Abbazia S.Maria di Pulsano DOMENICA «DELL’AGNELLO DI DIO» II del Tempo per l’Anno A

DOMENICA «DELL’AGNELLO DI DIO»
II del Tempo per l’Anno A

Giovanni 1,29-34; Isaia 49,3.5-6 (leggi 49,1-7); Salmo 39; 1 Corinti 1,1-3


Antifona d’Ingresso Sal 65,4
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te:
inneggi al tuo nome, o Altissimo.

Con il Salmista l’assemblea canta al Signore la gioia riconoscente, perché Egli ha operato fatti potenti in favore del suo popolo, liberandolo dai nemici sia nell’esodo, sia nella patria. L’intera terra, e quindi tutti i suoi abitanti sono invitati ad adorare il Signore prostrandosi a riconoscerlo (v. 4a) e ad unirsi all’assemblea del popolo di Dio, Israele, per «recitare il Salmo», il canto innico tipico dei fedeli del Signore, acclamando il Nome divino indicibile (v. 4b).

Canto all’Evangelo Gv 1,14a.12
Alleluia, alleluia.
Il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
a quanti lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio.
Alleluia.

L’inno che Giovanni canta al Verbo (vv. 1-18) ha come epicentro la proclamazione del suo entrare dall’eternità divina in cui sussiste con il Padre e con lo Spirito Santo (vv. 1-3 e 18), nell’evo creato da Lui
stesso (v. 3), per «diventare carne», ossia 1’«immagine e somiglianza di Dio» creata, creata da Lui stesso al fine di «diventare la sua stessa immagine e somiglianza» (v. 14a). Così che nella divina Persona il Verbo Dio è la sua carne, e questa «carne del Verbo» è il Verbo Dio (S. Cirillo Alessandrino, De incarnatione, in PG 75,1236 B).
Nella seconda domenica del tempo ordinario, l’evangelo, in tutti i tre cicli liturgici, non è preso (come ci aspetteremmo) dai tre sinottici, ma sempre dal quarto evangelo:
anno A - Gv 1,29-34 (Dom. dell’agnello di Dio);
anno B - Gv 1,35-42 (Dom. delle prime vocazioni);
anno C-Gv 2,1-12 (Dom. delle nozze di Cana).
Con questa disposizione i riformatori liturgici forse ci hanno voluto suggerire l’idea che la più profonda ed organica comprensione di Gesù e del suo evangelo, offertaci dal quarto evangelista, è bene premetterla alla lettura dei tre sinottici.
Il quarto evangelo, dopo l’inno formato dal prologo (Gv 1,1-18), si apre con la solenne testimonianza di Giovanni Battista. La pericope di Gv 1,19ss è infatti «il prologo della parte storica..., è la traduzione nel linguaggio della storia di ciò che il prologo vero e proprio esprime in termini più astratti, nel linguaggio della teologia».
Come Marco, l’evangelista Giovanni omette gli episodi della nascita e dell’infanzia di Gesù; e inizia il suo racconto, descrivendo la comparsa sulla scena del Battista. Ma, a differenza dei sinottici, non riporta la predicazione di questo profeta; per lui la missione del Battista si riduce a una testimonianza solenne, resa a Gesù, proclamandolo agnello di Dio, che toglie il peccato ‘del mondo, e riconoscendolo come l’eletto di Dio che battezza con lo Spirito santo. I sinottici invece si compiacciono di riportare la esortazione del Battista alla conversione.
Come per la Domenica del Battesimo del Signore, anche per la II Dom. del Tempo per l’Anno siamo ancora nel tempo della Manifestazione, dell’Epifania del Signore. Queste due Domeniche si pongono come un vero capodanno, almeno per il Lezionario, che trova qui uno degli inizi della sua lettura.
Gesù sta per iniziare il suo "ministero messianico", cioè portare a compimento quella benevolenza divina da sempre "giacente" accanto agli uomini. Quest’ingresso trionfale del Signore nella "vita pubblica", che già Dom. scorsa, nel compiacimento (eudokìa) del Padre, avevamo contemplato come tutta compiuta, qui trova maggiore ampliamento. Veramente l’Indicibile, l’Incomprensibile (solo per la limitazione della comprensione umana), il Mistero Grande di Dio si apre completamente, per la potenza dello Spirito Santo, all’estasi umana. Per questo leggiamo oggi il quarto Evangelo, quello di Giovanni, il quale «vedendo che negli evangeli degli altri erano narrate piuttosto le cose che riguardano la parte umana di Cristo, per impulso divino, a richiesta dei suoi discepoli, ultimo di tutti, scrisse un evangelo spirituale» (Clemente di Alessandria, Stromata, 1,49; PG 8,888).
