JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Mt 1,21-28
1 febbraio 2015 | 4a Domenica - T. Ordinario B | Lectio Divina
Il vangelo ci ha appena presentato oggi un Gesù al quale, ci crediamo, abituati, un Gesù che risponde bene alle nostre idee, un Gesù Maestro che insegna con autorità. L'episodio si situa agli inizi del suo ministero pubblico, a Cafarnao, la città che scelse come dimora. La gente rimaneva stupita della sua
dottrina; egli non pretendeva di spiegare la legge di Dio, come facevano gli scribi del suo tempo, ma la presentava direttamente, senza compromessi, con attuazioni che lasciavano chiaro il suo messaggio. Lì radicava l'autorità del suo insegnamento: poteva provare coi fatti quanto diceva con le sue parole, le sue mani facevano quello che pronunciavano le sue labbra. E quando scopre un malato tra i suoi uditori, non prosegue col suo discorso, cura chi è sommesso dal male incurabile, perché ha potere per guarirlo con la sua parola. Smette di parlare per curare; meglio, proclama il vangelo curando dal male un uditore.
21 In quel tempo, Gesù entrato di sabato nella sinagoga a Cafarnao, insegnava. Erano attoniti della sua dottrina, perché non insegnava come gli scribi bensì con autorità. Stava nella sinagoga vi era un uomo che aveva un spirito immondo, e si mise a gridare:
"Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi sei: il Santo di Dio."
Gesù lo riprese: "Taci! Esci da lui !"
E lo spirito immondo straziandolo, e gridando forte, uscì da lui. Tutti si domandarono stupefatti:
"Che è mai questo? Un insegnamento nuovo dato con autorità. Comanda perfino agli spiriti immondi e gli ubbidiscono."
La sua fama si estese subito dappertutto, in tutta la regione della Galilea
1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice
Durante un giorno dedicato all'insegnamento (Mc 1,21-35) Marco colloca il primo miracolo di Gesù che - non è aneddotico - realizza quella vittoria sullo spirito del male che il suo messaggio proclama, quello che gli conferisce un'inusitata autorità (Mc 1,22.27). In realtà Gesù non fa altro che curare indemoniati e malati, benché Marco si impegni a presentarcelo insegnando tutta la giornata (1,22.27.39): curare un posseduto è la sua prima lezione. Che curioso! Non incomincia come evangelizzatore predicando il bene, bensì curando, liberando dal male.
Il primo annuncio del regno si realizza scacciando il Maligno e riducendo il suo dominio sugli uomini. Non poteva essere più efficace l'evangelizzazione di Gesù: la prima cosa che Gesù fa per gli altri è fare il bene ad uno, liberandolo dal demonio: quello è il suo modo di insegnare, con autorità. Avvicinare a Dio, annunciarlo, è allontanare il male dagli uomini che soffrono; non sarà evangelizzatore del Regno chi non combatta il male.
Il miracolo, un esorcismo narrato secondo lo schema abituale (Mc 1,23-27), è qui prova di un modo nuovo di insegnare (Mc 1,21-22.28); decisivo non è l'incontro, tanto presto, di Gesù col demonio, ma che Gesù insegni agli uomini con inaudito potere, liberandoli dal maligno. E' un dettaglio piuttosto significativo: Gesù cura l'indemoniato, impedendo al demonio di parlare; prima di espellerlo, lo riduce al silenzio. Col male che domina l'uomo, non si dialoga; la venuta di Dio si annuncia solo con autorità, e sempre, se non si conversa con chi fa il male all'uomo. La gente di Cafarnao si meravigliava, a ragione, che Gesù fosse ubbidito dagli spiriti immondi. Questa era la sua autorità: poteva negare la parola a chi fa il male, ed essere rispettato!
2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Curiosamente l'episodio evangelico si apre e si chiude insistendo sull'insegnamento di Gesù e l'autorità con la quale lo impartisce, insegnamento che si incentra nella narrazione di una guarigione. I fatti di Gesù, più che le sue parole, lo fanno conoscere: Gesù è un maestro che insegna dando salute a chi ha bisogno di lui. Disgraziatamente, agli inizi del suo ministero gli spiriti cattivi percepiscono solo chi è e che cosa significa la sua presenza. Senza entrare in dialogo con essi, Gesù ordina di lasciare l'indemoniato: la cura dell'uomo è il contenuto del suo migliore magistero. Un'evangelizzazione che non si intende del male imperante e che sottovaluti la sua presenza nell'uomo, non si legittima come autentica; affinché possa proclamarsi la volontà di Dio di vincere male, bisogna smascherare il suo potere e liberare le sue vittime: solo così diventa credibile la bontà di Dio ed il suo impegno verso l'uomo. Ne segue la necessità di una proclamazione del vangelo con l'autorità che proviene da Dio lottando col male che vive nell'uomo.
