Alberto Vianello"Pronti a far festa "
Letture: Is 25,6-10a; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
Monastero Marango Caorle (VE)
Pronti a far festa: questo dovrebbero essere i cristiani, secondo la parabola di Gesù che ascoltiamo questa domenica. E non si tratta di una festa qualsiasi: è quella organizzata da un re per le nozze di suo figlio. Certamente quella del banchetto nuziale è solo un’immagine per rappresentare «il regno dei cieli»: però ci suggerisce amore, pienezza di vita, gioia vissuta e partecipata.
Sembrerebbe un clima diverso dalle ultime domeniche fatte di figli disobbedienti e di contadini omicidi. Eppure quella denuncia si fa più forte che mai nei riguardi dell’uomo e del
mistero di iniquità e di male dal quale si fa prendere. Chi rifiuterebbe di andare a divertirsi alle nozze!? Eppure, nei confronti del Signore, gli uomini, e quelli più religiosi, fanno proprio così. «Più li chiamavo e più si allontanavano da me… Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore» (Os 11,2.4).
La parabola presenta un crescendo impressionante. Prima un rifiuto totale e immotivato: «Non volevano venire». In Luca, almeno, si scomodano a scusarsi. Poi, davanti all’insistenza dell’invito, il menefreghismo più basso: «Non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari». Non bastasse, si passa poi alla violenza più gratuita: «Presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero». Bella risposta alla gratuità dell’invito! Non c’è alcuna ragione per il rifiuto del dono gratuito del Signore. E a rifiutarlo sono gli «invitati»: parenti e amici. Ovvero gli uomini più pii e più osservanti la Legge, mica i peccatori: quelli sono ancora per strada, ai crocicchi, ignari.
Il rifiuto storico di una parte di Israele diventa la denuncia e il monito per la Chiesa: quando si fa della fede l’affermazione della Legge e delle opere morali meritevoli, si rifiuta la grazia, si rifiuta l’invito a nozze. E il Signore rimane solo a far festa a suo Figlio.
Ma Lui non si rassegna: è la forza della tenerezza. «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni». La dignità sta nel riconoscere l’onore di quell’invito e la condiscendenza divina a voler far festa con Lui per la sua gioia. «Andate ora nei crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Tutti i più «indegni» diventano «degni», al posto degli altri, troppo presi dai campi e dagli affari delle loro opere religiose piuttosto che dai doni di Dio.
Per strada non trovi i bravi e i puri: i servi infatti trovano «cattivi e buoni». La precedenza indica il maggior valore: hanno trovato soprattutto dei pochi di buono, è proprio questi, predominando, segnano più che altri il banchetto di nozze. Il detto «meglio pochi, ma buoni» si rovescia: «meglio tanti, anche se cattivi». Non è questione di numeri, ma di festa. Dio non si rassegna che non ci sia partecipazione umana intorno alle nozze del Figlio: esse sono l’amore indissolubile che lo lega all’umanità e alla storia. Ci chiede di essere uomini capaci di gioire per la salvezza, invece che seriosi interpreti delle sue esigenze.
Provo a immaginare la faccia di quei ignari presi dalla strada che si trovano d’improvviso nella sala delle nozze. Qualcuno avrà pensato: «Che cosa ci faccio io qui?». Oppure: «E’ troppo per me!». Qualcun altro, invece: «Cerchiamo di approfittarne…». Ma non erano lì per se stessi, ma per far festa al Figlio, e per scoprire, così, quanto il Padre faceva per loro attraverso il Figlio. In questo modo «la sala delle nozze si riempì di commensali»: la salvezza è davvero per tutti, e questo è il matrimonio di Dio con l’umanità.
Ma c’è uno che «non indossava l’abito nuziale»: preso anche lui dalla strada, però non si è lasciato rivestire di Cristo (cfr. Gal 3,27; Ef 4,24). Non si lascia cambiare da quell’invito, dalla sua gratuità e dall’amore, e non sa trasformare le opere delle sue mani in opere di amore. Chi vuol far tutto, ma fuori del dono gratuito (i primi invitati) e chi non vuol far niente anche dentro tale dono (quello senza abito), sono tutti drasticamente condannati: non rifiutati, ma rifiutanti.
La sala è piena, eppure alla fine si parla di «pochi eletti». Non si tratta di un numero ristretto di privilegiati o di predestinati. Si tratta della porta stretta del lasciarsi amare dal Signore, di vivere così le sue nozze, con una capacità umana che sa corrispondervi. «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,1-4).
