Card Angelo Scola"Persone nuove in Cristo Gesù"



Corresponsabili della gioia di vivere
Milano, 16 febbraio 2014
aula Magna Università Cattolica del Sacro Cuore
Carissimi amici, sono grato di poter intervenire a questa XV Assemblea Ordinaria dell’Azione Cattolica Ambrosiana in cui avverrà il rinnovo delle cariche.
Come la professoressa Valentina Soncini ha avuto modo di dire in altre occasioni, dall’inizio del mio ministero pastorale a Milano ho voluto intraprendere un dialogo con l’Associazione nell’orizzonte della sua massima valorizzazione al servizio della comunione e della missione della Chiesa per il bene di tutta la famiglia umana. È un dialogo che prosegue per me quanto iniziato sia a Grosseto che a Venezia sulla scia di un’intuizione. L’Azione Cattolica
è, a mio giudizio, una preziosa forma associativa che, nel suo particolare e costitutivo legame con il Vescovo, vive e si sviluppa al servizio dell’unità e della comunione nella Chiesa locale. La Bozza di Documento finale, il volume Corresponsabilità. La scelta di AC per la formazione dei laici, che ho avuto modo di leggere non solo confermano ma innestano la vostra associazione nel delicato frangente storico che stiamo attraversando.
Vorrei oggi, semplicemente, riflettere con voi sul titolo di questa XV Assemblea Ordinaria: Persone nuove in Cristo Gesù. Corresponsabili della gioia di vivere. Si tratta, a mio modo di vedere, di una piccola sintesi di cosa sia la Chiesa stessa e, per questo motivo, mi sembra estremamente significativa.

1. Persone nuove in Cristo Gesù
La prima parte del titolo – Persone nuove in Cristo Gesù – dice nello stesso tempo l’origine della Chiesa e il suo avvenire nei fedeli. Essa infatti, per esprimerci con la celebre formula di Romano Guardini, «deve rinascere nelle anime». Con parole di oggi potremmo dire che essa deve avvenire nelle persone.
L’espressione in Cristo Gesù è di forte sapore conciliare: non dimentichiamo che il celeberrimo Numero 1 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium recita: «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano». Fa riferimento all’origine permanente della nostra esistenza cristiana. Quest’origine, e mi preme molto sottolinearlo, non è un fatto da relegare nel passato e a cui ogni tanto rivolgere un devoto pensiero; non è la fonte di un’ispirazione per il nostro agire. No. L’affermazione in Cristo Gesù dice l’origine sempre presente del nostro essere cristiano. Quell’origine è Gesù stesso perennemente elargito ai Suoi nell’Eucaristia. «L’Eucaristia – infatti, insegna Benedetto XVI – è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo» (Sacramentum caritatis 14). In questo senso, il radicamento in Cristo costituisce la priorità in ogni momento e in ogni iniziativa della vita dell’associazione. Non si dà Azione Cattolica al di fuori di questo in Cristo Gesù, e questo perché non si dà esistenza cristiana ed ecclesiale che non sia in forza di questo radicamento nel Signore che lo Spirito opera continuamente nella storia degli uomini. Ho molto apprezzato in questo senso la regola di vita del laico adulto: “Figli dello stesso Padre”.
Ma al riferimento all’origine in Cristo Gesù il titolo antepone l’espressione Persone nuove. Come mai? Non si tratta, ovviamente, di far dipendere l’origine dal frutto, ma piuttosto di sottolineare che l’origine si compie proprio nel frutto. Infatti, la fecondità del dono di Sé che Cristo fa eucaristicamente alla Chiesa, in ogni istante della storia, è documentata dal fiorire dell’uomo nuovo che è il cristiano. Si tratta di quella novità di vita che scaturisce dalla Pasqua del Signore. I fedeli cristiani, infatti, sono il volto del Risorto. Dice Papa Francesco: «Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso una catena ininterrotta di testimo­nianze che arriva a noi il volto di Gesù» (Lumen fidei 38). Non si dà annuncio del Vangelo senza il suo farsi concretamente presente nella storia attraverso la novità di vita dei testimoni. Per questo il nostro tempo ha più che mai bisogno di testimoni che assumano e vivano il presente, in tutte le sue dimensioni ed espressioni, e, in questo modo, incontrino tutti i nostri fratelli uomini. Così, nella Lettera Pastorale Il campo è il mondo, ho voluto sottolineare che «non c’è niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo. Tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo inviati. E questo perché ciascuno di noi, in quanto segnato dalle situazioni della vita comune, è nel mondo. Siamo, ci ha ricordato Papa Francesco, “chiamati a promuovere la cultura dell’incontro” (Rio de Janeiro, 27 luglio 2013). Non dobbiamo pertanto costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani. È Cristo stesso a porre la sua Chiesa ed i figli del Regno nel campo reale delle circostanze comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne» (Il campo è il mondo, 4a).