Al contrario dei sinottici, Giovanni non descrive la scena del Battesimo, ma l’allude e vi rinvia; l’attenzione è posta sul Signore, secondo la testimonianza del Battista. Prosegue dunque l’aspetto battesimale della Vita storica del Signore, adesso nella prospettiva giovannea.
La narrazione che troviamo nei vv. 29-34, lo ribadiamo ancora, non ha lo scopo di raccontare il battesimo di Gesù, ma di indicare quando e come il Battista riconobbe il Messia. Da questi, nei versetti immediatamente precedenti (19-28), era stata resa una prima testimonianza ai sacerdoti e leviti inviati da Gerusalemme.
La pericope è collocata all’interno della magnifica testimonianza del Battista per Gesù; questa inizia con i vv. 6-8 del prologo, raggiunge il suo vertice al v. 9, e si prolunga fino al v. 51, se si vuole aggiungere l’atto con cui Giovanni guida i discepoli verso Gesù.
L’attenzione è sempre posta sul Signore, ma la testimonianza del Battista varia con le persone alle quali si rivolge ed è articolata dall’evangelista in tre momenti successivi, collocati nei tre giorni iniziali della settimana che prepara la manifestazione pubblica di Gesù:
1° giorno: la risposta del Precursore sulla propria identità agli invitati ufficiali di Gerusalemme (vv. 19-28, sacerdoti e leviti);
2° giorno: la sua professione di fede sulla identità di Gesù rivolta a tutti (vv. 29-34, che si leggono oggi);
3° giorno: la ripresa di tale professione davanti a due suoi discepoli, che diventano i primi del Cristo (vv. 35-39; l’evangelista è forse uno dei due).
La teologia simbolica giovannea indica così che al Primo Giorno, l’inizio, Colui-che-viene deve venire, al secondo, ch’è venuto; al terzo che ha compiuto l’opera che porta con sé (v. 36).
Il terzo giorno è un’allusione alla Resurrezione, alla Gloria divina, alla fede dei discepoli.
Anche nella pericope di questa II Dom. per annum A ci troviamo di fronte ad una professione di fede in Cristo, che si articola in tre affermazioni:
1) «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo» (vv. 29.36);
2) «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui» (v. 32);
3) «è il Figlio di Dio» (v. 34).
La pericope di Gv 1, 19-34 appare nella sua originalità nel confronto con i sinottici che pure descrivono l’incontro tra Gesù e Giovanni Battista come già sappiamo. La prima caratteristica di Gv 1,19-34, rispetto alla narrazione dei sinottici, è la presentazione dell’opera del Battista come una testimonianza al Messia. L’appariscente inclusione tematica tra l’inizio e la fine di questa pericope giovannea è molto eloquente in merito. Per il quarto evangelista, il precursore non prepara la via al Cristo predicando la conversione, come per i sinottici (cf. Mc 1, 4 = Mt 3,2 = Lc 3, 3), bensì confessando pubblicamente di non essere il Messia (Gv l,19ss) e indicando con il dito il Cristo, che è l’agnello di Dio (Gv 1,29) e l’eletto di Dio (Gv 1,34).
Altra caratteristica vistosa della narrazione giovannea è la presentazione di Gesù come agnello di Dio e come eletto di Dio, sul quale rimane lo Spirito (Gv 1,29-34). I sinottici descrivono la discesa dello Spirito su Gesù (Mc 1,10 = Mt 3,16 = Lc 3,22), però non dicono che questa persona divina rimase su Gesù, come fa il quarto evangelista per ben due volte (Gv 1,32s).
In fatto di omissioni limitiamo il confronto al racconto di Marco, che sembra più primitivo, più sobrio e più vicino alla narrazione giovannea. Il quarto evangelista sembra sopprimere ciò che potrebbe descrivere l’attività del Battista per se stessa, accentuando i tratti che subordinano Giovanni a Gesù, per mostrare che l’attività del precursore è finalizzata dalla manifestazione della messianicità di Gesù. In particolare l’evangelista Giovanni omette, non solo la proclamazione del battesimo di penitenza per la remissione dei peccati (Mc 1,4), ma anche la descrizione del battesimo di Gesù con la rispettiva teofania (Mc 1,9-11). Il quarto evangelista non dice che Gesù è stato battezzato, e riferisce al Battista la visione dei cieli aperti e della discesa dello Spirito sopra Gesù (Gv 1,32s).

