don Luciano Cantini"Così da credergli"

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/09/2014)
Vangelo: Mt 21,28-32 
Che ve ne pare?
Gesù interpella, chiede un parere ai suoi interlocutori e a ciascuno di noi che oggi ascoltiamo la sua parola.
I capi dei Sacerdoti e gli Anziani del popolo, nel tempio, lo stavano provocando: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23). Allora, il Maestro mette a nudo le loro ambiguità parlando del Battista, della autorità della sua predicazione: anche lui si era messo in fila alle acque del Giordano insieme ai peccatori. Gesù parlando di Giovanni li imbarazza per la loro doppiezza e poi li
interpella con questa parabola tanto semplice quanto ovvia, dalla risposta scontata. Proprio perché è naturalmente semplice, quella risposta, nella sua verità scava dentro, sottolinea le ipocrisie. Gesù ha sopportato e amato tutti: malati, lebbrosi, pazzi, questuanti, insistenti, stranieri, eretici, militari, collaborazionisti, nemici, peccatori, delinquenti, traditori, ma non ha mai sopportato gli ipocriti (Cfr. Mt 6,2.5.16...) riservando per loro solo parole di condanna.
Ecco, Gesù ci interpella con questa parabola semplice e ovvia per stanare l'ipocrisia che si rintana in ciascuno di noi, condiziona le nostre relazioni con Dio e con gli uomini.
"Non ne ho voglia"
Devo fare attenzione ai "no" miei e degli altri, non sono posizioni immodificabili, non siamo legati indissolubilmente alle posizioni prese, non sono capestri a cui attaccare il collo in attesa dell'esecuzione. Davanti a Dio, c'è la possibilità di ripensare, di andare oltre, di liberarci dalla chiusura dei nostri rifiuti, non siamo prigionieri di noi stessi, delle nostre prese di posizione, dei principi irrinunciabili che non sono dettati dall'amore; possiamo sempre pentirci e andare.
Dio non condanna quelli che fanno fatica a dire "si", a credere subito, che tergiversano indecisi o che hanno paura di risposte definitive, che credono "a modo suo". L'esitazione fa parte della natura umana che è sempre assalita da dubbi e incertezze; è normale porre resistenze quando un appello disturba o costa; rientra nella verità delle cose prendersi il tempo per interrogarsi, domandarsi se ne valga la pena quando una decisione è impegnativa. Importante non far tacere la domanda, scaricare chi ci interpella, nascondersi al confronto con se stessi e la propria anima.
"Sì, signore"
Altrettanto devo fare attenzione ai "si", specialmente quelli che sanno di ossequio, che distanziano le relazioni con un "signore"; sembrano riconoscere l'autorità ma privano i rapporti di umanità, cedono alla forma a scapito della sostanza.
Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt 7,21).
Non posso e non possiamo cullarci sugli allori di un "si" definitivo, anche sincero, che si è allontanato nel tempo e che sembra sussistere per una appartenenza culturale o una partecipazione cultuale, per qualche segno esterno o manifestazione devozionale. Ogni giorno mi è chiesto di decidere se andare o non andare nella vigna, se assumermi o meno le responsabilità nella società in cui vivo, nella Chiesa a cui appartengo.
I pubblicani e le prostitute
Davanti ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo Gesù porta l'esempio degli odiati pubblicani e prostitute nell'evidenza, agli occhi dei suoi interlocutori, del loro peccato.
Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto: la rigidità ideologica farisaica non aveva permesso di scoprire la verità di Giovanni, prototipo del Verbo incarnato (venne a voi) che porta a compimento l'Alleanza paterna (sulla via della giustizia).
Il rischio di ideologizzare la fede è sempre alto e mai sopito. È facile riconoscerlo e condannarlo negli integralismi degli altri nella loro evidenza di peccato come oggi è quello islamico nelle terre martoriate del medio oriente. Meno facile riconoscere quello di casa nostra, nella rigidità di norme e atteggiamenti figlia della convinzione che la volontà di Dio sia immutabile nella sua comprensione e interpretazione, scritta una volta per tutte nelle disposizioni ecclesiastiche, in modo del tutto indipendente dalla vita delle singole persone e di una società in costante divenire; come se Dio non avesse parte nel divenire della storia.
Gesù usa misericordia nei confronti dei pubblicani e delle prostitute, delle donne scaraventate ai bordi delle strade, sfruttate e maltrattate, per quelli che la vita è già stata abbondantemente punitiva. Sono coloro che passano avanti a quelli che si ammantano di perbenismo, che rendono lecita, buona e giusta ogni forma di approfitto sociale, di tradimento, sotterfugio, malafede, ogni mezzo di adulazione, servilismo pur di ottenere denaro, potere, prestigio.
Il confronto è tra la prostituzione evidente e palese e quella, più grave, della ipocrisia che sa nascondere la propria spazzatura sotto il tappeto. Tra la prostituzione che riconosce il proprio peccato e quella che non riconoscendosi non riesce nemmeno a pentirsi.
Non un atto eroico e sconvolgente di improvvisa generosità ma il lento, costante movimento della esistenza che ogni giorno si orienta nella scoperta strabiliante della volontà di Dio, della sua giustizia, che si manifesta in modo nuovo e incredibilmente vicino alle nostre capacità così da credergli.

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