Thomas Merton, 6. "Prega per trovare te stesso"SEMI DI CONTEMPLAZIONE

SEMI DI CONTEMPLAZIONE

6. Prega per trovare te stesso




Esiste un punto in cui io posso incontrare Dio in un reale e sperimentale contatto con la sua infinita realtà. Questo è il «posto» di Dio, il Suo santuario: il punto in cui il mio essere contingente dipende dal Suo amore. Esiste in me un apice metaforico di esistenza nel quale io sono in dipendenza essenziale dal mio Creatore.

Dio mi pronuncia come una parola che contiene un pensiero parziale di Sé.

Una parola non sarà mai in grado di contenere la voce che la pronuncia.

Ma se io rimango fedele alla parola che Dio pronuncia in me, se rimango fedele al pensiero di Lui che devo incarnare, sarò pieno della Sua realtà, Lo troverò dovunque in me stesso, e non troverò me stesso in alcun luogo. Sarò perduto in Lui: mi troverò e sarò «salvo».

È un vero peccato che la bella metafora cristiana «salvezza» sia diventata così trita e di conseguenza così disprezzata. E stata trasformata in un insipido sinonimo di «pietà», un concetto che oltretutto non è veramente etico. La «salvezza» è oltre l’etica. La parola denota un profondo rispetto per la fondamentale realtà metafisica dell’uomo. Riflette l’infinita sollecitudine che Dio ha per l’uomo; l’amore, la cura che Egli ha del più intimo essere dell’uomo; l’amore di Dio per tutto ciò che è Suo nell’uomo, figlio Suo. Non è solo la natura umana che è «salvata» dalla misericordia divina, ma soprattutto la persona umana. L’oggetto della salvezza è ciò che è unico, insostituibile, incomunicabile, è ciò che io solo sono. Questo vero io interiore deve essere tratto come un gioiello dal fondo del mare, liberato dal disordine, dalla confusione, dall’immersione nel comune, dall’inclassificabile, dal triviale, dal sordido, dall’evanescente.

Dobbiamo essere salvati da quel mare di bugie e di passioni chiamato «il mondo». E, soprattutto, dobbiamo essere salvati da quell’abisso di confusione e di assurdo che è il nostro io mondano. La persona deve essere salvata dall’individuo. Il libero figlio di Dio deve essere salvato dal conformista schiavo della fantasia, delle passioni, del convenzionale. L’io interiore, creativo e misterioso, deve essere liberato dall’ego dissipatore, edonistico e distruttivo che tenta di nascondersi dietro travestimenti.

Essere «perduti» significa essere abbandonati all’arbitrio e alle finzioni dell’ego contingente, quell’io di fumo che dovrà inevitabilmente sparire. Esser «salvati» significa ritornare alla propria inviolata, eterna realtà; significa vivere in Dio.

Chi di voi può entrare in se stesso e trovare il Dio che lo esprime?

«Trovare Dio» significa molto più che abbandonare semplicemente tutte le cose che non sono Dio e svuotare se stessi di ogni immagine e desiderio.

Se riuscirete a cacciare dalla vostra mente ogni pensiero e ogni desiderio, potrete ritirarvi nel centro di voi stessi e concentrare tutto ciò che è in voi sul punto immaginario in cui la vostra vita si sprigiona da Dio; pure non troverete Dio. Nessun esercizio naturale può portarvi in contatto vitale con Lui. Se Egli non pronuncia Se stesso in voi, se non proclama il Suo nome nel centro della vostra anima; voi non Lo conoscerete più di quanto una pietra non conosca il terreno su cui giace nella sua inerzia.

La nostra scoperta di Dio è, in un certo senso, la scoperta che Dio fa di noi. Non possiamo salire in cielo per trovarLo, perché non abbiamo modo di sapere dove sia il cielo o che cosa sia. Egli scende dal cielo e ci trova. Egli ci guarda dagli abissi della Sua infinita realtà, che è dovunque, e il fatto stesso che Egli ci guardi ci comunica una realtà superiore in cui a nostra volta lo scopriamo. Noi Lo conosciamo solo in quanto siamo conosciuti da Lui, e la nostra contemplazione di Lui è una partecipazione alla Sua contemplazione di Se stesso.

Noi diventiamo contemplativi quando Dio scopre Se stesso in noi.

In quel momento il punto del nostro contatto con Lui si schiude e noi passiamo per il centro del nostro nulla e penetriamo nella infinita realtà, dove ci risvegliamo col nostro vero io.

È vero che Dio conosce Se stesso in tutte le cose esistenti. Egli le vede, ed esse esistono perché Egli le vede. Esse sono buone perché Egli le ama. Il Suo amore è la loro bontà intrinseca. Il valore che Egli vede in esse è il loro valore. In quanto Egli le vede e le ama, tutte le cose Lo riflettono.

Ma per quanto presente in tutte le cose per la Sua conoscenza, il Suo amore, la Sua potenza e la Sua provvidenza, Dio non è necessariamente compreso e conosciuto da esse. Egli è solo conosciuto ed amato da coloro cui Egli ha donato liberamente una partecipazione alla conoscenza e all’amore che Egli ha di Se stesso.

