v. 18) e allo stesso tempo ne rivela
la perfetta comunione di amore. Il Verbo è la fonte della vita, inserito esplicitamente nella storia
della salvezza, che supera e completa la legge mosaica. Il Verbo è la luce degli uomini (v.4),
fonte di rivelazione che illumina la notte del mondo e smaschera ogni ostilità. Il centro del
quadro descritto dal prologo è nel v. 14: «il verbo si è fatto carne».
- La testimonianza del Battista (1,7s) presuppone che il Verbo-luce sia già presente nel mondo
come persona che vive tra la gente. Con l’affermazione di 1,14 si comprendono le espressioni
24
enigmatiche circa la presenza della persona divina nella storia umana: il Logos è vita, perché
manifesta e comunica la vita divina con la sua persona. Nei vv. 16-18 si accentua la rivelazione
escatologica che non avviene per mezzo della legge mosaica, bensì per mezzo del Figlio
unigenito. La legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia della verità è possibile unicamente
nella mediazione salvifica di Gesù Cristo. La prima grande verità è data dalla scoperta che Gesù,
Verbo incarnato è divenuto per noi «luogo dell’incontro con Dio», «presenza personale» di Dio
sulla terra. Dall’istante dell’incarnazione del Figlio per ciascun uomo la vita acquista una
prospettiva ermeneutica radicalmente diversa. Anzitutto l’incarnazione di Dio pone il
fondamento storico di un’uguaglianza tra gli uomini che non potrà mai essere superata.
- In secondo luogo dal fatto che Gesù è diventato autenticamente uomo dentro la storia,
l’atteggiamento verso la vita e la morte sono è messo in questione in un modo radicale, in quanto
la morte ha perso il suo contrassegna distruttivo in funzione della prospettiva della «vita nuova».
L’incarnazione è la manifestazione concreta e credibile dell’amore di Dio in quanto rivela la
centralità della carità divina e determina il nuovo modello antropologico che deve governare i
rapporti umani sull’amore reciproco e sulla fondamentale uguaglianza e fraternità.
- Una chiara indicazione del metodo spirituale e pastorale nasce dal saper annunciare Dio
partendo dalla condizione umana e dalla sua dimensione incarnata: «Chiunque voglia fare
all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre
presenti nell’esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza estrinseca per ogni discorso
cristiano su Dio. Il Dio della rivelazione, infatti, è i «Dio con noi», il Dio che chiama, che salva e
dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere nella storia, per rivelare ad ogni
uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla.
- La totalità espressa nell’evento dell’incarnazione apre una prospettiva antropologica nuova che
implica come essere cristiani significa realizzare essenzialmente il proprio progetto vocazionale
nella pienezza del «dono di sé» (corpo, mente e anima). Da questa consapevolezza si comprende
come «vivere» presuppone un percorso di identità ed implica una scelta orientata alla
definitività.
- L’incarnazione del Figlio implica così una vocazione inscritta nell’essere creato: l’elevazione
della natura umana alla dignità sublime di Dio. Così recita il noto testo conciliare: «Egli (Gesù) è
l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già
subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per
questo venire annientata, per ciò stesso essa è resa anche per conto di noi innalzata a una dignità
sublime. Con l’incarnazione il figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato
con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con
cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a
noi fuorché nel peccato» (GS, n. 22).
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- Leggiamo nel prologo di Giovanni un inno di bellezza insuperabile e di alta riflessione
teologica, che racchiude in sé la verità che salva e descrive, anch'esso, l'itinerario di Dio verso
l'uomo, la sua discesa nel tempo e nella Storia, la sua spoliazione, nel farsi carne e nell'assumere
la fragilità umana, per fare dell'uomo un figlio di Dio.
- "In principio era il Verbo - recita il testo - e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era
in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di
tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… venne fra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di
Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere
di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a
noi." E' la sintesi stupenda del dono di Dio nel Figlio, Gesù di Nazareth, figlio di Maria che
contempliamo nell'immagine tenera di un bimbo appena nato.
25
- A questo dono ineffabile, il cui valore non è misurabile con metri umani, l'uomo deve
rispondere prima di tutto, con l'accoglienza totale e sincera di un cuore fedele, e, di conseguenza,
iniziando un cammino verso Dio, sui passi del Cristo redentore; il Natale, infatti, non è solo la
grotta col Bambino, ma ha già in sé il dramma della passione e morte del Figlio di Dio, che è
venuto nel mondo per salvarci a prezzo della sua stessa vita, con quella obbedienza che lo ha
condotto alla morte di croce.
- La vera celebrazione del Natale non si esaurisce, dunque, in un solo un giorno di festa, ma deve
essere impegno che dà forma a tutta l'esistenza, un'esistenza fatta di conoscenza sempre più
profonda del Mistero grande di Dio, che si rivela in Cristo, come auspica Paolo: "il Padre della
gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione, per una più profonda conoscenza di lui.
Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale
speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità...". Questa conoscenza,
illuminata dalla fede, si trasforma, poi, in opere d'amore verso quel prossimo che Dio mette sul
nostro cammino e col quale Gesù si è identificato quando ha detto: "Avevo fame e mi avete dato
da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi
avete coperto, ero infermo e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi; perché, in
verità, tutto quello che avete fatto ad uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me"
(Mt25,35-40).
