Commento a cura di don Paolo Ricciardi"Santissimo Corpo e Sangue di Cristo"

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )
Oggi, in questa prima domenica d'estate, con il sole che splende e riscalda e tanta gente che si mette "in processione" verso il mare e la
spiaggia... noi celebriamo il vero "Sole" - come lo chiamava Santa Caterina da Siena - che è l'Eucaristia, il Corpo e il Sangue di Cristo.
E, mentre in città o nei paesi si preparano le processioni eucaristiche, le tradizionali "infiorate" o i momenti di adorazione, per qualcuno forse questa è una Messa di "arrivederci" a settembre.
Già, l'estate a volte è un po' così... Ma forse oggi è l'occasione, con la Solennità del Corpus Domini, di ricordarci che questo nostro ritrovarci qui, non è per un dovere da compiere o per un precetto da assolvere, ma per la gioia di un Incontro che ci rinnova e di cui non possiamo fare a meno, anche d'estate. E sarà bello, in montagna, o al mare, dentro le chiese di paese o all'aperto, sentirci domenica dopo domenica in comunione con Dio e con tutti i cristiani del mondo.
Celebriamo l'eucaristia ogni giorno ma oggi, in questo giorno, noi siamo chiamati anche a "meditare" l'Eucaristia. In tutte le cose infatti, anche quelle che riguardano Dio, noi uomini cadiamo spesso nell'abitudine e, di conseguenza, rischiamo di perdere lo stupore davanti ai doni più grandi. Ad ogni Messa, invece, dovremmo vivere l'incontro con Dio non come la ripetizione di gesti consumati dalla ritualità, ma a riviverli con uno spirito nuovo, come se fosse la prima volta. Mi colpisce sempre trovare in qualche vecchia sacrestia, appeso allea parete, un'esortazione rivolta al sacerdote che potrebbe valere per tutti: "Celebra questa Messa come se fosse la tua Prima Messa, la tua Ultima Messa, la tua Unica Messa".
Purtroppo, dobbiamo riconoscerlo, siamo lontani da questo stupore. Molto lontani.
Come sono le nostre eucaristie? Se uno che non crede entrasse in qualcuna delle nostre chiese, quale impressione ne avrebbe? Rischierebbe forse di confermare le ragioni della sua mancanza di fede.
Quale distanza tra la nostra fede e quella dei 49 cristiani di Abitene, una località dell'odierna Tunisia, che nell'anno 307 subirono il martirio pur di non obbedire ad un editto dell'imperatore Diocleziano che proibiva le riunioni di culto anche nelle case private. Negli Atti processuali giunti sino a noi si legge che al giudice che li interrogava essi risposero "sine dominico non possumus". Parole latine, dalla forte carica espressiva, come dire che un cristiano non può vivere senza partecipare all'eucaristia nel giorno del Signore.
Oggi invece ci sono coloro che amano definirsi "credenti non praticanti", perché probabilmente non sono mai stati affascinati da qualcuno o da qualcosa che dicesse loro la bellezza e l'importanza dell'eucaristia. Al contrario, ci sono tanti "praticanti non credenti", ossia gente che segue tutte le liturgie, ma non vive un vero incontro con il Signore!
Andando a cercare la ragione di questa "mancanza di stupore" troviamo una risposta attraverso le letture di questa Messa, che ci ricordano che l'eucaristia è stata preparata da una serie di interventi di Dio.
Il primo intervento - raccontato dal Deuteronomio - ci riporta al tempo in cui il popolo di Israele, uscito dalla schiavitù dell'Egitto, soffriva la fame attraversando le regioni inospitali del deserto. "Non dimenticare - ricorda Mosè al suo popolo - che il Signore Dio tuo nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri".
Il secondo intervento, richiamato dal vangelo, è anch'esso collegato con l'esperienza del deserto. Gesù pronuncia il discorso sul pane della vita dopo aver moltiplicato i pani per una moltitudine di gente al limite delle forze in un luogo che non offriva risorse tali da bastare alla fame di tutti. Il terzo intervento - raccontato oggi con il più antico testo dell'istituzione dell'eucaristia, quello di Paolo ai Corinzi - è quello dell'ultima cena di cui si fa memoria in ogni celebrazione eucaristica. Anche lì, attorno a quel pane ci sono uomini turbati, che non riescono ancora a capire pienamente il senso di quel sacrificio, e che, di lì a poco, abbandoneranno il loro Maestro senza farsi troppi problemi.
