Luca Desserafino sdb"Cercate il Signore e la sua potenza"
26 ottobre 2014 | 30a Domenica A | T. Ordinario | Omelia di approfondimento
Bisogna allontanarsi dagli uomini per trovare Dio?
E chi ha trovato Dio può ancora ritornare verso gli uomini e vivere con loro, interessarsi di loro e lavorare con loro e per loro? In altre parole, l'amore di Dio e l'amore degli uomini sono compatibili o, al contrario, l'uno esclude l'altro in modo che bisogna assolutamente operare una scelta?
Queste domande ci vengono proposte dalla liturgia di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, l'attenzione a Dio e
l'attenzione agli uomini sono due termini di confronto per l'agire di ogni credente. E sono due realtà talmente importanti che tutta la Scrittura ne è pervasa e cerca di darne la giusta risposta in merito.
E' proprio con la venuta di Gesù, Figlio di Dio che si manifesta agli uomini il non potere pensare che l'entrata di Dio nella storia di una coscienza, di una persona, ne provochi automaticamente l'esclusione all'interesse delle altre creature e persone. Come la settimana scorsa il monito di Cristo era "dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio", in questa settimana l'insegnamento del Maestro è altrettanto chiaro: non si va' a Dio senza gli uomini, e non ci si può rivolgere in verità agli uomini se non si vive una relazione personale con Dio.
La prima lettura, tratta dal Libro dell'Esodo, è tutta tesa ad indicare quale siano i comportamenti concreti che il buon israelita e, per contro, ogni buon credente deve attuare per essere "gradito agli occhi del Signore". Ed anzi, è Dio stesso, il Signore che si fa portatore di queste indicazioni. E come possiamo vedere, anche in questo si svolge la logica dell'agire divino, che predilige i poveri, i piccoli, gli ultimi, coloro che agli occhi degli uomini contano poco.
Tutto ciò per far comprendere che questa è la logica con cui il credente deve agire nell'affrontare le scelte della vita che nell'oggi è chiamato a realizzare. L'attenzione a Dio, tanto cara al pio israelita, proprio per volere di Dio si deve mediare attraverso i fratelli; non si può pregare Dio e disinteressarsi dei fratelli che Egli ci mette accanto.
La seconda lettura, tratta dalla lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, ancora ci mostra la tesimonianza che Paolo ci trasmette nel vedere che il frutto del suo ministero è stato possibile grazie all'azione dello Spirito. Ed è proprio l'accoglienza dello Spirito fatto dalla cominità che permette a Paolo di rilevare con gioia i progressi della stessa, non soltanto in merito alla loro conversione, ma grazie allo Spirito, anche in merito alla lora azione di evangelizzazione.
In questo modo, da una comunità che vive del Vangelo non c'è bisogno di fare propaganda, dice sempre san Paolo, perché è sufficiente guardare il suo modo proprio di vivere, modo che si articola sulla Parola annunziata, accolta e vissuta. Il modo di vivere da cristiani, della comunità è già il modo più eloquente di testimoniare l'annuncio della Buona Novella che Paolo e i suoi collaboratori stanno spandendo in tutte le parti del mondo a loro conosciuto. Non è forse questo un monito e un augurio per ogni credente a fare della comunità in cui vive, partendo dalla propria vita, un "modello per tutti i credenti"?
Il brano del Vangelo, proposto dall'evangelista Matteo, ci mostra, come la settimana scorsa, un momento di scontro con coloro che erano le guide del popolo; ricordiamo, infatti, la volta scorsa due categorie, gli erodiani e i sadducei, ora altre due, i farisei e dottori della legge. Il motivo di fondo, ci dice l'evangelista, è sempre lo stesso, cercare di prendere in castagna Gesù o nel suo agire o nel suo pensare, per poi riuscire a liberarsene una volta per tutte.
Ancora una volta Gesù non solo si dimostra all'altezza del dibattito, ma svela un insegnamento nuovo che deriva da una signoria tutta sua, che non ha nulla a che vedere con coloro che in quell'epoca erano i Rabbì, i maestri e guide del popolo. Gesù risponde al questito del dottore della legge, non solo in modo formalmente corretto; Gesù conosce bene la Sacra Scrittura, la Torah, ma con questa sua parola insegna a non separare le due dimensioni del comandamento dell'amore, prefigurato proprio nell'Antico Testamento ed ora attuato con la Sua vita per tutti e per sempre.