Esaminiamo il brano

v. 29 - «Ecco l’agnello di Dio...»: formula massimamente solenne; la medesima che, profeticamente ma senza neppure saperlo, usa Pilato quando annuncia: «Ecco l’Uomo!» (cfr. 19,5), «Ecco il Re vostro!» (cfr. 19,14).
«agnello»: una prima riflessione ci ricorda che l’agnello non era un animale usato nei sacrifici di espiazione, può essere preso quindi o come esempio di agnello pasquale, oppure come simbolo di innocenza.
Nel 1° caso agnello di Dio significa: agnello procurato, mandato da Dio ; nel 2° caso agnello degno di Dio quindi purissimo o innocentissimo (è un modo ebraico di fare il superlativo: cfr. monti di Dio = monti altissimi). L’Agnello di Dio, l’Uomo, il Re si manifesta dunque.
Siamo di fronte ad un simbolo dalle molteplici risonanze, e non si tratta di scegliere tra un riferimento o l’altro, ma piuttosto di cogliere insieme i diversi aspetti. Giovanni infatti lo vede sotto il primo aspetto, ed anzitutto lo acclama: lo indica come l’agnello-Servo sofferente di Is 53,7, quello che resta muto di fronte ai suoi carnefici (cf Gv 19,36, che rimanda a Es 12,46 e chiarito da Paolo in 1 Cor 5,7). È anche il Servo giusto perseguitato (cfr. Ger 11,19).
Questa fusione in una sola realtà del servo di Is 53, che porta il peccato degli uomini e si offre come «agnello di espiazione» (cf Lv 14) e del rito dell’agnello pasquale (Es 12) non è solo frutto della ricerca teologica ma ha anche basi lessicali. Il Battista se parlava, com’è probabile, l’aramaico, ha detto: Ha’ taljeh d’Alahà’l ; ecco il Taljà’, l’Agnello di Dio.
Ora taljà’ è un termine ricco di significati; ovviamente significa anzitutto agnello, poi ragazzo di fiducia, servo, ed anche pezzo di pane.
Con Gv possiamo giustamente dire che L’Agnello-Servo-Pane di Dio sta qui. v. 30 - «Ecco colui del quale io dissi...»: segue una spiegazione per quanti l’ascoltano; i destinatari non sono specificati, ma senz’altro sono un gruppo rappresentativo del popolo d’Israele. Sappiamo inoltre, dai vv. 35ss, che si tratta anche di suoi discepoli, che poi si faranno discepoli di Cristo (v. 37).
La spiegazione è il seguito della testimonianza; egli aveva annunciato che sarebbe venuto uno «dopo di lui», che «fu fatto prima» di lui, poiché sussisteva «prima di lui» (cfr. v. 27 e sinottici).
«prima di me»: non c’è dubbio che l’evangelista intenda qui affermare nuovamente la preesistenza di Gesù; il Battista tuttavia era consapevole di questa grande verità mentre pronunciava tali parole? Anche questa volta si possono avanzare dei dubbi: è un’altra esemplificazione dell’ironia Giovannea.
Se il Battista non si considerava il nuovo Elia (v. 21) potrebbe aver pensato, sia pure per un tempo limitato, che tale fosse il ruolo di Gesù.
L’espressione «colui che deve venire», usata qui dal Battista, è riecheggiata da Gesù in Mt (11,10) dove viene virtualmente intesa come un titolo per designare Elia (cfr. Mal 3,1).
Se il Battista pensava che il Messia fosse Elia ritornato sulla terra, è facile capire come egli abbia potuto parlare di lui come di una persona che era esistita prima di lui. Altri esempi di ironia Giovannea: il dialogo con la samaritana sull’acqua viva (4,10); l’affermazione del gran sacerdote Caifa sull’espiazione vicaria di Cristo (11,50ss); etc.
v. 31 - «lo non lo conoscevo...»: Giovanni, benché sia parente di Cristo, nato solo 6 mesi prima, dice che non lo conosceva; fatto impossibile secondo l’informazione umana. In realtà Giovanni non conosceva il Nome e il Volto di Colui-che-viene, ma sa che deve anzitutto manifestarsi ad Israele, il popolo dell’alleanza; la sua attività battesimale aveva infatti il preciso scopo di preparare gli uomini alla venuta del Messia secondo le parole dell’angelo a Zaccaria suo padre (cfr. Lc 1,16-17).