Risulta logico che la gente si domandasse come era possibile, ad un uomo, di disporre di tali poteri. Oggi ci guarderemo anche, di avere pensato a qualcosa di simile. Ma non ci si vuole sorprendere ora per qualcosa del passato e che noi non abbiamo potuto vedere, ma bensì domandarci che cosa potremmo imparare noi da questo racconto: in che senso può una guarigione di un altro, e realizzata tanti secoli fa, essere buona notizia per noi?; che cosa può importarci se crediamo che esistano o siano esistiti indemoniati, la guarigione di uno di essi con l'intervento di Gesù?
Il poter meravigliarci davanti all'autorità di Gesù ci porterà, come quella gente che lo vide agire, a credere che il male esiste nel nostro ambiente, come nella nostra intimità. Più ancora: Gesù ci insegna ad affrontarlo con autorità, là dove il male si nasconde. È certo che per noi il male non coincide oggi con la malattia, per ripugnante o immeritata che sia; quello credevano gli uomini ai tempi di Gesù. La nostra forma di concepire il male è differente; ma, in fin dei conti, anche per noi esiste il male e, come sembra, continua ad essere, in noi e nel nostro mondo, più poderoso e più efficace del bene. Ma la cosa insolita non è che ci accorgiamo che esista il male nel nostro mondo, ma che ci siamo abituati alla sua presenza e alla sua efficacia. E conviviamo con lui, sperando, al massimo, che non ci tocchi.
Negando la realtà del male, a volte ci illudiamo di averlo vinto. Tacendolo, crediamo di averlo allontanato da noi. E quando non possiamo fare a meno di riconoscere la sua realtà, per essere stati soggiogati dal suo potere, lo troviamo nelle persone che ci circondano, con maggiore facilità che in noi stessi. Risulta sempre meno penoso, più sopportabile, scoprire la malvagità degli altri. E questa è una caratteristica, una 'virtù' si direbbe, la tentazione dei buoni, di tutti quelli i quali si considerano migliori solo perché non sono arrivati ad essere tanto cattivi come gli altri. Coloro che pensano così continuano a perdere l'opportunità di imbattersi con Gesù, risanatore dei malati e liberatore di indemoniati.
Tra tanta gente che quel giorno ascoltava Gesù e si meravigliava della sua dottrina, solo un malato, l'indemoniato, seppe riconoscerlo come il Santo di Dio: tutto un simbolo della nostra situazione attuale, a livello comunitario e personale, nella chiesa! Negare il male, non osare accettare la sua presenza ed il suo dominio in noi, ci dà una sensazione di 'bene-stare', di salute, ma non riuscirà a curarci dai nostri mali né farci migliorare mai. Bisogna avere la prodezza di confessare il male al nostro Gesù, come fece l'indemoniato, chiedendo, con urla se è necessario, la nostra guarigione. Senza avere il coraggio di presentarci davanti a lui dominati dal male dal quale non possiamo liberarci con le nostre proprie forze, non riusciremo a riconoscere cosa realmente è per noi, il Santo di Dio, capace di eliminare il nostro male in radice.
Ma, come riuscire a sapersi preda del male, come sentire il peso della propria malizia? Sentiamo Gesù ed il suo vangelo: la sua autorità ci farà presentire il male che ancora bisogna scoprire in noi; scopriremo ugualmente la sua vitalità, la sua capacità di darci vita, nella misura con la quale ci avviciniamo a lui. Il senso del peccato che stiamo perdendo un po' tutti, sta allontanandoci da Gesù; la stessa cosa che il credersi sano non porta nessuno a cercare un medico. Chissà perché, come l'indemoniato del vangelo, sospettiamo che è venuto per scomodarci, per guarirci, per complicarci la vita, ci rifiutiamo di perdere la pace che siamo riusciti a fare con noi stessi per essere scesi a patto coi nostri mali. Prendiamo sul serio la realtà della nostra malizia, che esiste nel nostro cuore e che cresce intorno a noi, e sentiremo, angosciosamente, la necessità di Gesù, di essere portati davanti a lui e di pregarlo con urla per la nostra salvezza.