- " Venite, benedetti dal Padre mio..." (Mt 25,34) è l'invito che viene dal Bambino di Betlemme,
un invito che è un progetto di vita; un invito carico di luce, di amore e di speranza; quella
speranza che rende la vita degna di esser vissuta, perché destinata alla piena comunione con la
vita stessa di Dio, in Cristo Gesù, nostro fratello, nostro compagno, nostro salvatore.

 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- La pagina del Prologo giovanneo ti aiuta a rileggere il mistero del Natale come un dono
per la tua vita?
- Quale parola del prologo ti sembra che possa fotografare la situazione dell’uomo
contemporaneo? Perché? Cosa significa per te “contemplare”?
- La pagina giovannea evidenzia l’importanza della maturazione umana e
dell’Incarnazione di Dio nella storia. Quali sono i segni del cristiano maturo? Cosa chiede il
mondo di oggi ad un cristiano?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Salmo 90
1 Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, 2
di' al Signore: «Mio
rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido». 3 Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla
peste che distrugge. 4 Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio. 5 La sua fedeltà
ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, 6
la peste
che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. 7 Mille cadranno al tuo fianco e
diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire.
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7. SARÀ CHIAMATO NAZARENO
(Settimana: 30/12 – 04/01/2020)

 IL TESTO BIBLICO MT 2,13-15.19-23
13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a
Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e
resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». 14
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15
dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal
Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
19 Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli
disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele; perché
sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». 21 Egli, alzatosi, prese con sé il
bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. 22 Avendo però saputo che era re
della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito
poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea 23 e, appena giunto, andò ad abitare in
una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti:
«Sarà chiamato Nazareno».
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- Proseguendo il racconto del Natale, in questa sesta Lectio ci soffermiamo sulla famiglia di Gesù e
sugli episodi che caratterizzano Mt 2. Si tratta della venuta dei magi (Mt 2,1-12), la persecuzione di
Erode e la fuga in Egitto (Mt 2,13-18) e il ritorno della santa famiglia dall’Egitto a Nazaret (Mt
2,19-23). IL testo liturgico riporta solo i vv. 13-15.19-23, ma noi possiamo leggere l’intera
pericope.
- Il racconto dei magi dall’Oriente è ricco di una serie di messaggi teologici, che illuminano il
significato del Natale. Dopo la nascita di Gesù a Betlemme, alcuni magi giunsero dall’Oriente
seguendo «una stella» con il desiderio di «adorare il Re dei Giudei».
- Il cammino di questi uomini venuti da lontano si contrappone alla staticità di Erode e della sua
corte, così come la luce della stella si oppone all’oscurità e alla mistificazione della corte erodiana.
Malgrado l’essenzialità dei dati e la stringatezza della narrazione, l’evangelista riesce ad esprimere
bene la profondità teologica dei personaggi che ruotano nella scena: i magi, Erode, i capi dei
sacerdoti, il bambino e la Madre.
- Il viaggio di questi personaggi è finalizzato all’adorazione del Re bambino, visto nella prospettiva
della fede, come Dio che è nato sulla terra. I magi si caratterizzano per essere «uomini della
ricerca», aperti all’incontro con il Signore, pronti a mettersi in discussione di fronte all’avvento di
Dio e del suo Regno. Il clima di semplicità e di amore pervade la lunga strada dei sapienti orientali,
che rappresentano i popoli pagani che si aprono alla fede.
- A fare da contrappunto alla figura dei magi è Erode con la sua corte. Il turbamento di fronte a
quella richiesta di informazione (v. 3) e la paura di sentirsi destituito dalla nascita di un nuovo re,
caratterizzano l’intero ambiente di Gerusalemme. La domanda implicita che ritorna nel brano è: chi
è il «vero re dei Giudei»? Ritroveremo questa indicazione nell’ora della passione di Gesù, durante il
giudizio del sinedrio e perfino nel titolo della croce.
- Alla domanda dei magi non solo si turba Erode ma tutta la città santa: l’evangelista mette in
rilievo come il popolo delle promesse, che attende da secoli la venuta messianica reagisce con la
paura e il turbamento, la derisione e l’ignoranza. Il responso degli scribi è unanime: nascerà il
Messia a Betlemme di Giudea (cf. Mi 5,1). La citazione del testo profetico sottolinea che il capo che
uscirà da Betlemme «pascerà» il popolo di Israele. Matteo sottolinea la dimensione pastorale del
messia, del re davidico (cf. Sal 23; Ez 34,23; 37,24).
- Nei vv. 7-8 Erode invita i magi ad informarsi sul luogo della nascita e a riferirne la notizia per
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poter adorare il Re bambino. Il sanguinario di Gerusalemme, che da lì a poco provocherà la strage
degli innocenti, si mostra in vesti mansuete, in tutta la sua oscurità e violenza.
- I magi superano l’oscurità di Gerusalemme e seguono la stella che li conduce a Betlemme. Il
segno luminoso nel cielo riveste, oltre all’attestazione cosmica, anche un simbolismo teologico. Il
tema della stella ritorna nella tradizione biblica come annuncio della gloria di Dio (Sal 19,2-7),
rivelazione della potenza del Creatore (Sap 13,1-9). In modo particolare la stella è collegata alla
profezia di Balak, in vista della speranza messianica, attraverso l’episodio narrato in Nm 24,15-19.