v. 32 - «Ho visto lo Spirito»: Ecco la seconda affermazione.
Fu soltanto quando battezzò Gesù che il Battista lo riconobbe come il Messia.
Qui l’evangelista presuppone il racconto sinottico del battesimo di Gesù (cfr. Mc 1,9-11 e parall.) senza tuttavia parlarne.
È la manifestazione dello Spirito, «discendente quale colomba dal cielo», da presso Dio.
Tale visione per sé era riservata a Cristo stesso mentre gli si aprono i cieli dopo il battesimo (vedi Evangelo. Dom. del Battesimo del Signore), ma vi è ammesso anche il suo Precursore.
«scendere come una colomba»: quel "come" non indica l’aspetto fisico di una colomba (òs infatti non significa uguale a, come sarebbe kathos) ma il modo di discendere che non incute paura (come il modo di scendere di un uccello da preda), che anzi infonde fiducia ed è bello a vedersi (come il volo di una colomba).
«e posarsi su di lui»: i sinottici affermano che lo Spirito «viene in discesa su Gesù», mentre il Battista ne dà una preziosa e determinante precisazione: lo Spirito «restava sopra di lui».
Al Re messianico era promessa la dimora dello Spirito, la sua pienezza sapienzale; sul virgulto di Jesse infatti «riposa» lo Spirito di Dio (Is 11,2), in modo permanente, «poiché Dio sta con lui» (cfr. At 10,38).
v. 33 - «Io non lo conoscevo...»: la prima parte della testimonianza è il fatto della discesa dello Spirito; viene ora dato il significato, ma riprendendo il discorso come all’inizio «anch’io non lo conoscevo...».
È il modo di procedere a cerchi concentrici, sempre più larghi; tipico e caratteristico del parlare dei beduini del deserto. Il Battista fin dalla giovane età (cfr. Lc 1,80) aveva vissuto nel deserto, a contatto con i beduini, di cui aveva assunto lo stile e il modo di ragionare.
«L’uomo sul quale...»: il riconoscimento da parte del Battista è il risultato di una rivelazione divina; l’Inviante parlò a Giovanni comunicandogli questo segno distintivo decisivo: lo Spirito discende e si posa solo su quello, vi fa dimora.
Termina il battesimo di Giovanni il Precursore, lui diminuisce e scompare (cfr. 3,30).
Viene «il battesimo» di colui che è infinitamente maggiore di Giovanni.
I profeti dell’AT avevano preannunziato un’effusione dello spirito nell’era messianica (cfr. Gl 3,1-2; Is 32,15; Zc 12,10); il N.T. vede il compimento di questa profezia nella Pentecoste e nel battesimo cristiano (At 2,16-18; 10,45; Rm 5,5; Gal 4,6; etc).
v. 34 - «E io ho visto e ho reso testimonianza...»: Giovanni ancora testimonia «Questi è il Figlio di Dio»; si aggiunge una testimonianza esterna alla parola del Padre nel Battesimo sinottico.
Un problema filologico di un certo interesse concerne il valore temporale dei verbi "vedere", "rimanere" e "testimoniare" ai vv. 32.34. Al v. 32 troviamo il perfetto ho visto e l’aoristo rimase; al v. 34 incontriamo due perfetti: "ho visto", "ho reso testimonianza". Il tempo adoperato in questo passo sembra indicare un’azione passata; quindi Giovanni renderebbe testimonianza a Gesù dopo il suo battesimo. M.-É. Boismard tuttavia fa osservare che la frase "ho visto lo Spirito scendere... e rimase" è un semitismo per indicare che Giovanni ha visto lo Spirito santo scendere e rimanere su Gesù. Parimenti i perfetti ho visto e ho reso testimonianza del v. 34 hanno valore di presente, quindi il Battista rende testimonianza a ciò che vede, allorché parla. In tale ipotesi non è necessario porre un intervallo di tempo tra il battesimo di Gesù e la testimonianza di Giovanni.