2. Corresponsabili della gioia di vivere
Si delineano, in questo modo, i contorni che danno ragione della seconda parte del titolo dell’odierna Assemblea: corresponsabili della gioia di vivere. L’espressione scelta richiama il paolino «non padroni della vostra fede, ma collaboratori della vostra gioia» (cf 2Cor 1,24). Il termine corresponsabilità è, a ben vedere, un sinonimo di missione. Esso dice, contemporaneamente, il nostro essenziale essere insieme (co-) e l’esserlo nella nostra risposta (responsabili) al Signore che ci precede e ci chiama. Questa responsabilità o missione è, nello stesso tempo, comunitaria e personale, perché viene assunta da ogni singolo fedele secondo la fisionomia propria dei rapporti, delle circostanze e delle situazioni che intessono la trama della sua esistenza. Da questo deriva l’essenzialità delle aggregazioni associative per poter vivere al meglio, nonostante i nostri limiti, l’appartenenza a Cristo nella società odierna. A questo proposito non mi stanco di richiamare un “fondamentale” dell’esperienza cristiana: tutta la vita è vocazione. Se in ogni circostanza e in ogni rapporto Dio mi chiama a rispondere alla sua chiamata, allora l’esclamazione di Violaine, all’inizio de L’Annuncio a Maria di Paul Claudel: “Come è bella la vita: ciò che desidero accade”, alla fine del dramma può trasformarsi così: “Come è bella la vita: quello che accade mi dice ciò che desidero”. Qui raggiungo il tema a voi assai caro della “formazione di base”.
Il contenuto di questa responsabilità o missione non è altro che la gioia di vivere, cioè, quella gioia del Vangelo che Papa Francesco annuncia incessantemente: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono libera­ti dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii gaudium 1). Perché la gioia del Vangelo è la gioia di vivere? Non possiamo rispondere che con le parole di nostro padre Ambrogio: «Cristo è nostro, perché è la vita» (Esposizione del Vangelo secondo Luca VII, 246).
Questa gioia di vivere trova nei quattro criteri di Evangelii gaudium ripresi dalla Bozza di Documento finale (il tempo è superiore allo spazio, EG 223; il tutto è superiore alla parte, EG 235; l’unità prevale sul conflitto, EG 265-267; la realtà è superiore all’idea, EG 232) una via maestra di compiuta comunicazione a tutti i fratelli nella fede e a tutte le donne e uomini di oggi. Nella Lettera pastorale “Il campo è il mondo” abbiamo richiamato con forza la pluriformità nell’unità. È il criterio con cui il Sinodo straordinario del 1985, a venti anni dal termine del Concilio Vaticano II, ha identificato il principio di attuazione e di verifica della comunione nella Chiesa. Vi esorto con forza a documentare che questo è un aspetto centrale del carisma dell’Azione Cattolica.

3. I fedeli laici, testimoni del Risorto
Carissimi, nel rinnovare il mio sostegno a tutti i membri dell’Azione Cattolica e il mio grazie a coloro che svolgono una responsabilità particolare nella guida dell’Associazione, voglio concludere citando ancora una volta la costituzione Lumen gentium, il cui insegnamento deve essere sempre messo al centro della vostra riflessione. Dice in conclusione al capitolo sui fedeli laici: «Ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo» (LG 38). È questo che l’Arcivescovo si aspetta da tutti voi. Ma, soprattutto, è questo che i nostri fratelli uomini attendono dai cristiani. Grazie.

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