- Ai pagani Dio si rivela e fa da guida: a coloro che lo cercano con semplicità di vita e amore per la
verità; mentre su Erode e la sua corte corrotta Dio stende un velo di oscurità e di turbamento. Erode
rimane nella notte, chiuso nel suo egoismo e nelle sue paure!
- Nei vv. 9-12 si narra dell’arrivo dei magi, della «gioia grandissima» nel vedere la stella posarsi sul
luogo della natività. Il cammino è al temine: i sapienti orientali entrano nella casa, «vedono» il
bambino con Maria sua Madre, e «prostratisi» lo adorano! Il racconto è essenziale, sintetico ma
sufficiente per descrivere l’evento della rivelazione di Dio a tutti i popoli, rappresentati dai magi di
Oriente.
- Essi riconoscono Gesù, il bambino povero di Betlemme, come il Re – Messia nato per noi. Essi
«adorano» Dio nella carne di Gesù, ripieni di gioia e di luce. La notte si trasforma in luce: questa
luce è l’anticipazione del fulgore della risurrezione. Infine i doni dell’oro, dell’incenso e della mirra
rappresentano ed anticipano l’identità misteriosa del piccolo venuto al mondo: egli è il Re, egli è
Dio, egli offrirà se stesso per la salvezza del mondo. Il ritornare per un «altra strada» indica il
«cambiamento del cuore» che questi uomini pagani hanno vissuto nell’incontro con il Dio-bambino.
- Nei vv. 13-18 si presentano due scene: la rivelazione che Dio fa a Giuseppe di prendere il
bambino e di fuggire in Egitto (cf. la citazione di Os 11,1) e il massacro dei bambini innocenti a
Betlemme per ordine del re Erode. Ancora una volta Giuseppe è chiamato ad accogliere l’annuncio
di Dio e a proteggere la santa famiglia «perseguitata» da Erode.
- L’evocazione dell’Egitto e della persecuzione collega la storia del Natale a quella dell’esodo di
Israele. La famiglia di Gesù è perseguitata: egli deve fuggire lontano per scampare alla morte. Fin
da bambino Gesù vive la persecuzione e nella morte dei bambini innocenti, viene prefigurata la sua
futura morte «innocente».
- La malvagità del re Erode tocca il suo vertice nel dramma del sangue innocente. Il crudele tiranno
raffigura la malvagità del potere usato senza scrupoli e fine a se stesso. Quando l’esercizio del
potere non è a servizio della giustizia e della solidarietà, diventa violenza e sopruso. A pagare sono
sempre e solo gli innocenti. La citazione profetica di Ger 31,15 sottolinea il dolore della maternità e
della paternità di fronte al dramma della morte dei bambini di Betlemme.
- Nei vv. 19-23, una terza rivelazione di Dio invita Giuseppe a «ritornare» nel paese di Israele.
Questo ritorno nella pace evoca il cammino del popolo attraverso il deserto verso la terra promessa.
Così Giuseppe «si alza» e si rimette in cammino. La santa famiglia vie il suo esodo, ritirandosi nella
Galilea e prendendo dimora a Nazaret. Gesù sarà chiamato «nazaneno» (cf. Gdc 13,5.7: nazoreo =
consacrato). Una seconda interpretazione è data dall’assonanza con «nazir» (germoglio, cf. Is 11,1):
Gesù è il germoglio della radice di Iesse. Inizia così il «ritiro di Gesù» nella famiglia di Nazaret, la
sua lunga preparazione che lo porterà alla predicazione pubblica.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- L’analisi sintetica che è stata proposta offre diversi spunti di meditazione e un aiuto per poter
sostare davanti a Cristo, nato per noi. In primo luogo siamo chiamati ad essere «uomini e donne del
mistero adorante di Dio». E’ proprio dalla ricerca del Signore nello nostra vita che deve nascere il
rinnovato bisogno di incontrare Dio e di adorarlo.
- La figura dei magi si impone in questa splendida pagina matteana come «protagonisti di un
cammino di fede», segno dell’apertura della salvezza verso tutti gli uomini. Nel testo emerge con
forza l’idea della missionarietà, che deve costituire la forza trainante della nostra esperienza
cristiana in «un mondo che cambia». L’immagine dei sapienti orientali che cercano il Re- Messia
traduce bene la ragione del nostro impegno di evangelizzazione dei popoli.
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- Al contrario la figura di Erode e del popolo eletto viene presentata in tutta la sua ambiguità e
chiusura. Pur possedendo e conoscendo le Scritture, nessuno dei maestri della Legge è in grado di
fare «il salto della fede» e mettersi alla ricerca di Gesù. La città di Gerusalemme si chiude
all’annuncio della salvezza così come avverrà nei giorni della passione del Signore.
- Chi rappresenta oggi Erode? Quali passi dobbiamo compiere per superare l’egoismo e la chiusura
alla fede di tanti nostri fratelli? Alla gioia dei magi si contrappone il turbamento del re iniquo di
Gerusalemme.
