FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO III Domenica di Avvento - Gaudete

III Domenica di Avvento - Gaudete
 Lun, 09 Dic 19  Lectio Divina - Anno A


La terza domenica d’Avvento è detta domenica “Gaudete” o domenica della gioia, prendendo spunto dall’antifona d’ingresso con cui la Chiesa introduce la Liturgia eucaristica di questo giorno. Perché questo invito a gioire? Perché il Signore è vicino; perché sta per giungere la salvezza per tutti coloro che l'attendono; perché il tempo, ormai  nella sua pienezza e gravido di promesse, sta per donare al mondo la Speranza di ogni uomo. È curioso che nella terza domenica d’Avvento ogni ciclo dell’anno liturgico proponga alla nostra contemplazione la figura dell’austero Giovanni, il Battezzatore, colui che vive nel deserto, che mangia cavallette e miele selvatico, che non risparmia nessuno nell'annunciare il tremendo giudizio di Dio. Questa imprevista scelta della Liturgia, evidentemente, vuole dirci qualcosa che va oltre un approccio superficiale e mondano e che attinge alla grande sapienza della Chiesa, la quale l’ha imparata dalla Sapienza stessa di Dio.

La gioia a cui siamo invitati allora è qualcos’altro rispetto a ciò a cui siamo abituati a pensare. Ha le sue radici in un bene desiderato e ottenuto inaspettatamente, perché donato; quindi non frutto di una conquista personale, ma quasi una sorpresa (cfr per queste riflessioni A. Cencini, La gioia, ed. San Paolo).

Scopriamo allora la sorpresa di questo inedito Giovanni Battista, quale uomo della vera gioia …

Il contesto letterario: Questa pericope fa parte della sezione che racconta il ministero galilaico di Gesù; egli sta girando per tutta la Galilea annunciando il Regno di Dio a un gran numero di persone; ha compiuto molti prodigi e segni anche scandalosi per la mentalità religiosa di Israele. Si è reso conto dell’immenso bisogno che la gente ha di essere aiutata, raggiunta, guidata e ha coinvolto in questo ministero i suoi discepoli, dopo aver fatto loro un discorso sulle esigenze legate alla missione; in questa fase narrativa Gesù continua a parlare del mistero del Regno dei Cieli e del modo di porsi di fronte ad esso. Si troverà in un contesto di polemica perché sentirà la non accoglienza di questo tipo di annuncio e di Lui, che ne è il portatore.
I suoi discorsi, i suoi gesti, hanno attratto migliaia di persone, si parla di Lui, si cerca di vederlo e di ascoltarlo. Queste voci sono giunte anche a Giovanni in carcere, forse dagli stessi compagni di carcere, da quei derelitti che avranno conservato nel cuore le parole udite, piene di speranza anche per loro.

vv.2-3 Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?". Giovanni si trova in carcere perché ha pubblicamente accusato Erode di vivere in una condizione di peccato, avendo preso in moglie Erodiade, ancora sposa di suo fratello Filippo. Sappiamo dal Vangelo che l’impenitenza di Erodiade e la sua capacità manipolativa ha indotto Erode a fare arrestare il profeta e farlo incarcerare (cfr Mt 14,1-4); nonostante sia vittima di queste ingiustizie umane Giovanni non si ripiega su se stesso, anzi non smette di fissare lo sguardo verso ciò che ritiene lo scopo della sua vita: preparare la strada al Messia. In Lui è tutta la sua gioia, da Lui aspetta la sua salvezza. È attento ai segni dei tempi anche se questi segni sono molto diversi da quelli da lui stesso annunciati. Il “suo” Messia era il Go’el, il vendicatore del Dio degli eserciti, che avrebbe riscattato con potenza il suo popolo. Ora questo Gesù si presenta come tutt’altro che un guerriero; anzi, mite, povero e rivolto ai più poveri, agli emarginati della società giudaica, ai peccatori che vengono raggiunti da Dio prima ancora che si convertano. Giovanni da uomo pieno di Spirito Santo si mette in discussione e si apre ad una nuova proposta da parte di Dio, pur con la fatica che avrà fatto nel comprendere questo progetto. La sua è una domanda aperta alla verità che gli viene da un Altro.

v.4 Gesù rispose: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete". Più che farli essere ambasciatori passivi di un messaggio preso e consegnato, Gesù invita questi uomini a entrare in un’altra logica, quella della testimonianza di chi ha sperimentato, ha visto e perciò ha creduto. Sta dicendo loro: raccontate ciò che voi avete visto e udito e quindi interrogatevi sulla verità di questa cosa. È un incitamento anche per noi ad essere svegli, per essere portatori di un annuncio vivo e vissuto della nostra fede in Lui.

