Alberto Vianello"Uno sguardo che basta la salvezza"
Letture: Ez 34,11-16; Rm 5,5-11; Gv 3,13-17
Monastero Marango Caorle (Ve)
Come ogni anno, nella terza domenica di luglio, la Chiesa di Venezia celebra la festa del SS. Redentore, ricordando la grazia della liberazione dalla peste. La memoria storica si fa alimento della fede.
Talvolta piangiamo troppo sugli anni che passano e
sulla giovinezza ormai lontana. Conoscere quanto è buono il Signore, che tante volte ci ha accarezzati con la sua grazia, è, invece, il privilegio di chi ha una certa età. Desidero godere veramente di questo privilegio, e diventarne il testimone.
E in questo domenica lo viviamo non come singoli, ma come comunità credente, che guarda al Datore di ogni grazia e lo chiama «Redentore», Colui che si prende cura del popolo.
La prima Lettura rivela proprio l'azione in prima persona da parte del Signore in favore di Israele: Lui è l'unico e vero Pastore del gregge del suo popolo.
Nel popolo del Signore, ogni ministero, funzione, compito, incarico, autorità ecc. non afferma un valore e un valere sugli altri, perché vuol dire solo essere prestanome del Pastore vero della Chiesa e dell'umanità. Affermare non solo se stessi, ma anche semplicemente la propria mansione, impedisce la vera relazione con il gregge, perché non rinvia immediatamente al Signore, che è Colui che veramente opera a favore del popolo.
Se nella prima parte del brano si descrivono le azioni del Signore per far tornare Israele alla dignità di gregge del Signore, unendolo dalla dispersione e facendo trovare pascolo, nella seconda parte l'attenzione del Pastore è tutta per la situazione di ogni pecora, a cominciare da quelle più bisognose. La cura del Signore non è generalizzata, ma è attenta alla realtà, sapendo cogliere il bisogno e la capacità di ciascuno: indica vera relazione personale. Siamo Chiesa perché ciascuno è chiamato per nome e curato nella sua dignità dal Signore: è perché ciascuno vale immensamente agli occhi di Dio che poi anche la Chiesa ha un suo valore, non l’incontrario.
Nella seconda Lettura, questo atteggiamento favorevole di Dio viene ricondotto alla fonte: il suo amore nei confronti dell'uomo. Il bello di questo annuncio sta nel dire che questo amore «è stato riversato nei nostri cuori»: la nostra vita è fatta come un recipiente capace di contenere la cosa più grande e più bella, l'amore di Dio. Indica così un amore non solo personale, ma anche concreto.
Così il seguito del brano è un crescendo a far vedere il cuore riempito di vita perché pieno di Spirito Santo (v. 5). Cristo è morto per noi, deboli peccatori: questo è dimostrazione d'amore vero (v. 8). Liberati così dalla condanna del peccato, siamo riconciliati con Dio (v. 10): ci è restituito il Paradiso come luogo d'incontro e dialogo con il Creatore, invece che luogo di fuga e nascondimento, come per Adamo dopo il peccato.
Ma non basta: la Pasqua di Cristo ci ha fatto toccare la sua vita morte e risorta (v. 10), come i discepoli hanno toccato le piaghe del Risorto: è l'umanità più bella, che più parla alla nostra umanità. Infine, dice Paolo, questo è il nostro vero «vanto» (v. 11): non la Legge e la sua osservanza; tutto il senso del nostro essere e del nostro cammino trova in Dio la sua realizzazione e la sua pienezza.
Nel brano del Vangelo, Gesù rivela, con profonda coscienza di sé e della sua missione - unite alla più grande umiltà -, che non potremo mai fare senza di Lui, nella relazione fra l'uomo e Dio. La vita eterna la si ha solo nel Figlio dell'uomo «innalzato», sulla croce e verso il Padre (vv. 14-15). Il «Figlio unigenito» si riconosce tale, in rapporto al Padre, riconoscendosi come il dono più grande che Dio poteva fare al mondo per dire tutto il suo amore che non ha confini (cfr. Ef 3,17-19). Perciò, è credendo nel Figlio che si riceve la vera vita nella relazione con Dio (v. 16): perché credere vuol dire credere all'amore di Dio in noi (cfr. 1Gv 4,16b). Perciò il Figlio è stato mandato nel mondo perché, in ogni momento e in ogni situazione, un semplice sguardo a Lui, e a Lui solo, procuri a qualsiasi uomo e a qualsiasi vita la salvezza.
