Fr. Massimo Rossi "Non potete servire Dio e la ricchezza."

Commento su Matteo 6,24-34
VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/03/2014)
Vangelo: Mt 6,24-34
Domenica scorsa, abbiamo riflettuto insieme sul valore sommo del perdono per la fede cristiana.
Oggi affrontiamo una questione non meno importante: l'abbandono alla provvidenza, così come si esprime la rubrica del paragrafo 6, dal versetto 25 al 34. Il versetto 24 conclude invece la questione della ricchezza: non che l'argomento-soldi sia del tutto estraneo alla fiducia nella provvidenza, intendiamoci; diciamo che il rapporto tra denaro e fiducia in Dio è di proporzionalità inversa: il potere economico può allontanare da Dio. La ricchezza può suscitare un pericoloso senso di autosufficienza, sintomo di orgoglio e dunque intrinsecamente contrario alla fede: se pensiamo ad Adamo ed Eva, con tutto quel ben di Dio messo a loro disposizione dal Creatore, non era
difficile montare in superbia e illudersi di non aver bisogno di niente altro, tantomeno di Dio...
La riflessione sul valore della ricchezza apre inevitabilmente a quella sull'abbandono in Dio. La sentenza che inaugura la pagina odierna di Matteo ne è una sintesi mirabile: "Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza.".
Preoccuparsi (troppo) per la propria vita, per il proprio corpo, preoccuparsi più del cibo e del vestito, denotano un investimento affettivo su due dimensioni senza dubbio importanti: tuttavia, in prospettiva cristiana, c'è qualcosa di ben più importante, che l'integrità della vita fisica e l'attenzione ai beni materiali, quali il vestito e simili... Tra l'investire su sé stessi e l'investire su Dio, è molto meglio investire su Dio e sul suo Regno.
Tutto ciò che è umano è segnato dalla fragilità e dall'incertezza; soltanto Dio può dare sicurezza, perché solo Lui, solo Dio è forte, onnipotente, infinito. Se credo in Dio, (se) imparo a fidarmi di Lui e, idandomi, mi affido, tutto diventa possibile: non intendo dire che, la fede mi mette le ali - mica è Red Bull!... -. Parliamo di gestione ordinaria della vita, con tutti i piccoli/grandi problemi che affollano di pensieri le nostre notti (insonni), mettono a dura prova le relazioni, riducono l'autostima, etc., etc... Credere in Dio non è incoscienza, non è fideismo, non è alienazione, non significa trascurare gli affari della terra in funzione di quelli del Cielo...
Al contrario, credere nel Dio del Vangelo significa avere una marcia in più, per affrontare l'avventura della vita, con i piedi ben piantati in terra!
Vi confesso che ho scritto questa omelia il giorno prima di entrare in ospedale per affrontare un piccolo intervento chirurgico: per uno come me, pieno di ansie e di incertezze - ebbene sì, lo ammetto, anch'io faccio fatica a fidarmi di Dio...e dei medici -, scrivere una riflessione sull'abbandono alla provvidenza divina, in un momento di panico totale, è stato parecchio difficile.
Presso il nostro Centro Culturale stiamo parlando di speranza e lo faremo per tutto l'anno.
La speranza e la fiducia sono due modi diversi di dire la stessa cosa: speranza cristiana e fiducia nel Regno di Dio arricchiscono in senso cristiano il modo positivo di guardare il mondo - persone e cose -, cogliendone tutto il valore, le potenzialità reali, senza enfasi, ma anche senza ripiegamenti meschini e autoreferenziali.
Pensiamo forse che Dio Padre non sappia di che cosa abbiamo bisogno? Dopotutto ci ha fatti Lui! Un buon rapporto con i beni della terra e con i nostri simili può essere - dico ‘può essere' - indizio di fede, lo dice il Vangelo: "Non preoccupatevi di che cosa mangerete, di che cosa vestirete: se ne preoccupano i pagani.".
Il discorso è delicato, perché intercetta le dinamiche psico-affettive della persona, le quali obbediscono a leggi proprie, ma che condizionano la genesi psicologica della stessa fede, il suo sviluppo e le condotte religiose che ne conseguono.
Provo a spiegarmi: la grande sfida di un'affettività matura è stabilire la giusta distanza nei rapporti interpersonali, ma anche (nei rapporti) con i beni materiali. È il segreto di una buona vita di relazione; ma è anche il segreto della maturità spirituale.
La fiducia incoraggia ad avvicinarsi; la diffidenza tiene lontani...
La vita intera è ipotecata dalla consapevolezza che non saremo mai in grado di collocarci a distanza giusta da Dio; anzi, è proprio la distanza che ci impedisce di goderne come vorremmo! L'esempio di Mosè davanti al roveto ardente (cfr. Es 3), ma anche quello di Maria Maddalena il giorno della Risurrezione del Signore (cfr. Gv 20), ci insegnano che l'uomo di fede non può resistere lontano da Dio; pena il rischio di smarrirlo, e di smarrirsi. Questo rischio - perdere Dio e perdere sé stessi - genera paura, in tutte le sue declinazioni, dalla inquietudine che attiva la ricerca, al panico che, invece, la blocca, irrigidisce i pensieri e i movimenti...
"Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera..." (cfr. Gv 16,12ss.): Gesù rileva che i Dodici non erano pronti ad ascoltare...come andava a finire la storia. Anche i Dodici sono tenuti a distanza da Gesù dal mistero della sua Passione e da ciò che ne sarebbe scaturito.
Come gli apostoli, abbiamo bisogno di essere continuamente confermati nella fede. Anche perché la fede chiede di essere annunciata, come Salvezza, a coloro che brancolano nel buio più di noi e sentono venir meno la terra sotto i piedi...più di noi.
Ma non potremo annunciare alcuna salvezza, se non ne saremo convinti noi per primi!...e non ne saremo convinti, se non ne avremo fatto esperienza personale diretta.
La prima lettura proclama che l'amore di Dio per noi è più forte di quello di una madre per il suo bambino; concedetemi una nota tenera, spero di non scadere nel patetico: quando fui ordinato prete, passai alcuni mesi di crisi - non l'avevo messo in conto! -: ebbene, un aiuto decisivo per uscire dalla crisi fu ritornare indietro con la memoria fino a quando, credo, avevo più o meno tre anni; mi ricordai, come in un sogno, di trovarmi seduto sulle gambe di mia madre, che mi cullava cantandomi una filastrocca in dialetto piemontese, la stessa che probabilmente sua madre le cantava quando lei aveva tre anni... Ecco, quando sento Isaia descrivere Dio nei termini che abbiamo sentito, io ritorno a quella sensazione. È una bella sensazione e mi fa bene riviverla.
Se Dio è ancora meglio...possiamo stare tranquilli.


"Oggi più che mai si tratta di reimparare
e di esercitare la grammatica umana elementare: l'essere uomo e donna,
l'essere con l'altro, l'amare e l'essere amato..."
Enzo Bianchi

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