Infatti, mai la Scrittura e la tradizione cristiana hanno permesso al cristiano di disinteressarsi dell'uomo, sotto il pretesto di interessarsi unicamente di Dio e mai hanno lasciato di indicare nel servizio dell'uomo un modo di servire Dio. Un noto pensatore contemporaneo, P. Ricoeur, esprime bene questa realtà dicendo: "La mia vita interiore è la sorgente delle mie relazioni esteriori. All'opposto delle sapienze meditative e contemplative della fine del paganesimo greco o dell'Oriente al di là dell'Indo, la predicazione cristiana non ha mai opposto l'essere al fare, l'interiore all'esteriore, la teoria alla prassi, la preghiera alla vita, la fede alle opere, Dio al prossimo".
Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, proprio dedicata all'amore di Dio e degli uomini, ci ricorda come "Con la centralità dell'amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d'Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell'amore di Dio con quello dell'amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un "comandamento", ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro."
La tesi che il papa pone al centro della sua riflessione, partendo dagli scritti giovannei, non è lontana da quella che troviamo descritta anche nel brano dell'Evangelo di Matteo che in questa liturgia è stato proclamato. Amore di Dio e amore dell'uomo, non sono due amori differenti, ma un unico amore complementare, il quale si può sì distingure, certo, per logici motivi di pensiero, ma mai si può separare; una visione della realtà che avvalla ciò, non è la "dottrina" della Chiesa di Gesù Cristo.
Questo Amore non è, però, aleatorio, sulle nuvole, di cui solo i mistici sarebbero toccati nella loro esperienza, ma tale Amore è tangibile ad ogni creatura, poiché tutta la realtà creata ne porta in sè stessa la forma. E tanto più le creature che hanno in sè, grazie al Padre, per mezzo dello Spirito, l'immagine e la somiglianza del Figlio. Ed ancora prendendo spunto dalla Deus caritas est di Benedetto XVI, dove egli identifica questo unico amore nella differenza tra eros e agape, due differenti termini che gli antici usavano per indicare due modi della sfumatura dell'amore stesso, leggiamo: "In realtà eros e agape - amore ascendente e amore discendente - non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro.
Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere. L'uomo non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. L'eros di Dio per l'uomo - come abbiamo detto - è insieme totalmente agape. Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore. Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere; ma questo principio creativo di tutte le cose - il Logos, la ragione primordiale - è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore.
Sì, esiste una unificazione dell'uomo con Dio - il sogno originario dell'uomo -, ma questa unificazione non è un fondersi insieme, un affondare nell'oceano anonimo del Divino; è unità che crea amore, in cui entrambi - Dio e l'uomo - restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sola.
Ma come a noi, concretamente, viene donato di entrare in questo amore divino? Sempre il papa, proseguendo il suo scritto ci dice: "L'agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Nel "culto" stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l'essere amati e l'amare a propria volta gli altri.
Un'Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente - come dovremo ancora considerare in modo più dettagliato - il "comandamento" dell'amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l'amore può essere "comandato" perché prima è donato".
L'amore non è mai "concluso" e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell'altro sempre soltanto l'altro (un qualcosa da possedere) e non riesco a riconoscere in lui l'immagine divina (un fratello/sorella da amare). Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente "pio" e compiere i miei "doveri religiosi", allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio.
Allora questo rapporto è soltanto "corretto", ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, con parole e gesti concreti, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo l'attenzione amorevole nel servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. E dunque vediamo che la trabocchevole domanda dei farisei trova un interlocutore in Gesù che ribalta dal suo interno la deviante interpretazione da loro attuata aprendo una nuova interpretazione, o meglio dando la giusta manifestazione dell'amore del Padre.
Amare Dio e amare il prossimo, allora, non sono due modalità diverse di amare, ma due modalità complementari nell'amare; l'amore di Dio si manifesta in Gesù ed umanamente in quel processo generazionale di cui ognuno di noi fa parte, e molti anche ad esserne co-protagonisti.
Noi credenti siamo chiamati a testimoniare questo Amore in ogni parola e gesto di ogni giorno, sapendo che in questo cammino non manca l'insegnamento e il sostegno del Maestro, ma non manca nemmeno il modello totalmente umano, Maria, a cui dobbiamo con gratitudine volgerci per imparare ad affrontare da testimoni credenti le sfide della vita.
