Antonio Riboldi"Io sono venuto perché abbiano la Vita"

IV Domenica di Pasqua (Anno A)
Mi è cara questa domenica – detta del Buon Pastore – perché è sempre stata la festa di noi sacerdoti, pastori di un gregge che la Chiesa affida alle nostre cure. È la festa di ‘chi è di Gesù’, sia pure sotto le nostre povere vesti che, a volte, non riescono neppure a nascondere le tante manchevolezze, tipiche dell’essere poveri uomini, ma con una missione incredibile.

Non per nostra scelta – ripeto – ma per un’incomprensibile ‘scelta di Dio’, siamo chiamati a fare da guida a comunità che, come sempre, per tante ragioni, a volte sembra ci rifiutino o, ancor peggio, facendosi convincere dai ‘falsi maestri’ del mondo (che ci sono sempre stati e sempre ci saranno) li scelgono come
‘pastori’, anche se poi altro non sono che ‘mercenari’, che ‘rubano’ le pecore del gregge. A questi ‘mercenari’ – dice Gesù – ‘non importa nulla del gregge’, ossia che fine fanno le persone che ‘usano’.

Quando ero parroco in Sicilia, era abitudine, come segno, donare un agnello al proprio ‘pastore’. Ricordava a tutti, a me in particolare, il compito di custodire, amare, nutrire il gregge affidatomi, a qualunque costo, e ai fedeli, il vincolo di fiducia nel farsi guidare.

Quando Gesù si definì ‘pastore’, scelse un simbolo che la dice lunga sull’umiltà e sulla dolcezza Sua: un ‘pastore’ che si è fatto immolare sulla croce ‘come agnello’, segno del grande amore capace di dare la vita ‘per le sue pecorelle’.

Il grande potere del pastore è tutto qui: imitare l’amore di Gesù nell’umiltà e nella dedizione, continuando a donarLo nell’Eucarestia, nel sacramento della Penitenza e nella Parola.

Non siamo ‘funzionari pagati’ per un ufficio, ma siamo i grandi amici di tutti, senza distinzioni, intendendo per amicizia il dono rispettoso dell’Amore, il dono di Cristo.

Siamo in tempi in cui i mass-media si divertono nel toglierci la nostra vera dignità, cercando le nostre debolezze e mai facendo apparire il grande bene che offriamo. Ma se qualcuno sbaglia, sono tanti quelli che offrono disinteressatamente la vita a Cristo e ai fratelli!

Basterebbe fare un giro per le tante parrocchie o comunità e ci si imbatterebbe in sacerdoti o vescovi che sono davvero ‘pastori buoni’, nelle cui mani si può mettere la propria vita, come fossero le mani di Dio.

Non è certamente facile essere ‘buoni pastori’: richiede una seria volontà di santità e una totale disponibilità a farsi carico di tanti sacrifici, per mettersi sulle spalle tante pecore smarrite.

È vero che un prete quando parla, quando celebra è Cristo tra noi, e quindi non può, come il Maestro, sfuggire alla sofferenza, ma deve continuare con infinita passione ad amare coloro che Dio gli ha affidato. E quando si incontra la sofferenza o l’incomprensione, il meditare le parole che Pietro scrisse nella sua I lettera, diventa un vero viatico per lui, come per ogni credente a cui sono rivolte oggi.

 “Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia … dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”. (1 Pietro, 2, 20-25)

C’è – ci deve essere – una differenza tra il mondo e noi, che crediamo in Cristo, nel presentarci e stare con gli uomini. Il mondo ricorre sempre a tecniche e strategie, spot pubblicitari ed esibizioni spettacolari, noi dobbiamo abbracciare l’umiltà del servizio che, quando ama, non fa chiasso. Anzi.

Forse qualcuno è ancora tentato dalla cosiddetta ‘necessità di dare visibilità’ alla fede: manifestazioni pubblicizzate, folle oceaniche, presunti miracoli che attirano le masse, turismo religioso, liturgie che facciano notizia.

Ma può la ‘visibilità’ accordarsi con il Dio-impotente, che si è rivelato nel Cristo crocifisso?

Gesù non è tema da ‘intrattenimento’, bensì una persona la cui visibilità è data dalla testimonianza di quanti lo seguono. Ci sono preti, vescovi, cristiani che senza apparire nei mass-media, costruiscono ogni giorno comunione tra loro e speranza nella propria gente.

Anche pensando a loro, ascoltiamo con gioia la parola di Gesù, ‘il Buon Pastore’:

“In verità in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce … Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv. 10, 1-10)

Questo è il meraviglioso ritratto che Gesù fa di sé e che dovrebbe essere il modello da vivere per chi di noi crede in Lui e soprattutto se è stato chiamato ad ‘essere pastore’.

A volte ci accusano di fare del nostro servizio, tutto e solo amore, una ricerca di ‘potere’.

Affermava don Tonino Bello: “A noi non si addicono i segni del potere. Ma solo il potere dei segni. Non tocca a noi cioè, con il nostro impegno di carità, risolvere il problema della casa, della disoccupazione, della ingiustizia planetaria. Tocca a noi però, condividendo la sorte degli uomini, porre segni di inversione di marcia ogni volta che il mondo assolutizza se stesso. Rinunciamo pure ai segni del potere. Non convertono alcuno. Ma non rinunciamo al potere dei segni”.

Altre volte notano, criticando, le nostre amarezze e difficoltà.

E Papa Francesco nella Messa del Crisma, del Giovedì Santo, ha ricordato ai sacerdoti che “anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata”.

Altri ci considerano illusi, votati al fallimento … ma Paolo VI, in un’omelia del 27 giugno 1975, esortava i sacerdoti: “Levate il vostro sguardo … Il mondo ha bisogno di voi! Il mondo vi attende! Anche nel grido ostile ch’esso lancia talora verso di voi, il mondo denuncia una sua fame di verità, di giustizia, di rinnovamento che il vostro ministero saprà amministrare. Sappiate ascoltare il gemito del povero, la voce candida dei bambini, il grido pensoso della gioventù, il lamento doloroso del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente e la critica del pensatore. Non abbiate mai paura! – Ha ripetuto il Signore. Il Signore è con voi!”.

Che Dio ci faccia davvero, come Gesù, ‘buoni’, interamente ‘buoni’, tanto amici del gregge da dare tutto di noi, anche la vita, come sanno fare alcuni, sempre ricordando le parole profetiche di Papa Francesco: ‘Il sacerdote è una persona molto piccola: l’incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze; perciò la nostra preghiera di difesa contro ogni insidia del Maligno è la preghiera di nostra Madre: sono sacerdote perché Lui ha guardato con bontà la mia piccolezza (cfr Lc 1,48).

E concludiamo riflettendo sulle parole di S. Pietro: “Esorto voi presbiteri, io parimenti presbitero e testimone dei patimenti di Cristo e chiamato a far parte di quella gloria che sarà un giorno manifestata, siate pastori del gregge di Dio, che da voi dipende, governandolo non forzatamente, ma con bontà come vuole Dio; non per amore di vile guadagno, ma con animo volenteroso; non come dominatori dell’eredità del Signore, ma diventati sinceramente modelli del gregge”. (1 Pietro 5. 1-4)

Vorrei fare festa con quanti sacerdoti e vescovi, oggi, sono pastori del gregge.

E vorrei esortare, quanti mi sono vicini, a pregare per me e per tutti i pastori, non solo, ma a compatirci nelle debolezze e vivere con noi la passione di Cristo per le anime, a cominciare dai più deboli.

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