E se ancora non ci siamo convinti del tutto della realtà del male e della sua forza temibile, andiamo da Gesù ed ascoltiamolo più assiduamente: prestargli maggiore attenzione, dargli più opportunità affinché scopra il nostro stato, concedergli un po' più di tempo e qualcosa più di noi stessi, ci farà sentire che miglioriamo. Conoscere da vicino il suo pensiero e la sua dottrina ce lo farà sentire vicino; le sue esigenze non saranno pesanti né la sua vicinanza temibile. Ma bisognerà ascoltarlo come l'ascoltarono a Cafarnao: meravigliandosi di quanto dice e del potere con il quale agisce. Sfortunatamente, e qui può stare la radice dei nostri mali, oggi i discepoli di Gesù sentono chiunque voglia loro dire qualcosa, quanti promettono meno di quello che, Dio, l'unico che ha la potestà di fare quanto dice e di promettere tutto ciò che di buono possa uno immaginarsi.
Ascoltare Dio con maggiore frequenza ed attenzione ci libererebbe dai nostri mali, che riconosciamo senza difficoltà e che abbiamo senza nemmeno sospettarlo. Non ci illudiamo a pensare che il male, il maligno, non esiste o, se esiste, sta fuori di noi, negli altri; in tutto quanto facciamo, e che non riusciamo a fare benché dobbiamo, si nasconde il male dal quale Gesù è venuto a liberarci. Mettiamoci con sincerità oggi davanti a Gesù, come l'indemoniato del vangelo, e confessiamogli i nostri mali: rimaniamo lì fino a che egli si chini su di noi, noti il nostro male e si decida a liberarci da lui. Per quanto aspettiamo la nostra guarigione, per quanto peniamo di raggiungerla, alla fine ne è valsa la pena, e l'attesa; se arriviamo a sentire la sua voce sovrana: 'Esci da quest'uomo', Gesù sarà anche per noi il Santo di Dio. O è perché seguiamo, come la gente di Cafarnao, sentendo Gesù senza sentirci toccati dalla sua parola, guariti dal suo potere? Non ne vale la pena. Mettiamo i nostri mali alla presenza di Gesù e lui ci manifesterà il suo potere e la sua autorità.
JUAN J. BARTOLOME sdb
Il vangelo ci ha appena presentato oggi un Gesù al quale, ci crediamo, abituati, un Gesù che risponde bene alle nostre idee, un Gesù Maestro che insegna con autorità. L'episodio si situa agli inizi del suo ministero pubblico, a Cafarnao, la città che scelse come dimora. La gente rimaneva stupita della sua
dottrina; egli non pretendeva di spiegare la legge di Dio, come facevano gli scribi del suo tempo, ma la presentava direttamente, senza compromessi, con attuazioni che lasciavano chiaro il suo messaggio. Lì radicava l'autorità del suo insegnamento: poteva provare coi fatti quanto diceva con le sue parole, le sue mani facevano quello che pronunciavano le sue labbra. E quando scopre un malato tra i suoi uditori, non prosegue col suo discorso, cura chi è sommesso dal male incurabile, perché ha potere per guarirlo con la sua parola. Smette di parlare per curare; meglio, proclama il vangelo curando dal male un uditore.
21 In quel tempo, Gesù entrato di sabato nella sinagoga a Cafarnao, insegnava. Erano attoniti della sua dottrina, perché non insegnava come gli scribi bensì con autorità. Stava nella sinagoga vi era un uomo che aveva un spirito immondo, e si mise a gridare:
"Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi sei: il Santo di Dio."
Gesù lo riprese: "Taci! Esci da lui !"
E lo spirito immondo straziandolo, e gridando forte, uscì da lui. Tutti si domandarono stupefatti:
"Che è mai questo? Un insegnamento nuovo dato con autorità. Comanda perfino agli spiriti immondi e gli ubbidiscono."
La sua fama si estese subito dappertutto, in tutta la regione della Galilea
1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice
Durante un giorno dedicato all'insegnamento (Mc 1,21-35) Marco colloca il primo miracolo di Gesù che - non è aneddotico - realizza quella vittoria sullo spirito del male che il suo messaggio proclama, quello che gli conferisce un'inusitata autorità (Mc 1,22.27). In realtà Gesù non fa altro che curare indemoniati e malati, benché Marco si impegni a presentarcelo insegnando tutta la giornata (1,22.27.39): curare un posseduto è la sua prima lezione. Che curioso! Non incomincia come evangelizzatore predicando il bene, bensì curando, liberando dal male.
