D. Severino GALLO sdb"PARABOLA DEI TALENTI: ATTESA OPEROSA"

  16 novembre 2014 | 33a Domenica A | T. Ordinario | Omelia di approfondimento
La prima Lettura fa parte di un poema sulla donna virtuosa, un ideale perfetto di donna di casa provvidente e operosa, tutta intenta al bene della famiglia, alla sua prosperità, e non solo a cose vane, superflue ed egoistiche.

Doni di grazia, individuali e familiari risplendono in questo gioiello, che la liturgia cristiana ha poi applicato all'elogio della santa madre di famiglia.

La seconda Lettura afferma che l'inattesa venuta del "momento" in cui incontreremo il Signore deve spingere i figli della luce alla vigilanza operosa e all'agire fruttuoso.
Il "momento" designato o voluto da Dio verrà, ma solo Dio conosce quando: a noi resta la responsabilità di vivere come se stesse sempre arrivando.

La parabola dei talenti mette in risalto la gratuità divina che dona a tutti, e sottolinea il fatto che l'uomo deve far fruttificare i doni di Dio, il quale chiederà conto a ognuno dei doni ricevuti.
Anche oggi nella liturgia domina il pensiero dell'incontro con Gesù. Una caratteristica, la vigilanza, è stata oggetto di meditazione domenica scorsa; oggi invece l'attenzione si sposta sull'altra caratteristica: l'operosità.

1. Azione controllata:

La parabola dei talenti ci ricorda il dovere dell'azione. I doni che abbiamo ricevuto, non ci sono stati dati perché siano oggetto di compiacente contemplazione; chi ha, deve dare, nella misura e nel genere del dono ricevuto.-
Il pensiero del ritorno del Signore non deve essere per noi una giustificazione all'inerzia. C'è il "porro unum necessarium: una sola cosa è necessaria del Signore che potrebbe trarci in inganno.
Assumere l'atteggiamento di Maria che lascia alla sorella Marta le faccende di casa; lasciar perdere e trascurare le cose del mondo per attendere unicamente alla preghiera e alla meditazione... è una tentazione vecchia di molti secoli; già San Paolo fu costretto ad occuparsene ai suoi tempi.
Vita e inerzia non possono coesistere: la vita è movimento .

E' evidente, però, che movimento non è agitazione; e qui trova la sua spiegazione l'antitesi apparente tra Marta e Maria. "Tu ti affanni", fu il rimprovero di Gesù a Marta. L'agitazione, l'affanno sono disapprovati da Gesù: il movimento è voluto, e la parabola dei talenti ne è la conferma.
I primi due servi sono lodati, perché si sono preparati al ritorno del padrone mettendo a frutto i beni ricevuti.

Il terzo è rimproverato per la sua inerzia: il pensiero del ritorno del signore è stato per lui motivo di abbandono: non ha vissuto per il signore, ha vissuto per sé (ma di quale vita? d'inerzia...).
E' importante l'intenzione nell'azione: bisogna agire per il Signore. Se i primi due servi avessero trafficato per se stessi, sarebbero stati rimproverati anche loro, come il collega indolente.
Che cosa sarebbe avvenuto se i primi due avessero "dichiarato" al padrone solo una parte del guadagno effettuato? Se avessero cioè trafficato per sé e non per il padrone? Forse sarebbe capitato loro come ad Anania e a Saffira...
Gesù vuole l'azione, ma anche la retta intenzione nell'agire: la parabola dei talenti ci dice anche questo. E' la retta intenzione che dà valore di eternità all'opera umana


Una volta un pittore ricevette l'incarico di dipingere un quadro raffigurante la retta intenzione.
Ci pensò a lungo. Finalmente dipinse un vivace fanciullo che si affannava a scrivere... Accanto al bimbo dipinse un Angelo che metteva davanti a quegli zeri la cifra 1... Gli zeri diventavano milioni e miliardi!
Perfettamente esatto! Solo la retta intenzione dà valore di eternità alla povera attività umana.
2. Azione guidata:
Mettere a frutto, agire... ma in quale direzione?
Il libro dei Proverbi, con l'immagine della donna perfetta, ci dà un orientamento.
La donna perfetta si occupa di suo marito e delle faccende domestiche. Il desiderio di unione con Dio non ci può separare da coloro che la Provvidenza ci ha posto accanto.
Troppo spesso cerchiamo lontano il campo del nostro lavoro: Dio ci ricorda che, se vogliamo fare la sua volontà e amministrare degnamente i talenti che ci ha dati, il lavoro è a nostra portata di mano: sono i fratelli che ci vivono accanto.