v.5 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella. Gesù riporta alcuni brani degli oracoli del profeta Isaia che annuncia ai suoi contemporanei la liberazione dagli invasori o il ritorno in patria dall’esilio; sono parole che annunciano una liberazione da una condizione di inferiorità materiale o spirituale, perciò interpretati più tardi dalla Tradizione giudaica come i segni che si manifesteranno nell’era messianica. Quello di citare l’Antico Testamento è il metodo narrativo matteano per affermare che in Gesù Cristo le Scritture hanno avuto il loro compimento.

v.6 E beato colui che non si scandalizza di me. Gesù proclama l’ultima delle beatitudini dopo quelle del discorso della montagna; essa è legata a questo atteggiamento del discepolo che lascia che il Maestro gli insegni la via per giungere al Regno di Dio. Quanti infatti sapranno accogliere questo messaggio e questo stile di vita, senza che esso gli provochi inciampo nel cammino, saranno felici perché avranno trovato la via della vita e della vera libertà.

v.7 Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?". Gesù continua a interpellare la folla che lo segue e lo ascolta. La figura di Giovanni, sebbene questi abbia terminato la sua missione, non può passare così in secondo piano, perché intimamente legata alla sua. Giovanni compie il suo ministero in funzione della venuta di Gesù, su di lui occorre riflettere, probabilmente per poter accogliere meglio il Messia. È un vero elogio quello che Gesù fa del suo Precursore: gli riconosce una solidità interiore; non si è lasciato agitare dai venti contrari seguendo ora questo, ora quello. Giovanni non è una canna sbattuta dal vento; il solo vento che lo muove è quello dello Spirito, che lo ha condotto nel deserto, dove ha predicato la conversione e il ritorno a Dio.

v.8 "Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti?". Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! Giovanni non è neppure un maestro che fa della sua condizione uno status privilegiato; anzi la sua scelta così radicale dice il totale abbandono del mondo per dare a Dio il primato di tutto, per dire che Dio è l’unico vero bene. Non ha voluto immischiarsi con faccende politiche, con riconoscimenti e favoritismi. Anzi, il richiamo al rispetto della Legge di Dio gli ha procurato la prigionia da parte dei potenti.

v.9 "E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta?". Sì, vi dico, anche più di un profeta. Giovanni è un profeta, l’ultimo dei profeti che annunciavano l’intervento di Dio a favore del suo popolo. In altri luoghi verrà paragonato a Elia, quell’Elia che sarebbe tornato prima della venuta del Messia promesso. Tuttavia questa sua contemporaneità con l’Atteso da tutte le genti lo rende più che un profeta; l’evangelista Giovanni lo definirà l’amico dello sposo, colui che gioisce al sentire la voce dello Sposo. È un amico fedele al quale era stata consegnata la sposa, simbolo del popolo che egli ha custodito e preparato per l’arrivo del vero protagonista della festa.

v.10 Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te. Ecco un’altra citazione dell’Antico Testamento, che viene però “conflata”, cioè in termini tecnici vengono unite due citazioni di diversi contesti e riferite come fossero un unico versetto. Si tratta di una citazione di Esodo 23,20 e di Malachia 3,1. Anche in questo caso la rilettura da parte di Matteo delle Scritture conferma che i fatti narrati nel Vangelo sono la realizzazione nella storia di quanto il Signore aveva promesso di generazione in generazione. Questo messaggero divino, in greco angelos, che è stato Giovanni il Battista, ha preparato la strada al Signore. In questo modo Matteo sta definendo in modo indiretto la natura divina di Gesù.

v.11 In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. È un elogio notevole che Giovanni riceve da Gesù. Eppure pare esserci una soglia che Giovanni non ha ancora varcato. Egli è un grande uomo, il più grande perché coerente, forte, solido nella sua missione davanti a Dio. Tuttavia la logica del Regno dei cieli è un’altra. Con Gesù, cioè Dio che viene a noi, il Regno non è più guadagnato con sforzi umani, ascesi, meriti derivanti da una buona condotta. Nel suo discorso della montagna il Maestro insegnava: “Beati i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli". A chi non ha nulla, neppure opere buone da offrire da Dio (e di cui vantarsi), e si presenta a Lui in totale nudità e vuoto, a questi è data la beatitudine del Regno. Dirà Paolo in Romani 14,17: “Il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. La grandezza del Regno rende grande colui che ne fa parte, ed è puro dono gratuito dell’Amore di Dio per noi.

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/


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