Deserto, fame, pane... Per capire l'eucaristia bisogna che questi tre elementi siano annodati in un intreccio inscindibile. Non capirai mai l'eucaristia se non senti che la vita è un camminare verso una libertà definitiva, da conquistare attraverso la pazienza di tante prove, come in un deserto. Non capirai l'eucaristia se prima non avrai conosciuto il morso della fame, che può essere fame di tante cose, ma sempre e comunque legata a un senso della propria insufficienza. Se veniamo alla Messa senza la coscienza di essere nomadi, pellegrini, in cammino verso una patria lontana; se non siamo un po' tormentati dalla fame di cose grandi e divine, al di fuori dell'ordine abituale della nostra mediocrità, il dono dell'eucaristia non verrà mai compreso.
Oggi c'è il rischio ricorrente di non sentire più fame, perché crediamo di avere tutto.
Per questo si può capire la preghiera suggerita dall'abbé Pierre: "Signore, date il pane a quelli che hanno fame e date fame a quelli che hanno il pane".
Al momento della comunione, nel gesto della mano che si tende a ricevere il pane eucaristico, ciascuno dovrebbe riconoscere la propria inesistenza se non ci fosse il dono di Colui che è la vita.
E se c'è la fame, allora c'è anche il pane.
Sì, perché l'eucaristia è anzitutto nutrimento, è un mangiare, assimilare, nutrirsi, vivere del corpo e del sangue di Cristo. Ma come è possibile che avvenga questo?
Si può capire qualcosa solo entrando in una dinamica d'amore. La mamma che dice al suo bambino: "Ti mangerei di baci", sa bene che è solo un'immagine, segno di un amore talmente grande che vorrebbe una donazione totale. Lei, come ogni mamma, è l'unica a capire - per l'esperienza della gravidanza e dell'allattamento - cosa significhi dare da mangiare se stessa, eppure sa che non potrà mai "farsi mangiare" totalmente.
Anche l'amore più grande come quello di un uomo e di una donna che si vogliono bene anima e corpo, non potrà mai essere una donazione totale. Pure nell'unione più intima, si rimane sempre esterni gli uni agli altri.
Ora questo limite che è nostro, non esiste per il Signore.
Perciò il Cristo risorto, non più soggetto alle limitazioni corporali, diventa carne della nostra carne, vita di Dio che circola dentro le fibre della nostra esistenza.
Possiamo avere qualche segno che questo è vero anche per noi? Sono tanti i segni rivelatori della vita del Cristo in noi. L'eucaristia - che significa "rendimento di grazie" - è viva e attiva quando, per esempio, desta in noi il fervore della gratitudine perché sappiamo vedere tutto nel segno della benedizione.
Un altro segno della pienezza del dono eucaristico in noi è il germinare non di un amore qualunque ma di un amore come quello di Cristo: generoso, gratuito, totale, fino al sacrificio.
Se ricevi con fede la comunione, ti accorgi di voler amare di più per "fare comunione" con gli altri, per recuperare nell'amore anche le situazioni difficili, quelle che forse prima avevi giudicato impossibili.
E senti il bisogno di lavorare per creare quella fraternità che, come abbiamo appreso dalla seconda lettura, nasce dalla condivisione dell'unico pane.
C'è anche un altro segno.
Noi entriamo in pienezza nella pienezza dell'eucaristia quando sentiamo nascere in noi l'attesa di un mondo nuovo promesso con le parole stesse dell'ultima cena. Saremmo veramente felici se noi vivessimo ogni eucaristia come una sosta di gente nomade, come una tappa del nostro esodo. Qui troviamo il cibo per la nostra fame e troviamo la fame di qualcosa di più grande, di ultimo, di definitivo. A questo modo, di eucaristia in eucaristia, noi camminiamo verso quel punto del nostro futuro in cui per sempre troveremo la nostra dimora in Dio e Dio farà dimora in noi.
E sarà l'eucaristia perenne e perfetta.

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