Il primo annuncio del regno si realizza scacciando il Maligno e riducendo il suo dominio sugli uomini. Non poteva essere più efficace l'evangelizzazione di Gesù: la prima cosa che Gesù fa per gli altri è fare il bene ad uno, liberandolo dal demonio: quello è il suo modo di insegnare, con autorità. Avvicinare a Dio, annunciarlo, è allontanare il male dagli uomini che soffrono; non sarà evangelizzatore del Regno chi non combatta il male.
Il miracolo, un esorcismo narrato secondo lo schema abituale (Mc 1,23-27), è qui prova di un modo nuovo di insegnare (Mc 1,21-22.28); decisivo non è l'incontro, tanto presto, di Gesù col demonio, ma che Gesù insegni agli uomini con inaudito potere, liberandoli dal maligno. E' un dettaglio piuttosto significativo: Gesù cura l'indemoniato, impedendo al demonio di parlare; prima di espellerlo, lo riduce al silenzio. Col male che domina l'uomo, non si dialoga; la venuta di Dio si annuncia solo con autorità, e sempre, se non si conversa con chi fa il male all'uomo. La gente di Cafarnao si meravigliava, a ragione, che Gesù fosse ubbidito dagli spiriti immondi. Questa era la sua autorità: poteva negare la parola a chi fa il male, ed essere rispettato!
2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Curiosamente l'episodio evangelico si apre e si chiude insistendo sull'insegnamento di Gesù e l'autorità con la quale lo impartisce, insegnamento che si incentra nella narrazione di una guarigione. I fatti di Gesù, più che le sue parole, lo fanno conoscere: Gesù è un maestro che insegna dando salute a chi ha bisogno di lui. Disgraziatamente, agli inizi del suo ministero gli spiriti cattivi percepiscono solo chi è e che cosa significa la sua presenza. Senza entrare in dialogo con essi, Gesù ordina di lasciare l'indemoniato: la cura dell'uomo è il contenuto del suo migliore magistero. Un'evangelizzazione che non si intende del male imperante e che sottovaluti la sua presenza nell'uomo, non si legittima come autentica; affinché possa proclamarsi la volontà di Dio di vincere male, bisogna smascherare il suo potere e liberare le sue vittime: solo così diventa credibile la bontà di Dio ed il suo impegno verso l'uomo. Ne segue la necessità di una proclamazione del vangelo con l'autorità che proviene da Dio lottando col male che vive nell'uomo.
Risulta logico che la gente si domandasse come era possibile, ad un uomo, di disporre di tali poteri. Oggi ci guarderemo anche, di avere pensato a qualcosa di simile. Ma non ci si vuole sorprendere ora per qualcosa del passato e che noi non abbiamo potuto vedere, ma bensì domandarci che cosa potremmo imparare noi da questo racconto: in che senso può una guarigione di un altro, e realizzata tanti secoli fa, essere buona notizia per noi?; che cosa può importarci se crediamo che esistano o siano esistiti indemoniati, la guarigione di uno di essi con l'intervento di Gesù?
Il poter meravigliarci davanti all'autorità di Gesù ci porterà, come quella gente che lo vide agire, a credere che il male esiste nel nostro ambiente, come nella nostra intimità. Più ancora: Gesù ci insegna ad affrontarlo con autorità, là dove il male si nasconde. È certo che per noi il male non coincide oggi con la malattia, per ripugnante o immeritata che sia; quello credevano gli uomini ai tempi di Gesù. La nostra forma di concepire il male è differente; ma, in fin dei conti, anche per noi esiste il male e, come sembra, continua ad essere, in noi e nel nostro mondo, più poderoso e più efficace del bene. Ma la cosa insolita non è che ci accorgiamo che esista il male nel nostro mondo, ma che ci siamo abituati alla sua presenza e alla sua efficacia. E conviviamo con lui, sperando, al massimo, che non ci tocchi.
Negando la realtà del male, a volte ci illudiamo di averlo vinto. Tacendolo, crediamo di averlo allontanato da noi. E quando non possiamo fare a meno di riconoscere la sua realtà, per essere stati soggiogati dal suo potere, lo troviamo nelle persone che ci circondano, con maggiore facilità che in noi stessi. Risulta sempre meno penoso, più sopportabile, scoprire la malvagità degli altri. E questa è una caratteristica, una 'virtù' si direbbe, la tentazione dei buoni, di tutti quelli i quali si considerano migliori solo perché non sono arrivati ad essere tanto cattivi come gli altri. Coloro che pensano così continuano a perdere l'opportunità di imbattersi con Gesù, risanatore dei malati e liberatore di indemoniati.