Alberto Vianello
Monastero Marango Caorle (VE)
Pronti a far festa: questo dovrebbero essere i cristiani, secondo la parabola di Gesù che ascoltiamo questa domenica. E non si tratta di una festa qualsiasi: è quella organizzata da un re per le nozze di suo figlio. Certamente quella del banchetto nuziale è solo un’immagine per rappresentare «il regno dei cieli»: però ci suggerisce amore, pienezza di vita, gioia vissuta e partecipata.
Sembrerebbe un clima diverso dalle ultime domeniche fatte di figli disobbedienti e di contadini omicidi. Eppure quella denuncia si fa più forte che mai nei riguardi dell’uomo e del
mistero di iniquità e di male dal quale si fa prendere. Chi rifiuterebbe di andare a divertirsi alle nozze!? Eppure, nei confronti del Signore, gli uomini, e quelli più religiosi, fanno proprio così. «Più li chiamavo e più si allontanavano da me… Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore» (Os 11,2.4).
La parabola presenta un crescendo impressionante. Prima un rifiuto totale e immotivato: «Non volevano venire». In Luca, almeno, si scomodano a scusarsi. Poi, davanti all’insistenza dell’invito, il menefreghismo più basso: «Non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari». Non bastasse, si passa poi alla violenza più gratuita: «Presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero». Bella risposta alla gratuità dell’invito! Non c’è alcuna ragione per il rifiuto del dono gratuito del Signore. E a rifiutarlo sono gli «invitati»: parenti e amici. Ovvero gli uomini più pii e più osservanti la Legge, mica i peccatori: quelli sono ancora per strada, ai crocicchi, ignari.
Il rifiuto storico di una parte di Israele diventa la denuncia e il monito per la Chiesa: quando si fa della fede l’affermazione della Legge e delle opere morali meritevoli, si rifiuta la grazia, si rifiuta l’invito a nozze. E il Signore rimane solo a far festa a suo Figlio.
Ma Lui non si rassegna: è la forza della tenerezza. «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni». La dignità sta nel riconoscere l’onore di quell’invito e la condiscendenza divina a voler far festa con Lui per la sua gioia. «Andate ora nei crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Tutti i più «indegni» diventano «degni», al posto degli altri, troppo presi dai campi e dagli affari delle loro opere religiose piuttosto che dai doni di Dio.
Per strada non trovi i bravi e i puri: i servi infatti trovano «cattivi e buoni». La precedenza indica il maggior valore: hanno trovato soprattutto dei pochi di buono, è proprio questi, predominando, segnano più che altri il banchetto di nozze. Il detto «meglio pochi, ma buoni» si rovescia: «meglio tanti, anche se cattivi». Non è questione di numeri, ma di festa. Dio non si rassegna che non ci sia partecipazione umana intorno alle nozze del Figlio: esse sono l’amore indissolubile che lo lega all’umanità e alla storia. Ci chiede di essere uomini capaci di gioire per la salvezza, invece che seriosi interpreti delle sue esigenze.
Provo a immaginare la faccia di quei ignari presi dalla strada che si trovano d’improvviso nella sala delle nozze. Qualcuno avrà pensato: «Che cosa ci faccio io qui?». Oppure: «E’ troppo per me!». Qualcun altro, invece: «Cerchiamo di approfittarne…». Ma non erano lì per se stessi, ma per far festa al Figlio, e per scoprire, così, quanto il Padre faceva per loro attraverso il Figlio. In questo modo «la sala delle nozze si riempì di commensali»: la salvezza è davvero per tutti, e questo è il matrimonio di Dio con l’umanità.
Ma c’è uno che «non indossava l’abito nuziale»: preso anche lui dalla strada, però non si è lasciato rivestire di Cristo (cfr. Gal 3,27; Ef 4,24). Non si lascia cambiare da quell’invito, dalla sua gratuità e dall’amore, e non sa trasformare le opere delle sue mani in opere di amore. Chi vuol far tutto, ma fuori del dono gratuito (i primi invitati) e chi non vuol far niente anche dentro tale dono (quello senza abito), sono tutti drasticamente condannati: non rifiutati, ma rifiutanti.
La sala è piena, eppure alla fine si parla di «pochi eletti». Non si tratta di un numero ristretto di privilegiati o di predestinati. Si tratta della porta stretta del lasciarsi amare dal Signore, di vivere così le sue nozze, con una capacità umana che sa corrispondervi. «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,1-4).
Alberto Vianello
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