- La stella e il suo splendore nella notte. Ripensiamo al suo simbolismo profetico-messianico
(Balak, un pagano benedice le tende di Giacobbe e annuncia il sorgere della stella messianica: cf.
Nm 24) e valutiamo le «nostre notti». Il Salvatore è prefigurato dalla stella che indica la sapienza
aperta di fronte alla rivelazione. La stella scompare di fronte a Gerusalemme e riappare a Betlemme
(«casa del pane»).
- La ricerca si conclude con la gioia, l’adorazione e l’offerta dei doni, a cui segue il ritorno «per
un’altra strada». In questo racconto si presenta il «natale dell’anima» (Meister Eckhart): la nascita
del credente in Dio e di Dio nel credente. Si tratta anzitutto di fare una profonda esperienza
spirituale: il Natale non può che essere vissuto così.
- Riassumiamo in cinque momenti il cammino dei magi, figura del cammino del credente: a) la
risposta sincera al bisogno di Dio ti porta a seguire la stella; b) la Scrittura svela colui che
cerchiamo ed aspettiamo; c) la gioia del cuore mostra dove Lui è nato; d) l’adorazione è espressione
della fede in Dio che si è fatto bambino per la nostra salvezza; e) i doni riassumono i segni della
fede cristologica e implicano il dono di se stessi per il Regno di Dio.
- Le vicende legate alla persecuzione della santa famiglia fanno pensare alla situazione di sofferenza
di tanti popoli e di tante famiglie di oggi. Anche la famiglia di Gesù ha subito la sofferenza e la
persecuzione da parte dei potenti. Si tratta di un «esodo» sempre attuale, che implica una presa di
coscienza della nostra responsabilità di fronte ai drammi della società. Vivere e servire la famiglia
oggi: ecco la responsabilità che ci viene affidata da questi racconti evangelici.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- La narrazione dei magi ci aiuta a cogliere la dimensione universale della nascita di Gesù: egli è
venuto per salvare l’umanità. Tutti gli uomini sono chiamati a cercarlo e a trovarlo. Mentre Erode
vive nella paura di perdere il suo potere, i magi «camminano» seguendo la stella. Come stai
vivendo il tuo «cammino di ricerca» di Dio? Qual è la tua «stella» che sta illuminando la tua
ricerca di fede?
- Emerge con tutta evidenza il contrasto tra i due modelli di fede: da una parte la semplicità del
Natale di Betlemme e dall’altra la chiusura e la violenza della corte di Erode e di tutta
Gerusalemme. Quale modello di famiglia privilegi? Come stai vivendo la responsabilità della tua
famiglia? Di cosa senti maggiormente il bisogno per vivere relazioni di aiuto e di solidarietà
all’interno della tua famiglia?
- La persecuzione, la morte, l’esodo: sono esperienze vissute da Gesù ma anche avvenimenti di
cronaca quotidiana. Senti nel tuo cuore la responsabilità di creare condizioni di pace e di
accoglienza? Di fronte al fenomeno delle famiglie in difficoltà, dei migranti, dei profughi, di tante
situazioni di disagio e di chiusura: quale messaggio deriva da questa Parola?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Salmo 2
6
«Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo monte». 7 Annunzierò il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. 8 Chiedi a me, ti darò in possesso le
genti e in dominio i confini della terra. 9 Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le
frantumerai». 10 E ora, sovrani, siate saggi istruitevi, giudici della terra; 11 servite Dio con timore e
con tremore esultate; 12 che non si sdegni e voi perdiate la via. Improvvisa divampa la sua ira. Beato
chi in lui si rifugia.
8. MARIA LA MADRE
 (S. Maria madre di Dio)
 IL TESTO BIBLICO LC 2,16-21
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato
nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato
detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I
pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano
udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni
prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato
dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- La Solennità della Madre di Dio apre l’Anno civile alla benedizione e alla vita. Il nostro brano
si colloca nel grande racconto natalizio lucano che abbiamo commentato nel giorno di Natale
(vv. 1-15). Abbiamo visto come a differenza dei racconti dei «personaggi famosi» dell’antichità,
la descrizione evangelica del Natale esula dalla concezione trionfalistica del Dio che entra nel
mondo degli uomini. In un contesto di totale provvisorietà e di debolezza, Gesù è accolto da
Maria e Giuseppe e successivamente contemplato da semplici pastori. Una stalla fu la sua casa
natale, una greppia il suo giaciglio, poche fasce di fortuna il suo manto (cf. Lc 2,6-7).
- La seconda parte del racconto mostra invece l’evento luminoso della «gloria degli angeli» e
allo stesso tempo la «chiamata dei pastori» a contemplare il bambino nato. Cielo e terra si
incontrano! Lo schema narrativo viene ripetuto a più livelli: si parla dell’evento storico (vv. 1-7);
lo stesso evento viene presentato ai pastori come «segno» (vv. 11-12) ed infine viene descritto
direttamente come «esperienza viva» (vv. 16-17).