Per conoscere ed amare Dio quale Egli è, occorre che Dio dimori in noi in un modo nuovo non solo con la Sua potenza creatrice, ma con la Sua misericordia; non solo con la Sua immensità, ma con la Sua piccolezza con la quale Egli svuota Se stesso e scende giù fino a noi per essere vuoto del nostro vuoto e così riempirci della Sua pienezza. Così Dio getta un ponte tra Se stesso e gli spiriti creati per amarLo per mezzo delle missioni soprannaturali della Sua stessa vita. Il Padre, dimorando nell’intimo di tutte le cose e di me stesso, mi comunica il Suo Verbo e il Suo Spirito. Ricevendoli sono attirato nella Sua stessa vita e conosco Dio nel Suo stesso amore, essendo uno con Lui nel Suo Figlio.

La scoperta della mia identità incomincia e si compie in queste missioni, perché in esse Dio stesso, portando in Sé il segreto di chi sono io, comincia a vivere in me non solo come mio Creatore, ma anche come il mio altro e vero io. Vivo, iam non ego, vivit vero in me Christus.

Queste missioni hanno inizio con il Battesimo. Ma esse non assumono alcun significato pratico nella vita delle nostre facoltà fintanto che non diventiamo capaci di consapevoli atti d’amore. Da allora la speciale presenza di Dio in noi dipende completamente dalla nostra elezione. Da allora la nostra vita diventa una serie di atti di scelta tra la finzione del nostro falso io, che noi nutriamo con le illusioni della passione e dell’appetito egoistico, e un amoroso consenso alla gratuita misericordia di Dio.

Quando acconsento alla volontà e alla misericordia di Dio come si presentano a me negli avvenimenti della vita, facendo appello al mio io interiore e risvegliando la mia fede, io mi apro un varco attraverso le apparenze esteriori, superficiali, che formano la visione abituale che ho del mondo e di me stesso e mi trovo alla presenza di una maestà nascosta. Mi potrà sembrare che questa maestà e questa presenza siano qualche cosa di oggettivo, al di fuori di me stesso. Infatti i santi primitivi e i profeti videro questa presenza divina in una visione come di luce, di angelo, di uomo o di fuoco ardente... o come un alone di gloria risplendente sostenuto da un cherubino. Solo così il loro intelletto poteva rendere giustizia alla suprema realtà di quello che stavano sperimentando. Eppure questa è una maestà che noi non vediamo con i nostri occhi, è tutta dentro di noi stessi. È la missione voluta dal Padre e svolta dal Verbo e dallo Spirito nell’intimo del nostro essere. È una maestà che ci viene comunicata, che viene condivisa con noi, così che tutto il nostro essere è ripieno del dono della gloria e risponde con l’adorazione.

Questa è la «misericordia di Dio» rivelataci dalle missioni segrete nelle quali Egli dà Se stesso a noi, e risveglia la nostra identità quali figli ed eredi del Suo Regno. Questo è il Regno di Dio in noi, e per la venuta di questo Regno noi preghiamo ogni volta che recitiamo il «Padre nostro». Nella rivelazione della misericordia e della maestà giungiamo ad una oscura intuizione del nostro segreto personale, della nostra vera identità. Il nostro io intimo si risveglia, in un lampo momentaneo, in un istante di riconoscimento quando diciamo «Sì» alle Tre Persone Divine che abitano in noi. Siamo solo veramente noi stessi quando consentiamo totalmente a «ricevere» la gloria di Dio in noi stessi. Il nostro vero io è, allora, l’io che riceve liberamente e gioiosamente quelle missioni che sono il dono supremo di Dio ai Suoi figli. Qualsiasi altro io è solo illusione.

Fintanto che io sono sulla terra, la mia mente e la mia volontà ostacolano più o meno le missioni del Verbo di Dio e del Suo Spirito. Io non accolgo facilmente la Sua luce.

Ogni moto del mio appetito naturale, anche se la mia natura è in sé buona, tende in una maniera o nell’altra a mantenere accesa in me l’illusione che è opposta alla realtà di Dio vivente in me. Anche se sono buoni, i miei atti naturali, quando sono soltanto naturali, tendono a concentrare le mie facoltà sull’uomo che non sono, su colui che non posso essere, il falso io in me, la persona che Dio non conosce. E questo avviene perché sono nato nell’egoismo. Sono nato egocentrico. E questo è il peccato originale.

Anche quando cerco di piacere a Dio, tendo a piacere alla mia ambizione, Sua nemica. Vi può essere imperfezione anche nell’amore ardente di una grande perfezione, anche nel desiderio di virtù, di santità. Anche il desiderio di contemplazione può essere impuro, quando dimentichiamo che vera contemplazione significa la completa distruzione di ogni egoismo, la più assoluta povertà e purezza di cuore.

