Giorgio Scatto"Imboccare la via di una vera conversione del cuore"

Is 63,16 b-17.19 b; 64,2-7           1Cor 1,3-9       Sal 79/80         Mc 13,33-37 Monastero Marango Caorle (VE)
1 - Avvento: è tempo di una nuova partenza, di dare inizio a un’avventura, a un’apertura verso il futuro, che non deve lasciare le cose come prima. Occorre cambiare l’orizzonte, prima ancora che i colori della liturgia; intrecciare rami e frutti di giustizia, prima delle tradizionali corone di abete, che portano le luci delle quattro domeniche dell’attesa natalizia. E’ tempo di verità, più che di folclore, e di mercatini che sostengono qualche lodevole iniziativa di carità.
Che dobbiamo fare?

Dobbiamo innanzitutto rendere continuamente grazie a Dio per tutti i doni che sono dati a ciascuno di noi per mezzo del dono che è Gesù Cristo. Soprattutto per il dono della parola del Vangelo, grazia ricevuta e ridonata attraverso la predicazione; dono di conoscenza e di sapienza che ci rende adatti a dare testimonianza della venuta del Signore in mezzo a noi. In lui, Verbo di Dio fatto carne, tutte le promesse consegnate ai padri si sono adempiute: non ci manca più nulla, se non contemplare, accogliere, custodire il dono, perché porti frutto nel campo che è il mondo.
Tuttavia noi attendiamo ancora “il giorno del Signore”, la sua manifestazione definitiva: c’è dato ancora un tempo affinché ogni realtà si riempia di Cristo, Parola che fa esistere ogni cosa e che è la piena realizzazione di ogni essere creato. Un tempo che sfugge alle nostre previsioni e ai nostri calcoli, ma che esige da parte di ciascuno determinazione, fedeltà, cura, perseveranza. Fino alla fine. La fine sarà quando Cristo consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Potenza e Forza. La fine verrà quando l’ultimo nemico, la morte, sarà annientato. La fine verrà quando l’uomo, fatto di terra, sarà interamente abitato dallo Spirito del Vivente. “Siamo stati chiamati alla comunione”. Il termine del pellegrinaggio, il culmine dell’attesa, la pienezza dell’Avvento sarà una vita piena di bellezza indicibile, in Cristo Gesù. Direbbe papa Francesco: “Non lasciamoci rubare la speranza”.
2 – Non è più tempo di vivere nell’esilio, in regioni lontane che non ci appartengono, erranti senza una mèta, naufraghi senza un approdo sicuro. E’ vero: anche noi, come i deportati di un tempo, strappati non solo da ciò che era nostro, ma anche sradicati da noi stessi, a causa del peccato, abbiamo visto “avversari profanare il luogo santo, calpestare il santuario”. Siamo diventati anche noi “gente su cui Dio non regna più”. Siamo comandati da altri che non sono Dio: il mercato, il profitto, la dipendenza multiforme da presunte e illusorie promesse di felicità. Abbiamo spesso il cuore indurito e siamo diventati come coloro “su cui il nome del Signore non è mai stato invocato”. Nessun rimedio sarebbe possibile se Dio stesso non si prendesse cura di noi. Egli non solo “guarda dal cielo e osserva”, ma “sente nelle viscere il fremito della misericordia”. Egli può ancora “squarciare i cieli e scendere”. Possiamo ancora essere un popolo che non solo conosce l’esistenza di un Dio, ma che lo invoca ancora come Padre, colui che salva e riscatta “con amore e compassione”, che ci solleva e ci porta su di sé, tutti i giorni del passato, ma anche in questo faticoso presente, e in un futuro che incombe su di noi, con le sue incognite e le sue paure. Sì, il nostro Dio “va incontro a quelli che praticano la giustizia e si ricordano delle sue vie”, anche se, come ci ricorda ancora il profeta Isaia, “tutti i nostri atti di giustizia sono come un panno immondo”. Siamo come foglie secche portate via dal vento. Vivere l’Avvento è ricominciare a guardare al futuro con speranza; vivere una nuova avventura (ad - ventura ), con lo sguardo pulito e felice di un bambino che si sente chiamare per nome da chi lo ama. Vivere l’Avvento è dire ancora: ”Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma”.
3 – “Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte”. La fine, il compimento di tutto, la venuta del Figlio dell’uomo, non deve essere necessariamente interpretata in senso cronologico. Il testo evangelico proclama a chiare lettere l’impossibilità di conoscere il quando dell’evento decisivo. La Scrittura dice semplicemente questo: con la fine definitiva dell’antica Alleanza, costruita sulla Legge e sui sacrifici del tempio, si apre la fase ultima della storia. La fine, cioè il compimento della redenzione è ora vicina, è a portata della nostra libertà: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”. Ognuno di noi, che vive nella storia, contribuisce misteriosamente, nel bene e nel male, a determinarne l’esito. Ciascuno ha ricevuto il suo compito, e il padrone, partendo per un viaggio che prevede il ritorno, ha ordinato al portiere di vegliare. Credo che, in ultima analisi, debba essere proprio il tema della veglia, della vigilanza, dell’attento discernimento, a caratterizzare il tempo presente, che sembra aver smarrito la questione del senso delle cose e la prospettiva di un futuro possibile. E, piuttosto che domandarci quanto manca ancora alla notte, preoccupiamoci piuttosto di imboccare la via di una vera conversione del cuore. “Noi non apparteniamo alla notte, né alla tenebra. Siamo figli della luce e del giorno. Non dormiamo, dunque, come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri”.

Giorgio Scatto    

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