- Luca presenta l’apparizione degli angeli ai pastori nella notte, mettendo in relazione la «gloria»
(doxa) trascendente di Dio con la condizione di umiltà e di semplicità degli uomini, la luce
celeste che splende nella notte del mondo. Si dice che i pastori «vegliavano le veglie della notte»
(v. 8), mentre un angelo li illuminò, recando loro l’annuncio: «non temere: vi annuncio la buona
notizia di una grande gioia che sarà per tutto il popolo» (v. 10).
- Da notare l’importanza del verbo «evangelizzare» (euaggelizomai) che assume nell’economia
dell’intera struttura teologica lucana un ruolo centrale: Gesù è l’evangelizzatore della salvezza
(cf. Lc 4,18), egli è il salvatore del mondo, la sua venuta costituisce la novità e la gioia
dell’uomo. Un secondo termine è «la grande gioia» (charan megalēn): si tratta dell’esperienza
dell’uomo che fa l’incontro con Dio nello Spirito Santo. La gioia, frutto del dinamismo dello
Spirito, deve eliminare la paura di un Dio «giudice» e invadere il cuore dei pastori, come la luce
fuga le tenebre della notte. Tutto il popolo è chiamato a gioire, come nella scena profetica di
Sofonia 3,14-18 che riporta l’invito alla gioia per la salvezza operata da Jahwe.
- Nel v. 11 prosegue l’annuncio dell’evento: «oggi è nato per voi un salvatore, che è Cristo
Signore, nella città di Davide». L’oggi (sēmeron) dell’incontro con il Dio con noi, l’oggi
dell’evangelizzazione, l’oggi della misericordia e della salvezza! I titoli riservati a Gesù sono di
fondamentale importanza per cogliere la profondità della fede: Gesù è definito anzitutto
«salvatore» (sōtēr), lo stesso termine impiegato per l’imperatore, qui assume una funzione
sostitutiva e velatamente ironica. Il vero e unico Re e Signore è il Cristo, venuto al mondo nella
povertà e nel nascondimento. È lui il Messia (christos) atteso da tutti i credenti. È lui il Signore
(kyrios), a cui il Padre ha consegnato il potere e la gloria.
- Nei vv. 13-14 si schiude al lettore la prospettiva celeste della moltitudine di angeli che cantano
l’incontro tra il mondo trascendente e la realtà della terra. La celebrazione della «gloria a Dio»
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indica il mistero della trascendenza che illumina la notte del mondo; allo stesso tempo allude alla
potenza schiacciante e luminosa (kabod) nelle teofanie dell’Antico Testamento. Unita alla gloria
si menziona il dono della «pace in terra» (eirēnē epi gēs), dono offerto a coloro che Dio ama. La
gloria di Dio manifestata nel più alto dei cieli si estrinseca in un progetto di pace per gli uomini.
La nascita del Messia manifesta la gloria di Dio e riversa la pace «che viene da Dio» e non dai
compromessi umani (si pensi alla pax augustea).
- Partiti gli angeli, nei vv- 15-17 vengono presentati i pastori che vanno a vedere con
sollecitudine «questo grande avvenimento» (to rēma touto to gegonos). L’evangelista sottolinea
che, arrivati i pastori, trovarono Maria e Giuseppe con il bambino, che giaceva nella mangiatoia.
La presenza dei pastori ricorda la stessa funzione del «pastore» che Gesù rivestirà durante la sua
missione pubblica (cf. Gv 10). Sono i pastori stessi che «riferiscono» della loro esperienza diretta
(v. 17) e diventano testimoni dei fatti raccontati al cospetto di tutta la comunità (v. 18).
- Infine viene presentata la Vergine Madre nell’atteggiamento di conservare nel cuore e meditare
tutti gli avvenimenti accaduti, con un senso di profondo stupore e gratitudine. Luca attribuisce
alla Madonna un ruolo specialissimo soprattutto in questo racconto. In primo luogo vediamo
Maria come «interprete» degli avvenimenti che stanno accadendo. In Lei possiamo scorgere il
modello del credente che accoglie la Parola, si mette a servizio, dà alla luce il Verbo fatto carne e
porta in sé il mistero del bambino.
- La pagina di chiude con i pastori che ritornano ai loro greggi «glorificando e lodando Dio».
Alla lode degli angeli in cielo fa eco quella dei pastori sulla terra: saranno loro i primi testimoni
dell’incarnazione del Cristo.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- In questa seconda parte del racconto natalizio l’evangelista vuole aiutarci a cogliere il senso
della nostra storia: le nostre origini, il cammino di ricerca della volontà di Dio, la fatica di
credere e di vivere nella quotidianità l’ordinario, «in modo straordinario».
- Torniamo a rivivere l’esperienza della santa famiglia giovane che obbedisce alla volontà di Dio
con piena umiltà e sottomissione. Il testo evoca la memoria della promessa fatta da Dio alla
famiglia di Davide (cf. 2Sam 7,14): dalla sua discendenza verrà il Messia, che sarà «figlio»!
- Pur nella scarsità delle indicazioni, possiamo immaginare il disagio di Giuseppe e di Maria,
«pellegrini» a Betlemme. Per la Vergine si compie il tempo del parto. Soli, lontani da Nazaret,
forse ospiti di parenti nella «città di Davide». Maria dà alla luce Gesù, trasformando la notte del
dolore in gioia e festa della vita.