Sebbene Dio viva anche nelle anime di uomini che sono inconsapevoli di Lui, come posso dire di averLo trovato e di aver trovato me stesso in Lui se non Lo conosco o non Lo penso mai, se non mi interesso mai di Lui e non Lo cerco o non desidero la Sua presenza nella mia anima? A che giova recitarGli poche preghiere formali e poi volgersi altrove e dedicare mente e volontà a cose create, proponendomi solo finalità che Gli sono estranee? Quand’anche la mia anima potesse essere giustificata, se la mia mente non Gli appartiene, neppure io Gli appartengo. Se il mio amore non è diretto a Lui, ma si disperde nel Suo creato, ciò avviene perché ho ridotto la Sua vita in me al livello di una pura formalità, impedendole di infondermi alcuna influenza vitale.

Giustifica la mia anima, o Dio, ma insieme col Tuo fuoco infiamma la mia volontà. Risplendi nella mia mente, sebbene forse ciò significhi «sii tenebra per la mia esperienza», ma occupa il mio cuore con la Tua meravigliosa vita. Fa’ che i miei occhi vedano nel mondo soltanto la Tua gloria, che le mie mani non tocchino cosa che non sia per il Tuo servizio. Fa’ che la mia lingua non gusti pane che non mi fortifichi per lodare la Tua grande misericordia. Sentirò la Tua voce e sentirò tutte le armonie che Tu hai creato, cantando i Tuoi inni. La lana delle pecore e il cotone dei campi mi riscalderanno abbastanza perché io possa vivere al Tuo servizio, e darò il resto ai Tuoi poveri. Fa’ che usi tutte le cose per una sola ragione: per trovare la mia gioia nel darTi grande gloria.

Perciò tienimi lontano soprattutto dal peccato. Tienimi lontano dalla morte del peccato mortale che mette l’inferno nella mia anima. Tienimi lontano dal delitto della lussuria che acceca ed avvelena il mio cuore. Tienimi lontano dai peccati che divorano con fuoco irresistibile la carne dell’uomo fino a distruggerlo. Tienimi lontano dall’amore del denaro che è odio, dall’avarizia e dall’ambizione che soffocano la mia vita. Tienimi lontano dalle morte opere di vanità e dall’ingrata fatica in cui gli artisti si distruggono per orgoglio, denaro e reputazione, in cui i santi rimangono soffocati sotto la valanga del loro zelo importuno. Rimargina in me la profonda ferita della cupidigia e degli appetiti, che con il suo stillicidio di sangue esaurisce la mia natura. Schiaccia il serpente dell’invidia che avvelena l’amore e uccide ogni gioia.

Scioglimi le mani e liberami il cuore dall’indolenza. Liberami dalla pigrizia che si traveste di attività quando l’attività non mi viene richiesta, liberami dalla viltà che fa ciò che non è richiesto, per evitare il sacrificio.

Ma dammi la forza che si mette al Tuo servizio nel silenzio e nella pace. Dammi l’umiltà in cui soltanto è riposo, e liberami dall’orgoglio che è il più pesante dei fardelli. E possiedi tutto il mio cuore e tutta la mia anima con la semplicità dell’amore. Occupa tutta la mia vita con l’unico pensiero e desiderio dell’amore, perché io possa amare non per amore del merito, non per amore della perfezione, non per amore della virtù, non per amore della santità, ma per, Dio solo.

Perché una sola cosa può soddisfare l’amore e ricompensarlo: Dio solo.

Perché questo significa cercare Dio in verità: sottrarmi all’illusione e al piacere, alle ansie e ai desideri mondani, alle opere di cui Dio non ha bisogno, alla gloria che è solo pompa umana; tenere la mente sgombra da ogni confusione perché la mia libertà possa sempre essere a disposizione della Sua volontà; tacere nel mio cuore ed ascoltare la voce di, Dio; mantener libero l’intelletto dai concetti e dalle immagini delle cose create per ricevere nella fede il segreto contatto con Dio; amare tutti gli uomini come me stesso; riposare nell’umiltà e trovare pace sottraendomi ai conflitti e alle competizioni con gli altri; sottrarmi alla controversia e togliermi dalle spalle il grave peso dei giudizi, delle censure, delle critiche e tutto il fardello d’opinioni che non ho l’obbligo di portare; avere una volontà sempre pronta a richiudersi in se stessa e a trascinare tutte le potenze dell’anima nel suo centro più profondo per riposare in silenziosa attesa dell’avvento di Dio, raccolta in tranquilla e spontanea concentrazione sul punto della mia dipendenza da Lui; radunare tutto ciò che sono ed ho e tutto ciò che posso eventualmente soffrire o fare o essere, ed abbandonare tutto a Dio nella rassegnazione di un perfetto amore e di una fede cieca e di una pura fiducia in Lui, per fare la Sua volontà.

E poi attendere nella pace, nel vuoto e nell’oblio di ogni cosa.

Bonum est praestolari cum silentio salutare Dei.


1. Che cosa è la contemplazione➤
2)Parte Che cosa non è la contemplazione ➤
3) SEMI DI CONTEMPLAZIONE➤
(4)"TUTTO CIÒ CHE ESISTE È SANTO" SEMI DI CONTEMPLAZIONE➤
5)THOMAS MERTON, 5. "LE COSE NELLA LORO IDENTITÀ"➤

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