Alberto Vianello comunità Marango commento domenica 17 Novembre 2013

Letture: 3,19-20a; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19
 
La fine dei tempi: il Signore toglierà al mondo il cuore di pietra
 
1
Il cristiano non aspetta distruzioni finali del mondo, né vede nei drammi della terra (pensiamo alle vittime e alle distruzioni nelle Filippine) il segno che Dio inter-viene: viene dentro la storia (come se finora ne fosse escluso) e vi interviene con mano pesante, come se non l'amasse. Credo che le pagine evangeliche che parlano della fine (come quelle di questa domenica) vadano lette, invece, come applicazione a livello della storia (il tempo) e dell'universo (lo spazio) di quello che avviene a livello personale quando interviene la grazia divina.
Infatti il dono gratuito di Dio non è l'offerta di una cesta di doni, che uno può prendere come e quando vuole. La grazia agisce in modo sottile e profondo in ciascuno di noi. E anche quando prende qualcuno in modo eclatante (pensiamo alla conversione di Paolo), essa ha poi bisogno di essere accolta e vissuta in un impegnativo cammino quotidiano. In ogni modo, la grazia ci trasforma radicalmente. Come ci trasforma un rapporto d'amore, quando ci lasciamo amare e impariamo ad amare l'altro: diventiamo "un'altra persona". La grazia ci arricchisce impoverendoci dell'uomo vecchio, che correva dietro al proprio "io".
È quello che Ezechiele descrivere con la bellissima immagine del cuore: «Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26). Ecco, il discorso sui tempi finali e definitivi è l'annuncio che finalmente viene tolto il «cuore di pietra» al mondo (e costa dolore), perché al suo posto ci sia il vero «cuore di carne», che è quello del Signore.
 
La prima realizzazione dei tempi finali e definitivi di cui si parla è la manifesta relativizzazione delle istituzioni religiose. La fede e la relazione con il Signore possono anche servirsi di esse, ma non coincidono con esse. Anzi, l'unica istituzione, l'unico tempio, è il corpo del Signore Gesù risorto: solo in Lui si incontra Dio e si vive della sua misericordia che ci visita; come il peccatore Zaccheo visitato a casa sua da Gesù. Questo è il vero «tempio».
 
I disastri e gli sconvolgimenti, naturali e politici, sono il segno che... «non è subito la fine». Sono invece un lungo e sofferto travaglio attraverso il quale l'uomo è invitato a prendere coscienza del suo limite e della sua fragilità.
L'umanità ha ricevuto grandi possibilità dal Signore. Ma il suo peccato le impedisce di aprirsi completamente al regno di Dio. L'uomo non è in grado di darsi la civiltà dell'amore. Ma la può solo accogliere come dono che viene dall'alto, da Dio. Un'irruzione che per forza striderà con tutto ciò che, nel mondo, non vi coincide. E noi possiamo constatare ogni giorno e davanti ad ogni pagina di storia, che il "progresso" dell'uomo spesso non promuove, anzi smentisce, la dignità di tante persone, soprattutto le più povere.
Tutto ciò ci deve far aprire sempre più alla grazia del Signore. «Maràna tha: vieni, Signore!». Non per distruggere, ma per edificare una nuova umanità, perché tanti drammi gridano che ne abbiamo sempre più bisogno.
 
In questa grande prospettiva, la condizione del cristiano si fa esigenza di una testimonianza e di una franchezza sempre più trasparenti della vita di Gesù Cristo in noi. Si parla di persecuzione sempre più dure. Luca e gli altri evangelisti pensano alle concrete persecuzioni dei cristiani sotto l'impero romano. Ma al di là di questa collocazione storica precisa, il Vangelo chiede a tutti, nell'epoca "finale" di ciascuno, di diventare più docili all'azione della grazia in noi. Per trasformare anche il rifiuto e la violenza subite in «occasione di testimonianza»: è chiesto di essere non impossibili eroi, ma miti e cordiali portatori del Vangelo; perché portati dal Vangelo.
 
Ma la fede può comportare divisioni anche in famiglia. Anche i rapporti più intimi e più costituenti la nostra vita risultano limitati e insufficienti a realizzare noi stessi se non sono vissuti nel Signore.
Non dipende soltanto dalla divisione che può nascere in una famiglia se qualcuno è credente e un altro no. Anche fra tutti credenti ci può essere frattura, specialmente quando si pretende che l'altro ci richiami Dio, invece di prendere coscienza che è la fede in Dio che ci deve richiamare l'altro come suo dono e quindi come suo "rappresentante". Così la famiglia stessa è un luogo esigente e impegnativo per la vita di fede.
Alla fine Gesù raccomanda la «perseveranza»: che è la fedeltà calata nelle situazioni e nei momenti di ogni giornata. È l'attesa del contadino che ha sparso nei solchi della sua vita il buon seme, e ora attende che porti frutto (cfr. Gc 5,7). Non dipende da lui, ma dal buon Dio. Ma Lui non mancherà nel fare il miracolo del germoglio di una nuova umanità, nell'umanità del suo Figlio. A noi tocca sperare e attendere.
 
Alberto Vianello

Commenti

Post più popolari