Alberto Vianello
Monastero Marango Caorle (Ve)
Come ogni anno, nella terza domenica di luglio, la Chiesa di Venezia celebra la festa del SS. Redentore, ricordando la grazia della liberazione dalla peste. La memoria storica si fa alimento della fede.
Talvolta piangiamo troppo sugli anni che passano e
sulla giovinezza ormai lontana. Conoscere quanto è buono il Signore, che tante volte ci ha accarezzati con la sua grazia, è, invece, il privilegio di chi ha una certa età. Desidero godere veramente di questo privilegio, e diventarne il testimone.
E in questo domenica lo viviamo non come singoli, ma come comunità credente, che guarda al Datore di ogni grazia e lo chiama «Redentore», Colui che si prende cura del popolo.
La prima Lettura rivela proprio l'azione in prima persona da parte del Signore in favore di Israele: Lui è l'unico e vero Pastore del gregge del suo popolo.
Nel popolo del Signore, ogni ministero, funzione, compito, incarico, autorità ecc. non afferma un valore e un valere sugli altri, perché vuol dire solo essere prestanome del Pastore vero della Chiesa e dell'umanità. Affermare non solo se stessi, ma anche semplicemente la propria mansione, impedisce la vera relazione con il gregge, perché non rinvia immediatamente al Signore, che è Colui che veramente opera a favore del popolo.
Se nella prima parte del brano si descrivono le azioni del Signore per far tornare Israele alla dignità di gregge del Signore, unendolo dalla dispersione e facendo trovare pascolo, nella seconda parte l'attenzione del Pastore è tutta per la situazione di ogni pecora, a cominciare da quelle più bisognose. La cura del Signore non è generalizzata, ma è attenta alla realtà, sapendo cogliere il bisogno e la capacità di ciascuno: indica vera relazione personale. Siamo Chiesa perché ciascuno è chiamato per nome e curato nella sua dignità dal Signore: è perché ciascuno vale immensamente agli occhi di Dio che poi anche la Chiesa ha un suo valore, non l’incontrario.
Nella seconda Lettura, questo atteggiamento favorevole di Dio viene ricondotto alla fonte: il suo amore nei confronti dell'uomo. Il bello di questo annuncio sta nel dire che questo amore «è stato riversato nei nostri cuori»: la nostra vita è fatta come un recipiente capace di contenere la cosa più grande e più bella, l'amore di Dio. Indica così un amore non solo personale, ma anche concreto.
Così il seguito del brano è un crescendo a far vedere il cuore riempito di vita perché pieno di Spirito Santo (v. 5). Cristo è morto per noi, deboli peccatori: questo è dimostrazione d'amore vero (v. 8). Liberati così dalla condanna del peccato, siamo riconciliati con Dio (v. 10): ci è restituito il Paradiso come luogo d'incontro e dialogo con il Creatore, invece che luogo di fuga e nascondimento, come per Adamo dopo il peccato.
Ma non basta: la Pasqua di Cristo ci ha fatto toccare la sua vita morte e risorta (v. 10), come i discepoli hanno toccato le piaghe del Risorto: è l'umanità più bella, che più parla alla nostra umanità. Infine, dice Paolo, questo è il nostro vero «vanto» (v. 11): non la Legge e la sua osservanza; tutto il senso del nostro essere e del nostro cammino trova in Dio la sua realizzazione e la sua pienezza.
Nel brano del Vangelo, Gesù rivela, con profonda coscienza di sé e della sua missione - unite alla più grande umiltà -, che non potremo mai fare senza di Lui, nella relazione fra l'uomo e Dio. La vita eterna la si ha solo nel Figlio dell'uomo «innalzato», sulla croce e verso il Padre (vv. 14-15). Il «Figlio unigenito» si riconosce tale, in rapporto al Padre, riconoscendosi come il dono più grande che Dio poteva fare al mondo per dire tutto il suo amore che non ha confini (cfr. Ef 3,17-19). Perciò, è credendo nel Figlio che si riceve la vera vita nella relazione con Dio (v. 16): perché credere vuol dire credere all'amore di Dio in noi (cfr. 1Gv 4,16b). Perciò il Figlio è stato mandato nel mondo perché, in ogni momento e in ogni situazione, un semplice sguardo a Lui, e a Lui solo, procuri a qualsiasi uomo e a qualsiasi vita la salvezza.
Alberto Vianello
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