omelia di don Angelo Casati per la 2ª Domenica del Tempo Ordinario secondo il rito romano


Is 49, 3-5
Sal 39
1Cor 1, 1-3
Gv 1, 29-34

Non è un brano facile, questo del Vangelo che oggi abbiamo ascoltato.

Siamo per l'evangelista Giovanni al secondo giorno della settimana; la settimana inaugurale di Gesù, la settimana della nuova creazione, che si concluderà con il sabato, il sabato di Cana di Galilea - l'acqua mutata in vino - il sabato in cui i discepoli videro la sua gloria. Nel secondo giorno della settimana ecco che il Battista presenta Gesù come l'Agnello di Dio, come l'uomo su cui ha visto scendere lo Spirito e rimanere, come il Figlio di Dio.

Gli esegeti discutono sul senso che queste parole avevano sulle labbra del Battista e sul senso che a queste parole diedero successivamente nel tempo l'evangelista Giovanni, i suoi lettori. Probabilmente, molto verosimilmente, il senso si era approfondito fin quasi a mettere sulle labbra del Battista il senso successivo.
Ora già questo è interessante e affascinante: si va di approfondimento in approfondimento. Le "stesse" parole evocano in ore diverse della vita, orizzonti diversi. Così dovrebbe essere, perché altrimenti le parole sono morte, sono case disabitate, sono formule vane.

Che senso ha, per esempio, la parola "padre" o "madre" prima che tu lo sia o dopo che tu sei diventato padre o madre? Che senso ha la parola "marito mio" "sposa mia" il giorno in cui ti sposi e poi lungo il corso degli anni? Così ogni parola, anche la parola "agnello", la parola "peccato", la parola "Figlio di Dio"... Quale viaggio fanno nel segreto le parole, che esprimono quello che tu hai afferrato dall'altro. E il Battista, il Battista stesso, riconosce questo avanzamento, questo crescere nella consapevolezza, anche su Gesù. Per ben due volte, in modo esplicito, afferma che non lo conosceva. Siamo solo noi che parliamo come se conoscessimo tutto. Anche di Dio!

"Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele".

E ancora: "Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo spirito è colui che battezza in Spirito Santo". "Io non lo conoscevo..."

Ma poi Giovanni il Battista ha interiorizzato i segni. I segni hanno trovato dimora dentro di lui. C'è stato un viaggio nella memoria, una ricerca di senso. Ed ecco il senso affiora: è "l'Agnello di Dio".

E' arrivato: direte voi. Ed è vero. Ma non ancora del tutto. O non come uno potrebbe dedurre dalle parole così come suonano. Ricordate un'altra pagina di Vangelo; è il Battista che dal carcere manda a chiedere: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?" (Mt. 11,2 ss). Vedete come le parole prendono luce e prendono ombra secondo gli accadimenti della vita, secondo le emozioni del cuore. Per questo è importante sostare sulle parole: e chiederne il senso.

Indugiamo brevemente sulle parole: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo"

Sulla bocca del Battista che parlava aramaico, questo titolo rivolto a Gesù era certamente "taljah", parola che significa "servo" e "agnello" nello stesso tempo.. Probabilmente il Battista l'ha intesa nel senso di "servo", servo di Dio, di Yahvè, quel servo di cui parlava oggi Isaia nella prima lettura.

Non l'aveva forse visto come un servo, un "servo di Dio" nelle acque?

Ma poi la parola "taljah" nel suo viaggio nella memoria andò a polarizzarsi sul significato di agnello: non era forse vero che la sentenza di morte a Gesù era stata pronunciata il 14 di Nisan, verso mezzogiorno, proprio nell'ora in cui si sgozzavano gli agnelli? Gesù dunque l'agnello sgozzato che toglie il peccato del mondo.

Il peccato del mondo: al singolare. Quasi una forza -capite- una forza che precede i nostri singoli peccati, una forza del male inquinante, invasiva che di fronte a certe manifestazioni allucinanti ti fa dire: ma come è possibile? Come è possibile che quattro ragazzi massacrino un amico, per dieci milioni, per andare a sciare? Dov'è questo pensiero corrotto che induce a ritenere che un volto conti meno di dieci milioni, meno di una sciata sulle nevi? O, se volete, questo pensiero strisciante, il peccato del mondo, per cui conto "io", conta il mio volto; il volto degli altri nemmeno lo guardo? E forse non basta denunciare per togliere il peccato del mondo!

Mi fa sempre molto pensare il duplice significato del verbo "tollere" in latino: togliere e portare, togliere e caricarsi, Gesù ha tolto, caricandosi sulle spalle il peso. Non siamo molto credibili quando denunciamo, ma i pesi non sappiamo sfiorarli -dice il Vangelo- nemmeno con un dito. Caricarsi del peso, per toglierlo.

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