Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, "«Andarono senza indugio» (Lc 2,16)"

Arcidiocesi di Milano


«Andarono senza indugio» (Lc 2,16)

I domenica d’Avvento

La venuta del Signore
Viene il nostro Dio, viene e si manifesta

Is 51,4-8; Sal 49 (50); 2Ts 2,1-14; Mt 24,1-31


Duomo di Milano, 17 novembre 2013



Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano


1. Il triplice Avvento
«Con la sua prima venuta nell’umiltà della carne egli portò a compimento l’antica speranza e aprì il passaggio all’eterna salvezza; quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilanti nell’attesa» (Prefazio). Oltre queste due venute, san Bernardo, molto acutamente, parla anche di un terzo avvento, un avvento intermedio, che descrive la venuta di Gesù nel cuore degli eletti: «Questa venuta intermedia è una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione» (San Bernardo, Discorso 5 sull’Avvento).

2. Il travaglio della storia
Concentriamoci ora sull’odierna Parola di Dio che annuncia la venuta finale del Signore a chiudere la storia, tema a cui la liturgia ambrosiana dedica le prime tre domeniche del tempo di Avvento.
Per prima cosa dobbiamo prendere sul serio l’affermazione del Salmo responsoriale: «Viene il nostro Dio, viene e si manifesta». Il triplice Avvento ci dice che la Sua venuta è un presente. Ti riguarda e ti riguarda ora perché se aspettiamo Colui che viene (Mt 23,39), allora vuol dire che la storia, in ogni tempo, ha un senso e una direzione, quindi uno scopo.
L’annuncio delle realtà ultime da parte di Matteo non intende far prevalere l’elemento “catastrofico”, se non per dire che «non è ancora la fine» (Vangelo, Mt 24, 6), oppure che «è solo l’inizio dei dolori» (Mt 24,8). La nostra storia personale, quella di tutta la famiglia umana e quella del cosmo sono destinate a finire, come ci dicono l’esperienza e le scienze, ma non finiranno a causa di guerre o catastrofi: termineranno con la venuta-ritorno del Messia.

L’attesa della fine è orientata ad un evento di salvezza. Per questo siamo pieni di speranza.

3. I cristiani nell’oggi della storia
Sarebbe tuttavia una grave ingenuità sottovalutare gli insegnamenti che il Vangelo di oggi intende darci. Matteo, parlandoci della fine della storia, ci aiuta a comprendere che la condizione dei cristiani nel presente, cioè la nostra condizione, è contrassegnata da tre elementi.
Anzitutto anche noi siamo esposti al rischio della seduzione/inganno («Badate che nessuno vi inganni» Vangelo, Mt 24,4) da parte di falsi profeti che approfittano del malessere diffuso e della confusione generale per divulgare le loro dottrine fallaci. Se siamo realisti e andiamo oltre il “politicamente corretto” non c’è bisogno di documentare l’attualità di questa affermazione evangelica. Occorre quindi essere vigilanti.
In secondo luogo siamo esposti a persecuzioni che vengono dall’esterno («sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome» Mt 24,9) e a pericoli interni («Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda» Mt 24, 10 e «si raffredderà l'amore di molti» Mt 24,12).
In terzo luogo il Signore che viene ci chiede di testimoniarLo a tutto l’uomo e a tutti gli uomini con il “martirio della pazienza” proprio di una vita che impari, nella perseveranza, il dono totale di sé che brilla in tanti fratelli, i quali, anche oggi, giungono fino all’effusione del sangue per Cristo: «Vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome» (Mt 24,14).
Questi dati di fatto non debbono atterrirci o scandalizzarci perché sono vie per approfondire il nostro rapporto amoroso con il Signore che guida la storia.