Luca Desserafino sdb
Bisogna allontanarsi dagli uomini per trovare Dio?
E chi ha trovato Dio può ancora ritornare verso gli uomini e vivere con loro, interessarsi di loro e lavorare con loro e per loro? In altre parole, l'amore di Dio e l'amore degli uomini sono compatibili o, al contrario, l'uno esclude l'altro in modo che bisogna assolutamente operare una scelta?
Queste domande ci vengono proposte dalla liturgia di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, l'attenzione a Dio e
l'attenzione agli uomini sono due termini di confronto per l'agire di ogni credente. E sono due realtà talmente importanti che tutta la Scrittura ne è pervasa e cerca di darne la giusta risposta in merito.
E' proprio con la venuta di Gesù, Figlio di Dio che si manifesta agli uomini il non potere pensare che l'entrata di Dio nella storia di una coscienza, di una persona, ne provochi automaticamente l'esclusione all'interesse delle altre creature e persone. Come la settimana scorsa il monito di Cristo era "dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio", in questa settimana l'insegnamento del Maestro è altrettanto chiaro: non si va' a Dio senza gli uomini, e non ci si può rivolgere in verità agli uomini se non si vive una relazione personale con Dio.
La prima lettura, tratta dal Libro dell'Esodo, è tutta tesa ad indicare quale siano i comportamenti concreti che il buon israelita e, per contro, ogni buon credente deve attuare per essere "gradito agli occhi del Signore". Ed anzi, è Dio stesso, il Signore che si fa portatore di queste indicazioni. E come possiamo vedere, anche in questo si svolge la logica dell'agire divino, che predilige i poveri, i piccoli, gli ultimi, coloro che agli occhi degli uomini contano poco.
Tutto ciò per far comprendere che questa è la logica con cui il credente deve agire nell'affrontare le scelte della vita che nell'oggi è chiamato a realizzare. L'attenzione a Dio, tanto cara al pio israelita, proprio per volere di Dio si deve mediare attraverso i fratelli; non si può pregare Dio e disinteressarsi dei fratelli che Egli ci mette accanto.
La seconda lettura, tratta dalla lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, ancora ci mostra la tesimonianza che Paolo ci trasmette nel vedere che il frutto del suo ministero è stato possibile grazie all'azione dello Spirito. Ed è proprio l'accoglienza dello Spirito fatto dalla cominità che permette a Paolo di rilevare con gioia i progressi della stessa, non soltanto in merito alla loro conversione, ma grazie allo Spirito, anche in merito alla lora azione di evangelizzazione.
In questo modo, da una comunità che vive del Vangelo non c'è bisogno di fare propaganda, dice sempre san Paolo, perché è sufficiente guardare il suo modo proprio di vivere, modo che si articola sulla Parola annunziata, accolta e vissuta. Il modo di vivere da cristiani, della comunità è già il modo più eloquente di testimoniare l'annuncio della Buona Novella che Paolo e i suoi collaboratori stanno spandendo in tutte le parti del mondo a loro conosciuto. Non è forse questo un monito e un augurio per ogni credente a fare della comunità in cui vive, partendo dalla propria vita, un "modello per tutti i credenti"?
Il brano del Vangelo, proposto dall'evangelista Matteo, ci mostra, come la settimana scorsa, un momento di scontro con coloro che erano le guide del popolo; ricordiamo, infatti, la volta scorsa due categorie, gli erodiani e i sadducei, ora altre due, i farisei e dottori della legge. Il motivo di fondo, ci dice l'evangelista, è sempre lo stesso, cercare di prendere in castagna Gesù o nel suo agire o nel suo pensare, per poi riuscire a liberarsene una volta per tutte.
Ancora una volta Gesù non solo si dimostra all'altezza del dibattito, ma svela un insegnamento nuovo che deriva da una signoria tutta sua, che non ha nulla a che vedere con coloro che in quell'epoca erano i Rabbì, i maestri e guide del popolo. Gesù risponde al questito del dottore della legge, non solo in modo formalmente corretto; Gesù conosce bene la Sacra Scrittura, la Torah, ma con questa sua parola insegna a non separare le due dimensioni del comandamento dell'amore, prefigurato proprio nell'Antico Testamento ed ora attuato con la Sua vita per tutti e per sempre.