- Il bambino è nella mangiatoia e Dio abita la notte del silenzio, per stare con gli umili e i poveri.
Gesù appare come il «servo che non alzerà la sua voce!» (Is 42), ma porterà la giustizia di Dio a
tutti i popoli!
- Nella seconda parte del racconto lucano si presenta l’annuncio angelico: il cielo si schiude per
rivelare la grandezza del mistero di Dio. L’apparizione dell’angelo che annunzia l’evento ai
pastori: «non temere!». L’avvento di Dio nella storia non distrugge gli uomini, come i tiranni
umani, ma porta loro la vita e la speranza. Dio è finalmente con noi!
- Nel nostro testo (vv. 16-21) si coglie l’azione dei pastori illuminati dalla gloria angelica: essi
decidono di andare a Betlemme per sperimentare la presenza del salvatore. Essi accolgono nel
cuore la testimonianza della gioia e vivono il cammino dell’ospitalità.
- Anche noi siamo chiamati a vivere l’ospitalità nei riguardi di Dio e dei fratelli. L’ospitalità che
si trasforma in cammino di unità, nella condivisione e nella speranza. Le nostre famiglie, le
nostre comunità devono dilatarsi nella comunione verso tutti. La tristezza del dolore deve poter
cedere il posto alla certezza della «sua presenza».
- Il cammino dei pastori è pieno di stupore e di sollecitudine. Lo stupore dei semplici che
cercano di «vedere» l’uomo nuovo venuto nella storia. I pastori cercano il «buon pastore»:
ciascun uomo ha bisogno di essere aiutato e sostenuto nel cammino. L’esperienza cristiana è un
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«esodo di popolo» verso la terra promessa. La notte sembra quasi la ripetizione del deserto
antico, che viene illuminato dalla colonna di luce: Dio è venuto nella luce!
- Oltre al tema della luce c’è il tema della pace (eirēnē). La venuta di Dio nella storia segna
l’inizio della vera pace per l’uomo. Ma come si deve intendere la pace? Nella Bibbia lo shalôm
assomma tutti i beni della creazione, segno di armonia e di pienezza, augurio di sapienza e di
prosperità! Il Natale di Dio è shalôm in senso pieno! In Cristo-bambino l’uomo riceve la
pienezza dei doni e dei beni dal Cielo.
- La narrazione lucana di chiude con la figura centrale di Maria. L’evangelista annota che la
Vergine «conservava» nel suo cuore tutti questi avvenimenti e li «meditava». Il cuore della
Madre vive della gioia del Matale. Maternità di Maria, mistero della salvezza! Il posto di Maria
nel Natale e nella nostra vita: la «serva» della Parola che si è fatta carne (Gv 1,14). E’ Lei ora la
testimone delle meraviglie di Dio nella storia.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- Nella scena natalizia spicca la figura della Madre: quale esempio ci viene dato attraverso la
figura di Maria? La povertà della santa famiglia, la provvisorietà e lo stato di bisogno in cui
viene a nascere il bambino Gesù. Dio viene nel mondo avendo bisogno di tutto: come stai
vivendo questo tempo in preparazione al Natale?
- Cosa ti colpisce di più del racconto della nascita? Perché? Il «gloria celeste» giunge a
semplici pastori e li invita alla gioia. Il Natale è tempo di gioia e di speranza. Quale speranza
deriva dal Natale per l’uomo di oggi? Che cosa ostacola oggi il cammino della speranza?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Salmo 8
8,2 O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si
innalza la tua magnificenza. 3 Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza
contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
4 Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, 5
che cosa
è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? 6 Eppure l'hai fatto
poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: 7
gli hai dato potere sulle
opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; 8
tutti i greggi e gli armenti, tutte le
bestie della campagna; 9 Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del
mare.
10 O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
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9. I MAGI E I LORO DONI
(Settimana: 05-11/01/2020)
 IL TESTO BIBLICO Mt 2,1-12
1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero
da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?
Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo,
il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei
sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere
il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del
profeta: 6E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali
di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il
tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e
informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere,
perché anch’io venga ad adorarlo». 9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che
avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si
trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati
nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in
sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
 BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE
- In quest’ultima Lectio ci soffermiamo sull’episodio della visita dei magi (Mt 2,1-12). È la
solennità dell’Epifania. Il racconto dei magi dall’Oriente è ricco di una serie di messaggi
teologici, che illuminano il significato del Natale. Dopo la nascita di Gesù a Betlemme, alcuni
magi giunsero dall’Oriente seguendo «una stella» con il desiderio di «adorare il Re dei Giudei».
- Il cammino di questi uomini venuti da lontano si contrappone alla staticità di Erode e della sua
corte, così come la luce della stella si oppone all’oscurità e alla mistificazione della corte
erodiana. Malgrado l’essenzialità dei dati e la stringatezza della narrazione, l’evangelista riesce
ad esprimere bene la profondità teologica dei personaggi che ruotano nella scena: i magi, Erode,
i capi dei sacerdoti, il bambino e la Madre.