4. Il segno del Figlio dell’uomo
Matteo insiste: «Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo» (Vangelo, Mt 24,30). In cosa consiste «il segno del Figlio dell’uomo»? Molti studiosi ci dicono che il segno non è qualcosa di distinto dallo stesso Figlio dell’uomo, ma è il Figlio dell’uomo stesso in quanto viene nella gloria. Per questo, taluni Padri della Chiesa, come Gerolamo e Cirillo d’Alessandria, lo hanno identificato con il Crocifisso. Vale a dire con l’Amore personificato che consiste nel Suo radicale abbassamento da cui esplode la gloria della risurrezione. La croce di Cristo indica certo la morte, ma la morte sconfitta dall’amore. Aspettare Gesù che viene significa, carissimi, mendicare il dono della vittoria del Suo amore nel nostro personale quotidiano. Affetti, famiglia, lavoro: tutto ciò che siamo e facciamo sia ispirato, accompagnato e comunicato come frutto dell’amore dello Spirito di Gesù risorto. Ed infatti Gesù afferma: «Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli. E allora verrà la fine» (Vangelo, Mt 24,14). La venuta finale è in funzione del compito missionario affidato alla comunità cristiana.
«Il campo è il mondo» è il versetto di Matteo che abbiamo scelto come tema per il cammino comune della nostra diocesi ambrosiana.
La nostra libertà viene fin da ora coinvolta in un compito impegnativo, ma affascinante. Per questo, rifacendoci all’atteggiamento dei pastori, i primi interlocutori dell’annuncio del Salvatore, abbiamo voluto intitolare il percorso che insieme faremo nelle sei Domeniche di Avvento: Andarono senza indugio (Lc 2,16).

5. Il dramma della libertà
Questo compito pieno di amore non è mai senza sacrificio. Se la storia personale ed universale è orientata alla salvezza, essa però mantiene sempre un carattere di lotta. San Paolo, nel passaggio della Seconda Lettera ai cristiani di Tessalonica che abbiamo ascoltato, sottolinea con forza la tensione, che vive in ogni cristiano e non si scioglierà fino alla fine, tra «il mistero dell’iniquità» (Epistola, 2Ts 2,7), citato anche dal Vangelo (Mt 24,12) e coloro che «accolsero l’amore della verità per essere salvati» (2Ts 2,10b).
Chi opera contro Dio, si fa sempre più vittima di una potenza ingannevole («miracoli e segni e prodigi» 2Ts 2,9b) che sempre seduce e conduce fino al rifiuto dell’abbraccio della verità, giungendo così alla perdizione. La condanna di Dio non fa altro che ratificare l’atteggiamento colpevole di chi non si lascia abbracciare dalla verità.
Il cristianesimo, carissimi, non è a buon mercato.

6. La misericordia di Dio è paziente
E tuttavia la liturgia di oggi è attraversata dalla speranza, dal sorriso contagioso della virtù bambina. Perché? Perché Dio non si rassegna al rifiuto dell’uomo. La misericordia di Dio, come ci ripete Papa Francesco, è paziente e non smette mai di sollecitare la risposta dell’uomo. Nel battesimo Egli ci «ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità» (Epistola, 2Ts 2,13). Da qui sgorga la nostra gratitudine. Siamo accolti ed amati al di là di ogni nostro desiderio e di ogni nostro merito. La vita cristiana, tesa alla ripresa dopo ogni caduta, trascorre così secondo un cammino che va dalla gratitudine alla gratuità.

7. Il per sempre di Dio
Come possiamo permanere, fragili uomini, nella gratitudine? La gratitudine è sempre possibile, perché Dio è fedele per sempre: «La mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta» (Lettura, Is 51,6). La Lettura, tratta dal profeta Isaia, annuncia il ristabilimento e la salvezza di Gerusalemme, che sta vivendo il tempo dell’esilio. Di fronte al “per sempre” di Dio («la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione» Is 51, 8b) il profeta ci fa comprendere che la fine, questo cielo e questa terra («fumo che si dissolve e vestito che si logora» (cf Is 51,6), non trascinerà nel nulla la famiglia umana.
Soprattutto però la luce del “per sempre”, dell’amore di Dio per noi, si proietta sulle nostre relazioni, compiendo l’anelito che è al cuore di ogni libertà umana: essere definitivamente amati per poter definitivamente amare.
Il tempo di Avvento, cui oggi la Chiesa dà inizio, è il tempo in cui essa richiama la nostra libertà perché, vigilante, attenda il Signore che viene. Questa attesa rinnova il nostro volto e ogni nostra relazione. Educhiamoci, quindi, ad essa intensificando la nostra preghiera quotidiana. Le preghiere del mattino e della sera, le Lodi ed i Vesperi se possibile; la partecipazione alla Santa Messa anche in un giorno feriale; il Santo rosario; qualche buona meditazione che irrobustisca in noi il pensiero di Cristo; qualche gesto stabile di gratuità verso quanti sono nel bisogno; la testimonianza forte negli ambienti dell’umana esistenza diventino il denso contenuto della nostra attesa.

Per questo mettiamoci alla scuola della Vergine santissima che lo ospitò nel suo grembo e ne attese, amorosa, la nascita. Amen.

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