Ognuno di noi dopo aver compreso che cosa siamo noi, dovremo sforzarci di capire che cosa sono gli altri. Partendo dal valore umano del prossimo, giungerà a cogliere in esso i tratti divini del Volto di Gesù, "primogenito tra molti fratelli".
Bisogna evitare di costruirsi nella fantasia un prossimo amato tanto maggiormente, quanto meno ci scomoda e ci è lontano. Il prossimo vero è quello concreto, fatto di anima e di corpo, soprattutto di corpo: quello che mi urta in tram, che incrocio lungo un corridoio, quello che siede vicino a me in officina, in ufficio, in chiesa. E' quella sorella con tutti i suoi difetti, ma anche con tutte le sue virtù.
Questo prossimo concreto è membro vivo di quell'unico Corpo mistico, a cui tutti apparteniamo...Occorre molta fede e molto amore: soprattutto amore fattivo, coerente, esigente con sé prima che con gli altri.

Potrà essere talvolta un membro malato, sfigurato, coperto di fango, forse di sangue...
Occorre molta fede e molto amore: soprattutto amore fattivo, coerente, esigente con sé prima che con gli altri... E' necessario dare non solo del proprio, ma dare di sé.
Alcune volte, semplici cristiani, ci dànno dei punti a questo riguardo.

Scriveva una giovane: "L'altra sera sono passata a prendere Anna Maria al suo ufficio. Nella sala d'attesa c'era ancora parecchia gente: avevano tutti fretta e qualcuno guardava nervosamente l'orologio.
Varcata la soglia e avvicinatisi alla giovane, persino i più aggressivi venivano disarmati dalla bontà, dalla cortesia e dalla premura di quella piccola donna, che pareva messa là apposta per diffondere attorno a sé calma e fiducia.
Il segreto di quella serenità e di quella pazienza inalterabile, me lo confidò un giorno lei stessa: "Nella vita spirituale, se non vogliamo disperdere tante preziose energie, è assolutamente necessario avere un programma a cui uniformarci in ogni nostra attività.
Il mio è molto semplice: "Vedere Gesù in ogni persona che avvicino". E a Lui dono la mia sollecitudine, la mia premura, il mio tempo e il mio sorriso.
Quando sono stanchissima ed ho più che mai bisogno di Lui, so che Egli è presente dove si trova il mio dovere. Ed è lì che Lo cerco".

Di fronte a simili esempi ci sembra perfettamente esatta l'espressione che dice: "Il mondo dev'essere salvato da gente ordinaria, capace di fare le cose in un modo straordinario".
3. Azione illuminata:

Dobbiamo realizzare l'affermazione di San Paolo: "Voi tutti siete figli della luce".
Se viviamo nelle tenebre, non vediamo coloro che ci passano accanto, non li conosciamo e non li riconosciamo.
Ma se viviamo nella luce, vediamo, conosciamo e riconosciamo. Chi? Gesù! Sì, perché la luce di Gesù fa proprio questo: trasforma le cose e i volti. Alla sua luce, tutti i volti acquistano le sembianze di Lui.

La sua venuta non sarà dunque per noi una sorpresa; abituati a vivere con Lui e di Lui, Lo riconosceremo, quando ci si presenterà direttamente e non più attraverso i riflessi della sua luce.
E l'incontro sarà una festa: la festa del servo che gioioso potrà dire: "Signore, ecco i talenti che mi hai affidati, li ho raddoppiati"; la festa del servo, il quale dal Signore non si aspetta altro che la soavissima parola: "Bene, servo buono e fedele... entra nella gioia del tuo Signore:

E nella "gioia del Signore" c'è la Madonna, splendore e gloria del Paradiso, fonte di inesprimibile beatitudine, che Lei, da buona Mamma, sta preparando per tutti noi Suoi figli.                                                                                                                            


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