Infatti, mai la Scrittura e la tradizione cristiana hanno permesso al cristiano di disinteressarsi dell'uomo, sotto il pretesto di interessarsi unicamente di Dio e mai hanno lasciato di indicare nel servizio dell'uomo un modo di servire Dio. Un noto pensatore contemporaneo, P. Ricoeur, esprime bene questa realtà dicendo: "La mia vita interiore è la sorgente delle mie relazioni esteriori. All'opposto delle sapienze meditative e contemplative della fine del paganesimo greco o dell'Oriente al di là dell'Indo, la predicazione cristiana non ha mai opposto l'essere al fare, l'interiore all'esteriore, la teoria alla prassi, la preghiera alla vita, la fede alle opere, Dio al prossimo".
Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, proprio dedicata all'amore di Dio e degli uomini, ci ricorda come "Con la centralità dell'amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d'Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell'amore di Dio con quello dell'amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un "comandamento", ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro."
La tesi che il papa pone al centro della sua riflessione, partendo dagli scritti giovannei, non è lontana da quella che troviamo descritta anche nel brano dell'Evangelo di Matteo che in questa liturgia è stato proclamato. Amore di Dio e amore dell'uomo, non sono due amori differenti, ma un unico amore complementare, il quale si può sì distingure, certo, per logici motivi di pensiero, ma mai si può separare; una visione della realtà che avvalla ciò, non è la "dottrina" della Chiesa di Gesù Cristo.
Questo Amore non è, però, aleatorio, sulle nuvole, di cui solo i mistici sarebbero toccati nella loro esperienza, ma tale Amore è tangibile ad ogni creatura, poiché tutta la realtà creata ne porta in sè stessa la forma. E tanto più le creature che hanno in sè, grazie al Padre, per mezzo dello Spirito, l'immagine e la somiglianza del Figlio. Ed ancora prendendo spunto dalla Deus caritas est di Benedetto XVI, dove egli identifica questo unico amore nella differenza tra eros e agape, due differenti termini che gli antici usavano per indicare due modi della sfumatura dell'amore stesso, leggiamo: "In realtà eros e agape - amore ascendente e amore discendente - non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro.
Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere. L'uomo non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. L'eros di Dio per l'uomo - come abbiamo detto - è insieme totalmente agape. Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore. Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere; ma questo principio creativo di tutte le cose - il Logos, la ragione primordiale - è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore.
Sì, esiste una unificazione dell'uomo con Dio - il sogno originario dell'uomo -, ma questa unificazione non è un fondersi insieme, un affondare nell'oceano anonimo del Divino; è unità che crea amore, in cui entrambi - Dio e l'uomo - restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sola.
Ma come a noi, concretamente, viene donato di entrare in questo amore divino? Sempre il papa, proseguendo il suo scritto ci dice: "L'agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Nel "culto" stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l'essere amati e l'amare a propria volta gli altri.
Un'Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente - come dovremo ancora considerare in modo più dettagliato - il "comandamento" dell'amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l'amore può essere "comandato" perché prima è donato".
L'amore non è mai "concluso" e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell'altro sempre soltanto l'altro (un qualcosa da possedere) e non riesco a riconoscere in lui l'immagine divina (un fratello/sorella da amare). Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente "pio" e compiere i miei "doveri religiosi", allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio.
Allora questo rapporto è soltanto "corretto", ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, con parole e gesti concreti, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo l'attenzione amorevole nel servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. E dunque vediamo che la trabocchevole domanda dei farisei trova un interlocutore in Gesù che ribalta dal suo interno la deviante interpretazione da loro attuata aprendo una nuova interpretazione, o meglio dando la giusta manifestazione dell'amore del Padre.
Amare Dio e amare il prossimo, allora, non sono due modalità diverse di amare, ma due modalità complementari nell'amare; l'amore di Dio si manifesta in Gesù ed umanamente in quel processo generazionale di cui ognuno di noi fa parte, e molti anche ad esserne co-protagonisti.
Noi credenti siamo chiamati a testimoniare questo Amore in ogni parola e gesto di ogni giorno, sapendo che in questo cammino non manca l'insegnamento e il sostegno del Maestro, ma non manca nemmeno il modello totalmente umano, Maria, a cui dobbiamo con gratitudine volgerci per imparare ad affrontare da testimoni credenti le sfide della vita.
Luca Desserafino sdb
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