In realtà l’aoristo "rimase" del v. 32 può avere valore di presente, come in analoghe espressioni semitizzanti. Nel magnificat per esempio, il presente "magnifica" è posto in parallelo sinonimico con l’aoristo "égalliasen", che si deve tradurre con "esulta" (Lc 1, 47). Parimenti l’aoristo "ègàpèsa" di Gv 15,9 sembra avere valore di presente, perché indica l’amore eterno del Padre per il Figlio e di Gesù per i suoi discepoli. Inoltre il valore presente del perfetto è assai frequente nel quarto evangelo; così per esempio l’espressione "tu lo hai visto" di Gv 9, 37 non può significare altro che: "tu lo vedi". Analogamente il perfetto "ho creduto" di Gv 11, 27 esprime la fede presente di Marta. Quindi anche in Gv 1,34 il perfetto si può rendere con il presente "rendo testimonianza". Parimenti i perfetti " tethéamai" di Gv 1,32 ed " heṓraka" di Gv 1,34 sembrano indicare l’azione presente del vedere. Il Battista vede lo Spirito santo scendere su Gesù, quando lo incontra per la prima volta, ossia quando gli rende testimonianza, perché il giorno prima non sapeva che Gesù fosse il Messia. Giovanni infatti dichiara per ben due volte "Io non lo conoscevo" (Gv 1, 31.33), non avendo ancora visto lo Spirito scendere e rimanere sopra la persona di Gesù.
«figlio di Dio»: Merita un’attenzione speciale la lezione "figlio di Dio / eletto di Dio" del v. 34." La tradizione manoscritta è nettamente a favore della variante figlio di Dio: i migliori codici riportano questa ‘locuzione, mentre la lezione eletto di Dio si trova nel Sinaitico (prima mano), in pochi minuscoli, in qualche versione antica e in alcuni padri latini.
Tuttavia la lezione "figlio di Dio" sembra più facile, perché conforme alla cristologia giovannea, mentre l’espressione "eletto di Dio", riferita a Gesù, non ricorre altrove negli scritti giovannei; sembra quindi quella originaria, ossia uscita dalla penna di Giovanni. In realtà non si può sospettare che la locuzione "eletto di Dio" sia stata introdotta dai copisti per una ragione di concordismo con i (sinottici, perché non solo costoro, ma neppure gli altri agiografi neotestamentari riferiscono mai il termine eletto a Gesù. Difatti l’espressione "eletto di Dio", applicata a Gesù Cristo, è un haphax legómenon neotestamentario. Perciò, benché la lettura di Gv 1,34 sia discussa, «la preferenza con tutta probabilità deve essere concessa alla lettura difficile e più arcaica, "eletto di Dio", invece che "figlio di Dio", che è interpretazione teologica posteriore».
La prospettiva dell’evangelo di Giovanni punta, come abbiamo detto precedentemente, non al fatto noto ormai da tutti, che Gesù fu battezzato di Spirito Santo, ma al particolare sinottico che Colui-che-viene battezza con Spirito Santo e Fuoco (cfr. Mt 3,11; Lc 3,16). L’evangelista vede il fatto annunciato in anticipo, poiché ormai avviene normalmente, dopo la Pentecoste (fede cristologica); è il modo anticipante del profeta, che è il Battista (fede messianica).
Dopo la testimonianza così densa e ripetuta di Giovanni il Battista, il Figlio di Dio comincia la sua opera; anzitutto chiama i discepoli alla divina vocazione ed alla sequela di lui (1,35-51). Chiama ancora oggi noi e per questo la Chiesa tutta ripete con gioia che: Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà (versetto responsorio del salmo). Con il Figlio andiamo al Padre, con il Figlio facciamo la Volontà sua.

II Colletta:

O Padre, che in Cristo,
agnello pasquale
e luce delle genti,
chiami tutti gli uomini
a formare il popolo della nuova alleanza,
conferma in noi la grazia del Battesimo
con la forza del tuo Spirito,
perché tutta la nostra vita
proclami il lieto annunzio dell’Evangelo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...





Abbazia Santa Maria di Pulsano
lunedì 13 gennaio 2014

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