- Il viaggio di questi personaggi è finalizzato all’adorazione del Re bambino, visto nella
prospettiva della fede, come Dio che è nato sulla terra. I magi si caratterizzano per essere
«uomini della ricerca», aperti all’incontro con il Signore, pronti a mettersi in discussione di
fronte all’avvento di Dio e del suo Regno. Il clima di semplicità e di amore pervade la lunga
strada dei sapienti orientali, che rappresentano i popoli pagani che si aprono alla fede.
- A fare da contrappunto alla figura dei magi è Erode con la sua corte. Il turbamento di fronte a
quella richiesta di informazione (v. 3) e la paura di sentirsi destituito dalla nascita di un nuovo re,
caratterizzano l’intero ambiente di Gerusalemme. La domanda implicita che ritorna nel brano è:
chi è il «vero re dei Giudei»? Ritroveremo questa indicazione nell’ora della passione di Gesù,
durante il giudizio del sinedrio e perfino nel titolo della croce.
- Alla domanda dei magi non solo si turba Erode ma tutta la città santa: l’evangelista mette in
rilievo come il popolo delle promesse, che attende da secoli la venuta messianica reagisce con la
paura e il turbamento, la derisione e l’ignoranza. Il responso degli scribi è unanime: nascerà il
Messia a Betlemme di Giudea (cf. Mi 5,1). La citazione del testo profetico sottolinea che il capo
che uscirà da Betlemme «pascerà» il popolo di Israele. Matteo sottolinea la dimensione pastorale
del messia, del re davidico (cf. Sal 23; Ez 34,23; 37,24).
- Nei vv. 7-8 Erode invita i magi ad informarsi sul luogo della nascita e a riferirne la notizia per
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poter adorare il Re bambino. Il sanguinario di Gerusalemme, che da lì a poco provocherà la
strage degli innocenti, si mostra in vesti mansuete, in tutta la sua oscurità e violenza.
- I magi superano l’oscurità di Gerusalemme e seguono la stella che li conduce a Betlemme. Il segno
luminoso nel cielo riveste, oltre all’attestazione cosmica, anche un simbolismo teologico. Il tema
della stella ritorna nella tradizione biblica come annuncio della gloria di Dio (Sal 19,2-7), rivelazione
della potenza del Creatore (Sap 13,1-9). In modo particolare la stella è collegata alla profezia di
Balak, in vista della speranza messianica, attraverso l’episodio narrato in Nm 24,15-19.
- Ai pagani Dio si rivela e fa da guida: a coloro che lo cercano con semplicità di vita e amore per
la verità; mentre su Erode e la sua corte corrotta Dio stende un velo di oscurità e di turbamento.
Erode rimane nella notte, chiuso nel suo egoismo e nelle sue paure!
- Nei vv. 9-12 si narra dell’arrivo dei magi, della «gioia grandissima» nel vedere la stella posarsi
sul luogo della natività. Il cammino è al termine: i sapienti orientali entrano nella casa, «vedono»
il bambino con Maria sua Madre, e «prostratisi» lo adorano! Il racconto è essenziale, sintetico
ma sufficiente per descrivere l’evento della rivelazione di Dio a tutti i popoli, rappresentati dai magi di
Oriente.
- Essi riconoscono Gesù, il bambino povero di Betlemme, come il Re – Messia nato per noi. Essi
«adorano» Dio nella carne di Gesù, ripieni di gioia e di luce. La notte si trasforma in luce: questa
luce è l’anticipazione del fulgore della risurrezione. Infine i doni dell’oro, dell’incenso e della
mirra rappresentano ed anticipano l’identità misteriosa del piccolo venuto al mondo: egli è il Re,
egli è Dio, egli offrirà se stesso per la salvezza del mondo. Il ritornare per un «altra strada»
indica il «cambiamento del cuore» che questi uomini pagani hanno vissuto nell’incontro con il
Dio-bambino.
- Nei vv. 13-18 si presentano due scene: la rivelazione che Dio fa a Giuseppe di prendere il
bambino e di fuggire in Egitto (cf. la citazione di Os 11,1) e il massacro dei bambini innocenti a
Betlemme per ordine del re Erode. Ancora una volta Giuseppe è chiamato ad accogliere
l’annuncio di Dio e a proteggere la santa famiglia «perseguitata» da Erode.
- L’evocazione dell’Egitto e della persecuzione collega la storia del Natale a quella dell’esodo di
Israele. La famiglia di Gesù è perseguitata: egli deve fuggire lontano per scampare alla morte.
Fin da bambino Gesù vive la persecuzione e nella morte dei bambini innocenti, viene prefigurata
la sua futura morte «innocente».
- La malvagità del re Erode tocca il suo vertice nel dramma del sangue innocente. Il crudele
tiranno raffigura la malvagità del potere usato senza scrupoli e fine a se stesso. Quando
l’esercizio del potere non è a servizio della giustizia e della solidarietà, diventa violenza e
sopruso. A pagare sono sempre e solo gli innocenti. La citazione profetica di Ger 31,15
sottolinea il dolore della maternità e della paternità di fronte al dramma della morte dei bambini
di Betlemme.
 SPUNTI PER LA MEDITAZIONE
- L’analisi sintetica che è stata proposta offre diversi spunti di meditazione e un aiuto per poter
sostare davanti a Cristo, nato per noi. In primo luogo siamo chiamati ad essere «uomini e donne
del mistero adorante di Dio». È proprio dalla ricerca del Signore nello nostra vita che deve
nascere il rinnovato bisogno di incontrare Dio e di adorarlo.
