Giorgio Scatto "La Chiesa diventi voce di Colui che viene"

Is 61,1-2.10-11  ;  1Tess 5,16-24  ;  Gv 1,6-8.19-28 Monastero Marango Caorle (VE)
Il contesto storico nel quale si colloca la prima lettura, tratta da Isaia, è alquanto problematico e di difficile interpretazione. Certamente ci troviamo negli anni tumultuosi e
oscuri del ritorno dall’esilio babilonese. Qualcuno azzarda anche le date, tra il 537 e il 520 a.C., ma non possiamo essere sicuri.
L’ edificazione della comunità credente, in un contesto sociale, politico ed economico molto incerto, non deve essere stata un’impresa facile. Occorreva mettere insieme i giudei che erano rimasti nella loro terra, probabilmente i più poveri; quelli che erano tornati dall’esilio, con gli occhi e il cuore pieni di fervore per un possibile nuovo inizio della nazione e una restaurazione delle sue leggi religiose; gli stranieri importati dai vincitori, che avevano occupato terreni e case che non avrebbero restituito facilmente agli antichi proprietari. Per non parlare delle critiche aperte di tutti coloro che erano rimasti a Babilonia, i quali consideravano pura utopia che si potesse ricostruire una città distrutta, innalzare di nuovo un tempio, tornare ad essere un popolo libero e forte. In questo contesto opera il profeta, che è mandato in mezzo alla sua gente per una missione che sembra impossibile. Si tratta di ricostruire una comunità di credenti, ma occorre anche combattere contro degli ostacoli che sembrano insormontabili. C’è stanchezza e profonda delusione in mezzo al popolo per un cambiamento che non arriva mai: l’entusiasmo del ritorno diventa ogni giorno di più mancanza di fiducia in un futuro possibile, e la depressione si fa strada.
Molti ritornano al culto idolatrico, ad una religione fatta in casa, privata di ogni trascendenza e tutta asservita agli istinti più carnali dell’uomo. Una religiosità che spesso copre i delitti più infami con l’adorazione di un dio, uno qualsiasi, che porta il nome di tutti, che non promette nulla di buono, ma che continua a bere il sangue dei suoi fedeli. C’è poi l’ingiustizia dilagante, la corruzione nella pubblica amministrazione, l’odio tra fratelli, che porta sovente all’omicidio. E il disprezzo per lo straniero raggiunge vertici mai visti prima dell’esilio, quando Israele e Giuda ricordavano ancora che essi pure erano stati stranieri in Egitto. Ora lo straniero andava semplicemente eliminato; o bisognava approfittarne per guadagnare il più possibile dal traffico di carne umana.
Scrivendo mi sto rendendo conto che mi pare di leggere la cronaca dei nostri giorni, terribilmente sempre uguale a sé stessa. Allora credo fermamente che questo nostro tempo abbia ancora bisogno di profeti. Qualcuno, oggi come allora, deve sentirsi inviato, gettato senza paura nella mischia della storia.
"Mi ha mandato”, dice il profeta antico. A fare che cosa? Ad evangelizzare, “a portare il lieto annuncio”. Con quali mezzi e con quale forza? Con il dono e la forza dello Spirito, la vera unzione che consacra il profeta. Questa buona notizia va necessariamente nella direzione di chi è piagato nel cuore, entra nella cella del prigioniero, libera lo schiavo dalle sue catene. L’annuncio è per i poveri, e solo così raggiunge il suo scopo.
A questo annuncio, che cambia radicalmente il corso della storia, che sovverte l’ordine delle priorità, perché mette primi gli ultimi e ultimi i primi, risponde la nuova Gerusalemme : "Gioisco pienamente nel Signore, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia”. Gerusalemme , che accoglie la parola del profeta, non è più la città abbandonata, devastata e spogliata delle sue ricchezze. Essa è come una sposa adornata di preziosi gioielli: la giustizia, la lode, la misericordia.
Anche oggi la Chiesa può evangelizzare solo con lo Spirito di Dio. Non può spegnere lo Spirito. Non può disprezzare la profezia. Ma l’evangelizzazione è vera ed efficace solo se ascolta il grido dei poveri. “Perché oscurare ciò che è così chiaro? Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché << ai difensori “dell’ortodossia” si rivolge a volte il rimprovero di passività, di indulgenza, di colpevole complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono>> (papa Francesco, E.G. 194 ).

2 – Il Vangelo ci presenta la figura immensa del Battista. Egli è uno di quegli uomini di cui sentiamo la mancanza, in questo tempo in cui la profezia sembra spegnersi sulla bocca e nel cuore di molti cultori della Legge e riappare , umile e potente, nella fragile persona di papa Francesco. Giovanni è un testimone. “I Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo”. E’ un vero e proprio processo quello intentato contro Giovanni dai rappresentanti del giudaismo ufficiale. Sacerdoti e leviti erano i grandi esperti in materia di purificazione rituale; dopo l’esilio si distinguevano più degli altri per uno zelo rinnovatore che aveva come fondamento la Legge e il tempio. E’ l’affermazione del diritto che vuole schiacciare la profezia; la legittimità del potere che cerca di uccidere l’irruente novità dello Spirito. Si contesta a Giovanni di operare in mezzo al popolo senza aver ricevuto un mandato esplicito dall’autorità religiosa.
La confessione di Giovanni davanti all’inquisizione diventa una vera professione di fede: << Io non sono il Cristo>>. Non è nemmeno Elia, che doveva giungere di nuovo, secondo la tradizione, per annunciare “il giorno grande e terribile del Signore” (Ml 3,1). Non è il “profeta simile a Mosè”, atteso per gli ultimi tempi (Dt 18,18). Chi è, allora, Giovanni? E’ una “voce che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore”. Giovanni non ha alcuna pretesa. Non si contrappone ad alcun potere e non contesta la legittimità dell’autorità costituita. Non fa questione di gradi. Non ambisce a titoli o a riconoscimenti. Lui “non è”.
E’ solo una voce che grida forte una Parola che altrimenti giacerebbe lì, inascoltata, sepolta sotto la grandiosità dei riti e delle interminabili liturgie del tempio. O nascosta sotto un ginepraio di adempimenti religiosi, di prescrizioni e di divieti, insopportabili come un pesante giogo posto sul collo. Giovanni, con la potenza dello Spirito, risuscita la Parola, indica che il Messia viene; dice che è lui la strada, e non ce ne sono altre. << In mezzo a voi sta uno che non conoscete>>.Come a dire: Gesù sta in mezzo tra il Padre e voi, lo annuncia, lo rivela, lo rende presente. “La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità - cioè il dono di un amore pieno e definitivo – vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17).
Chiesa di Dio, diventa voce di colui che viene, il Verbo della vita, vera luce del mondo. Questa è la tua missione. E vivi nel deserto, nella compagnia dei poveri, vera periferia del mondo. Percorri assieme a loro vie di liberazione. Sta nella gioia e prega senza stancarti.
Giorgio Scatto

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