Tra tanta gente che quel giorno ascoltava Gesù e si meravigliava della sua dottrina, solo un malato, l'indemoniato, seppe riconoscerlo come il Santo di Dio: tutto un simbolo della nostra situazione attuale, a livello comunitario e personale, nella chiesa! Negare il male, non osare accettare la sua presenza ed il suo dominio in noi, ci dà una sensazione di 'bene-stare', di salute, ma non riuscirà a curarci dai nostri mali né farci migliorare mai. Bisogna avere la prodezza di confessare il male al nostro Gesù, come fece l'indemoniato, chiedendo, con urla se è necessario, la nostra guarigione. Senza avere il coraggio di presentarci davanti a lui dominati dal male dal quale non possiamo liberarci con le nostre proprie forze, non riusciremo a riconoscere cosa realmente è per noi, il Santo di Dio, capace di eliminare il nostro male in radice.
Ma, come riuscire a sapersi preda del male, come sentire il peso della propria malizia? Sentiamo Gesù ed il suo vangelo: la sua autorità ci farà presentire il male che ancora bisogna scoprire in noi; scopriremo ugualmente la sua vitalità, la sua capacità di darci vita, nella misura con la quale ci avviciniamo a lui. Il senso del peccato che stiamo perdendo un po' tutti, sta allontanandoci da Gesù; la stessa cosa che il credersi sano non porta nessuno a cercare un medico. Chissà perché, come l'indemoniato del vangelo, sospettiamo che è venuto per scomodarci, per guarirci, per complicarci la vita, ci rifiutiamo di perdere la pace che siamo riusciti a fare con noi stessi per essere scesi a patto coi nostri mali. Prendiamo sul serio la realtà della nostra malizia, che esiste nel nostro cuore e che cresce intorno a noi, e sentiremo, angosciosamente, la necessità di Gesù, di essere portati davanti a lui e di pregarlo con urla per la nostra salvezza.
E se ancora non ci siamo convinti del tutto della realtà del male e della sua forza temibile, andiamo da Gesù ed ascoltiamolo più assiduamente: prestargli maggiore attenzione, dargli più opportunità affinché scopra il nostro stato, concedergli un po' più di tempo e qualcosa più di noi stessi, ci farà sentire che miglioriamo. Conoscere da vicino il suo pensiero e la sua dottrina ce lo farà sentire vicino; le sue esigenze non saranno pesanti né la sua vicinanza temibile. Ma bisognerà ascoltarlo come l'ascoltarono a Cafarnao: meravigliandosi di quanto dice e del potere con il quale agisce. Sfortunatamente, e qui può stare la radice dei nostri mali, oggi i discepoli di Gesù sentono chiunque voglia loro dire qualcosa, quanti promettono meno di quello che, Dio, l'unico che ha la potestà di fare quanto dice e di promettere tutto ciò che di buono possa uno immaginarsi.
Ascoltare Dio con maggiore frequenza ed attenzione ci libererebbe dai nostri mali, che riconosciamo senza difficoltà e che abbiamo senza nemmeno sospettarlo. Non ci illudiamo a pensare che il male, il maligno, non esiste o, se esiste, sta fuori di noi, negli altri; in tutto quanto facciamo, e che non riusciamo a fare benché dobbiamo, si nasconde il male dal quale Gesù è venuto a liberarci. Mettiamoci con sincerità oggi davanti a Gesù, come l'indemoniato del vangelo, e confessiamogli i nostri mali: rimaniamo lì fino a che egli si chini su di noi, noti il nostro male e si decida a liberarci da lui. Per quanto aspettiamo la nostra guarigione, per quanto peniamo di raggiungerla, alla fine ne è valsa la pena, e l'attesa; se arriviamo a sentire la sua voce sovrana: 'Esci da quest'uomo', Gesù sarà anche per noi il Santo di Dio. O è perché seguiamo, come la gente di Cafarnao, sentendo Gesù senza sentirci toccati dalla sua parola, guariti dal suo potere? Non ne vale la pena. Mettiamo i nostri mali alla presenza di Gesù e lui ci manifesterà il suo potere e la sua autorità.
JUAN J. BARTOLOME sdb
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