- La figura dei magi si impone in questa splendida pagina matteana come «protagonisti di un
cammino di fede», segno dell’apertura della salvezza verso tutti gli uomini. Nel testo emerge con
forza l’idea della missionarietà, che deve costituire la forza trainante della nostra esperienza
cristiana in «un mondo che cambia». L’immagine dei sapienti orientali che cercano il Re- Messia
traduce bene la ragione del nostro impegno di evangelizzazione dei popoli.
- Al contrario la figura di Erode e del popolo eletto viene presentata in tutta la sua ambiguità e
chiusura. Pur possedendo e conoscendo le Scritture, nessuno dei maestri della Legge è in grado
di fare «il salto della fede» e mettersi alla ricerca di Gesù. La città di Gerusalemme si chiude
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all’annuncio della salvezza così come avverrà nei giorni della passione del Signore.
- Chi rappresenta oggi Erode? Quali passi dobbiamo compiere per superare l’egoismo e la
chiusura alla fede di tanti nostri fratelli? Alla gioia dei magi si contrappone il turbamento del re
iniquo di Gerusalemme.
- La stella e il suo splendore nella notte. Ripensiamo al suo simbolismo profetico-messianico
(Balak, un pagano benedice le tende di Giacobbe e annuncia il sorgere della stella messianica: cf.
Nm 24) e valutiamo le «nostre notti». Il Salvatore è prefigurato dalla stella che indica la sapienza
aperta di fronte alla rivelazione. La stella scompare di fronte a Gerusalemme e riappare a
Betlemme («casa del pane»).
- La ricerca si conclude con la gioia, l’adorazione e l’offerta dei doni, a cui segue il ritorno «per
un’altra strada». Riassumiamo in cinque momenti il cammino dei magi, figura del cammino del
credente: a) la risposta sincera al bisogno di Dio ti porta a seguire la stella; b) la Scrittura svela
colui che cerchiamo ed aspettiamo; c) la gioia del cuore mostra dove Lui è nato; d) l’adorazione
è espressione della fede in Dio che si è fatto bambino per la nostra salvezza; e) i doni riassumono
i segni della fede cristologica e implicano il dono di se stessi per il Regno di Dio.
- Le vicende legate alla persecuzione della santa famiglia fanno pensare alla situazione di
sofferenza di tanti popoli e di tante famiglie di oggi. Anche la famiglia di Gesù ha subito la
sofferenza e la persecuzione da parte dei potenti. Si tratta di un «esodo» sempre attuale, che
implica una presa di coscienza della nostra responsabilità di fronte ai drammi della società.
Vivere e servire la famiglia oggi: ecco la responsabilità che ci viene affidata da questi racconti
evangelici.
 ALCUNE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
- Come stai vivendo il tuo «cammino di ricerca» di Dio? Qual è la tua «stella» che sta
illuminando la tua ricerca di fede? In che modo eserciti la responsabilità verso la famiglia? Di
cosa senti maggiormente il bisogno per vivere relazioni di aiuto e di solidarietà all’interno della
tua famiglia? Stai cercando di costruire unità e pace nelle tue relazioni?
 SALMO DI RIFERIMENTO PER «PREGARE IL TESTO»
Salmo 83
2 Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! 3 L'anima mia languisce e
brama gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. 4 Anche
il passero trova la casa, la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. 5 Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue
lodi! 6 Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio. 7
Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente, anche la prima pioggia
l'ammanta di benedizioni. 8 Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare
davanti a Dio in Sion. 9 Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera, porgi
l'orecchio, Dio di Giacobbe. 10 Vedi, Dio, nostro scudo, guarda il volto del tuo
consacrato. 11 Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove, stare sulla soglia
della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi. 12 Poiché sole e scudo
è il Signore Dio; il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene a chi cammina con
rettitudine. 13 Signore degli eserciti, beato l'uomo che in te confida.
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INNO SULLA NATIVITÀ (1,88-95.99)
DI S. EFREM IL SIRO
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Questa è notte di riconciliazione,
non vi sia chi è adirato o rabbuiato.
In questa notte, che tutto acquieta,
non vi sia chi minaccia o strepita.
Questa è la notte del Mite, nessuno sia amaro o duro.
In questa notte dell'Umile non vi sia altezzoso o borioso.
In questo giorno di perdono non vendichiamo le offese.
In questo giorno di gioie non distribuiamo dolori.
In questo giorno mite non siamo violenti.
In questo giorno quieto non siamo irritabili.
In questo giorno della venuta di Dio presso i peccatori,
non si esalti, nella propria mente, il giusto sul peccatore.
In questo giorno della venuta del Signore dell'universo presso i servi, anche i signori
si chinino amorevolmente verso i propri servi.
In questo giorno, nel quale si è fatto povero per noi il Ricco
anche il ricco renda partecipe il povero della sua tavola.
Oggi si è impressa La divinità nell'umanità,
affinché anche l'umanità fosse intagliata nel sigillo della divinità.
Fonte:http://www.lapartebuona.it/

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