Ogni istante aspetterò, fino a quando quando quando...padre Gian Franco Scarpitta

Ogni istante aspetterò, fino a quando quando quando...

Quando avverrà la fine di tutte le cose? Quando questo sistema disordinato e orripilante che è il mondo giungerà al suo epilogo? Sono gli interrogativi che da sempre l'intera umanità si è posta e anche fra i credenti hanno una certa ricorrenza. Anche in ambito clericale cattolico (e non soltanto presso le Sette e i Movimenti Religiosi alternativi) vi è stato chi ha fatto dei pronostici sulla "fine del mondo" e non di rado si sono date farlacche interpretazioni apocalittiche di eventi futuri in realtà estranei alla fine. La domanda sul "quando" ossessiona tutti. Neppure i discepoli di Gesù ne sono immuni, poiché all'annuncio che il Maestro fa sulla fine del tempio di Gerusalemme, replicano sgomenti: "Signore, quando avverranno queste cose e quale sarà il
segno della fine?"
Fortunatamente Gesù non soddisfa curiosità frivole e melensi. Se avesse comunicato ai suoi interlocutori la data esatta della fine cosmica, ebbene probabilmente non avremmo più vissuto la pienezza dei nostri giorni, poiché avremmo fatto ogni cosa nel servilismo dettato dalla trepidazione e dalla paura del giudizio. Avremmo in ogni caso mancato a noi stessi omettendo la virtù, il buon senso e la responsabilità e il nostro vivere sarebbe anche stato intriso di futilità e di insulsaggini dei godimenti degli ultimi giorni.
Come credenti ci saremmo dati alla preghiera e alla spiritualità, certamente, ma un tale sentire religioso sarebbe stato blando e inane.
L'evento della distruzione del tempio di Gerusalemme si verificherà di fatto nel 70 d.C, ad opera di Tito imperatore romano, ma Gesù non ha affatto preso il discorso per indicare date. Piuttosto vuole illuminarci sulla provvisorietà delle cose presenti e sulla loro caducità: anche prescindendo dalla fine del mondo ogni cosa è destinata a non perdurare o se dura a lungo è destinata a non suscitare più attrattiva. Se osserviamo il dilagare di una moda o di un costume, questi affascinano e seducono per tutto il tempo in cui perdurano. Impongono impiego di capitali, suscitano fibrillazioni in tanta gente, apportano anche variazioni nel vissuto di un gruppo o dell'intera società. Ma il tempo (tante volte relativamente breve) getta tutto nel dimenticatoio e un po' alla volta ciò che prima era di moda suscita sempre meno interesse fino a scomparire del tutto. Allo stesso modo, anche l'intero sistema presente è destinato a terminare con il tempo e lo stesso mondo cangiante non è mai definitivo. Tutto è momentaneo e provvisorio e impone allora che si apprezzi ogni cosa come dono, visto che ora c'è e potrebbe presto non esserci.
Impiegare al meglio il nostro tempo, vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, incrementare la valorizzazione di ciò di cui disponiamo e vivere l'intensità dei rapporti con gli altri è l'invito che ci fa il Signore mentre osserva anch'egli le sontuosità del tempio di Gerusalemme, poiché la fine di tutte le cose ci porterà a rimpiangere quanto abbiamo avuto, anche indipendentemente dal Giudizio finale.
Malachia ci infonde fiducia e speranza con la promessa della venuta del Messia sia in quanto evento già compiutosi in Cristo sia in quanto attesa del Veniente che tornerà a giudicare i vivi e i morti. Al di là del linguaggio duro e apocalittico del profeta, ci si dischiudono tempi nuovi e migliori nei quali trionferà la pace e la giustizia. Anche Gesù accenna alla conclusione del secolo presente tratteggiando dei segni premonitori oggetto di discussione fra i teologi, comunicandoci la certezza di un Incontro definitivo con lui Risorto e glorioso, ma ogni cosa è un guadagno e si raggiunge per merito, quindi il successo e la vittoria finale, come tutti i traguardi intermedi, non si ottiene se non dopo un lungo percorso di pazienza e di umile perseveranza. Trionferà il Sole di Giustizia che viene a visitarci dall'alto, il Cristo Re universale che esercita il suo dominio soprattutto nella croce che è la massima espressione della sua rivelazione come Amore, ma intanto non siamo esentati dal vivere la pienezza del presente in quanto attimo fuggente apprezzando ciò di cui disponiamo come realtà cagionevole e provvisoria, che potrebbe venirci a mancare. Nostro obiettivo finale non saranno allora le cose in se stesse, quanto lo stesso Signore Gesù Cristo che nel predisporci al suo incontro definitivo con lui ce ne fa disporre solo come mezzi transitori. Siamo invitati alla pratica oggettiva della virtù, della pazienza e della perseveranza senza che oltremisura ci attragga nulla di questo secolo.
Paolo insegna che "ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza."(Rm 8, 24 - 25). Fissare delle date e delle scadenze vuol dire annullare la speranza e togliere qualsiasi motivazione di perseverare e di credere e di conseguenza vanifica anche la stessa fede insieme alle altre virtù. Cedere al pronostico significa realizzare la propria vita nell'ipocrisia e nell'interesse effimero, vano e illusorio. La speranza è invece la forza con la quale costantemente si vive con fiducia l'imprevisto e la costante che ci è di sprone alla fiducia e alla perseveranza nella lotta e che incute vigore e forza nella certezza che i frutti matureranno in questa e nell'altra vita. La speranza nel Risorto ci fa vedere adesso il Cristo Risorto che realizzerà l'Incontro con noi nel giorno che non sappiamo; ci fa attendere istante per istante non nell'inerzia o nell'apatia ma nella creatività costruttiva.
Sempre Paolo ci ragguaglia inoltre della certezza che sperare, oltre che attendere fiduciosi il futuro, è anche vivere il presente con impegno, solerzia e abnegazione senza ritrosie o negligenze, ma con determinazione nella lotta e nella fatica: "chi non vuol lavorare neppure mangi" (2 Ts II lettura). Come pure equivale a mettere ordine in noi stessi e nella nostra vita per costruire un indispensabile equilibrio.

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